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Bandi di gara per le cave: la bozza di disciplinare presenta sostanziali criticità

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La “Disciplina per l’attribuzione dell’ordine di priorità e la pesatura degli elementi di valutazione di cui agli artt. 5 comma 8 e 6 comma 4 del Regolamento per la Concessione degli agri marmiferi del Comune di Carrara”, oggi all’esame della commissione consiliare marmo, è uno strumento previsto – appunto – dal Regolamento degli agri marmiferi del Comune di Carrara che deve (o dovrebbe) stabilire i criteri per la valutazione delle offerte degli operatori economici interessati all’aggiudicazione delle concessioni.

Già l’articolo 6 comma 4 del Regolamento Agri marmiferi indica gli elementi da valutare “prioritariamente”. Al “disciplinare” vengono invece demandati – con l’approvazione dello specifico atto amministrativo – “l’ordine di priorità” e la “pesatura” di tali elementi, sulla base dei quali valutare il progetto di coltivazione della cava.

La bozza all’esame della Commissione Marmo, tuttavia, sembra presentare sostanziali criticità, anche tecnico-giuridiche, limitandosi ad attribuire alcuni valori di punteggio ai criteri già indicati nel Regolamento, senza però precisare nulla né in ordine ai cosiddetti “sub-criteri” (tipici di ogni “vero” disciplinare”) né sulle formule di calcolo per l’attribuzione dei punteggi stessi.

Fin dalla prima lettura, quindi, quello che dovrebbe essere l’atto di indirizzo che disciplinerà le gare per l’assegnazione delle concessioni sembra invece non definire alcunché in maniera univoca e certa e si prefigura come un documento generico a tal punto da poter poi lasciare – nel futuro, prossimo o remoto – ampia discrezionalità al dirigente pro tempore che indirà le singole gare. Il che, data la natura delle cave, il loro essere parte del patrimonio indisponibile della comunità carrarese e il pesante impatto ambientale che le stesse hanno sul territorio, costituisce un elemento di rilevante criticità.

A mero titolo di esempio – senza alcune pretesa di essere esaustivi nell’elencazione dei motivi di nostra perplessità – potremmo citare:

«1 Ricadute ambientali, con particolare riguardo a modalità di lavorazione che tendano a contenere i volumi da abbattere e ad incrementare la resa produttiva: 20 punti»: come verrà fatta la valutazione? Quale sarà la formula di attribuzione del punteggio? Le ricadute ambientali possono essere solo definite in termini di quantitativi escavati e percentuali di resa o non richiederebbero di valutare, con certezza, anche altri elementi (ad esempio la corretta gestione delle polveri, l’adozione di sistemi di trattamenti in situ dei fanghi di marmettola, la sistemazione delle aree di stoccaggio o discarica al monte di materiali in maniera tale da ridurre il rischio idrogeologico, eventuali opere di mitigazione paesaggistica eccetera)?

«2 Ricadute socio-economiche del piano industriale anche in una logica di filiera: punti 30»: stessa considerazione sulla genericità del parametro di valutazione che non dettaglia né gli elementi né i singoli pesi dei subcriteri per valutare questo elemento

«3 Effetti occupazionali: punti 15»: idem come sopra

«4 Natura ed ammontare degli investimenti di cui al relativo piano economico-finanziario: punti 5»: qualsiasi investimento? Anche quello legato, ad esempio, all’acquisto di beni mobili, destinati magari a incrementare la velocità di escavazione senza alcun riguardo alla qualità dell’investimento stesso? Anche in questo caso manca del tutto la specificazione del metodo di attribuzione del punteggio

«5 Possesso di certificazioni che qualificano il processo produttivo e la gestione ambientale e sociale dell’impresa: punti 10»: questo punto merita due considerazioni.

La prima: le certificazioni ambientali sono strettamente legate al sito produttivo. Ad esempio un’azienda certificata per un impianto di trasformazione o per degli uffici direzionali (e casi simili esistono) non può esportare il certificato su una cava. Se un’azienda non ha quindi la possibilità di certificare il sito (a meno che non sia la precedente titolare della concessione) come può portare questo elemento in valutazione? Tema, questo, che potrebbe anche interessare l’Autorità per la Concorrenza (antitrust)

Seconda: le certificazioni non sono “indistinte”, ciascuna norma di riferimento detta i requisiti dei sistemi di gestione specifici: 9001 per la Qualità (particolarmente intesa come orientamento al cliente), 14001 per la gestione ambientale, 45011 per la salute e sicurezza sul lavoro. Oltre poi alla registrazione EMAS. La domanda è: con che peso sarà valutata ciascuna specifica certificazione? Ambiente e salute e sicurezza peseranno (come crediamo sia giusto) più o nello stesso modo della Qualità?

Infine: le certificazioni si riferiscono alla conformità dei sistemi di gestione alla norma, non attestano che quotidianamente, le norme siano rispettate. Sono quindi sicuramente un elemento da valutare, ma in questo caso sembrano troppi 10 punti

«6 Ammontare del canone di concessione a tonnellata offerto dai partecipanti: punti 20»: anche in questo caso nulla si dice sulla formula con la quale le diverse offerte saranno valutate e sarà attribuito il punteggio. Viene comunque spontaneo chiedersi se l’elemento “economico” dell’offerta sia così poco “pesante” rispetto agli altri elementi qualitativi.

Non minori perplessità destano le disposizioni relative all’attribuzione dei punteggi per l’incremento della durata della concessione, rispetto alle quali potremmo riproporre molti dei rilievi segnalati  nei confronti dei punteggi precedenti (mancanza dei subcriteri o comunque di una miglior specificazione dei criteri e subcriteri, che invece nella bozza in esame restano generici e facilmente “interpretabili” di volta in volta: cosa che, tra l’altro, non dovrebbe essere tollerata neppure dalle stesse imprese, a meno che non si sia già in presenza di un tacito patto di “non belligeranza” fra le aziende già titolari delle autorizzazioni…).

Si sottolinea comunque lo scarso peso assegnato alla lavorazione in filiera (solo due anni) rispetto ad esempio al vaghissimo elemento 4 (investimento annuale … per la manutenzione o la realizzazione delle infrastrutture connesse al trasporto del marmo) o alla certificazione EMAS per i quali vengono assegnati due anni ciascuno; estremamente ambiguo anche l’elemento di valutazione 1 che richiama il  famigerato art. 21, da noi molto contestato al momento dell’approvazione del Regolamento Agri marmiferi.

Troviamo comunque assai discutibile, proprio per la aleatorietà dei criteri fissati, la scelta fatta col Regolamento degli Agri marmiferi di prevedere per le concessioni una durata di 13 anni più 2 (EMAS) con un ulteriore incremento di 10 anni. Tanto più che la Legge regionale 35 stabilisce per la durata delle concessioni un tempo “fino a 25 anni”, ma non parla di un “periodo base” e di una ulteriore proroga. Quindi, volendo consentire alle imprese di mantenere la concessione per tutti i 25 anni, sarebbe stato più limpido fissare ab origine la durata delle concessioni stesse in 25; altrimenti si sarebbe potuto pensare a una proroga solo fissando come criterio per assegnarla una serie di parametri inerenti la gestione della cava durante tutti gli anni della concessione (a titolo d’esempio: quanta riduzione degli scarti di lavorazione? Quanta attenzione reale alla tutela dell’acquifero? Quanta prevenzione del rischio alluvionale? Quanto incremento degli occupati?).

Fatte tutte queste premesse (che crediamo però puntuali e dettagliate) ci rendiamo conto che oltre ad una certa approssimazione nella stesura del disciplinare vi sia un vulnus di fondo che è costituito dal Regolamento stesso, in sé. Già in passato, ciascuna delle nostre associazioni, individualmente, aveva espresso la propria contrarietà al testo (e del contestuale regolamento di attuazione dell’art. 21) predisposto e poi licenziato dall’amministrazione all’epoca in carica (2020), in seguito modificato con delibera dell’aprile 2022.

Già in fase di applicazione del regime transitorio e della stipula delle convenzioni ex. art. 21, il Regolamento ha dimostrato tutte le carenze e le debolezze del complessivo impianto giuridico sulla base del quale è stato strutturato.

Oggi, con questo nuovo passaggio del disciplinare, sono ancora quelle debolezze e criticità di fondo a rafforzare la nostra convinzione che per Carrara sia necessario riaprire la riflessione e il confronto  sul Regolamento in sé, anche considerato che in Regione Toscana sono state presentate proposte di modifica della L.R. 35/2015 (PDL 0270/2024),  e che Il 18 Agosto u.s. è entrato in vigore il Regolamento n. 2024/1991/Ue (Gue del 29 luglio 2024) sul “Ripristino della natura”, noto come “Nature Restoration Law” che non potrà non avere debita considerazione anche negli atti normativi delle cave apuane.

La nostra richiesta è quindi quella di sospendere l’esame e l’approvazione del “disciplinare” e di riaprire una nuova fase di consultazione con tutte le parti sociali interessate (non solo, quindi, le imprese e le organizzazioni sindacali e alcune delle associazioni ambientaliste, ma anche altre parti della società civile e del mondo associativo) per arrivare a una sostanziale modifica degli articoli 5 e 6 dell’attuale Regolamento degli Agri marmiferi.

In considerazione del fatto che diverse forze politiche, anche dell’attuale maggioranza, votarono contro le delibere 2020 e 2022, riterremmo incomprensibile un eventuale diniego alla nostra richiesta di complessivo riesame, tenuto conto, peraltro, della necessità di arrivare almeno a una formulazione del Disciplinare meno aleatoria e alla definizione di criteri certi che realmente garantiscano il minor impatto ambientale possibile e il massimo del beneficio sociale  derivanti dalle attività estrattive.

Carrara, 14 ottobre 2024

Arci Comitato Provinciale Massa Carrara
Club Alpino Italiano, sezione Carrara
Legambiente Carrara
 

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