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Marmettola: proposte per interventi risolutivi

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Min. Ambiente e Sicurezza Energetica
Direz. Gen. Uso sostenibile suolo e risorse idriche
Div. IX – Danno Ambientale
USSRI@pec.mite.gov.it 

ISPRA
Centro nazionale per le crisi,
emergenze ambientali e danno
protocollo.ispra@ispra.legalmail.it

ARPA Toscana
arpat.protocollo@postacert.toscana.it

Comune di Carrara
comune.carrara@postecert.it

Comune di Massa
comune.massa@postacert.toscana.it

Provincia di Massa Carrara
provincia.massacarrara@postacert.toscana.it

Regione Toscana (Cave + Difesa suolo)
regionetoscana@postacert.toscana.it

 

Oggetto: Marmettola: proposte per interventi risolutivi
Rif.to: MASE Reg. Uff. Uscita 0078226. 29-04-24

 

Legambiente Carrara APS esprime sentiti apprezzamenti per l’attenta considerazione prestata dal MASE alle sue proposte per affrontare le problematiche ambientali della marmettola e per il fattivo interessamento alla loro soluzione.

Esprime altresì soddisfazione per la condivisione manifestata dall’ISPRA, in accordo con ARPAT, dell’«approccio basato sul principio “Command-and-control” finalizzato alla riduzione alla fonte del­’inquinamento dei corpi idrici Apuani generato dallo svolgimento delle attività estrattive e in particolare dal dilavamento della marmettola, mediante un adeguamento delle prescrizioni autorizzative e una integrazione dei controlli già posti in essere» (parere CRE-ETF 02/2024).

Ciò considerato e visto che dell’inquinamento da marmettola sono perfettamente note da tempo le cause, le problematiche delle possibili modalità di controllo e le possibili soluzioni, Legambiente avanza un ulteriore contributo volto a: 1) riassumere brevemente le cause e le modalità dell’in­qui­namento, 2) esporre con rigore logico le necessarie contromisure preventive e 3) rivolgere un appello agli enti per la loro sollecita attuazione.

Esporremo innanzitutto le misure volte a evitare la dispersione nell’ambiente di nuovi apporti di marmettola e, poi, quelle necessarie a rimuovere i notevoli quantitativi di marmettola dispersi in passato nelle discariche di cava (ravaneti) e che vengono rimobilizzati ad ogni precipitazione intensa.

 

Origine della marmettola e suo impatto

  

L’inquinamento da marmettola compromette da oltre 50 anni i corsi d’acqua e l’acquifero apuano che –per estensione, quantità e qualità delle acque– è di importanza strategica per l’approvvigio­namento idropotabile dell’intera Toscana.

Fino agli anni ’80-’90 i quantitativi di gran lunga prevalenti di marmettola provenivano dagli scarichi delle segherie, immessi direttamente (senza alcun trattamento) nei corsi d’acqua (Fig. 1). Di conseguenza, questi ultimi erano estremamente torbidi, di colore bianco-latte oppure grigio (quando ricevevano gli scarichi di segagione del granito, oggi non più presenti) e con valori elevatissimi di solidi sospesi, fino a oltre 2000 mg/L (Sansoni, Sacchetti, Barabotti, 1983. Corsi d’acqua del litorale apuano. Effetti inquinanti della polvere di marmo. Ed. Comunità Montana delle Apuane, Massa. Scaricabile qui).
 

Fig. 1. A e B: scarichi di segherie non trattati nel T. Carrione a valle di Avenza (1983). C: incrostazioni di marmettola generate dallo scarico (freccia gialla) e accumulatesi sul muro esterno della segheria e sulla sponda del Carrione a Nazzano (1991). D: le acque del Carrione a Nazzano, grigie, dense e fortemente torbide per i fanghi di segagione del granito (1991).

 
 

La situazione odierna

  

Oggi, invece, le segherie e i laboratori lapidei trattano le acque di lavorazione separando la marmettola e smaltendola come rifiuto; pertanto, l’origine primaria della marmettola che si rinviene nei corpi idrici è l’estrazione dei blocchi di marmo al monte –effettuata con filo diamantato o con tagliatrici a catena diamantata– che genera fanghi di polvere di marmo. Per la loro fine granulometria (analoga a quella delle argille) questi fanghi sono facilmente dilavabili dalle acque meteoriche e da esse trascinati in sospensione a valle. Scorrendo lungo il versante possono seguire due percorsi:

  1. una parte scorre in superficie e, raggiunto il fondovalle, provoca un forte intorbidamento lattescente del corso d’acqua e –sedimentando nei tratti a minor pendenza– riempie ed ostruisce gli interstizi tra i ciottoli con una melma che, successivamente, si cementa. In tal modo vengono sepolti i microhabitat dei macroinvertebrati acquatici, rendendo l’alveo intrinsecamente inadatto a ospitarli. Questa alterazione fisica dell’alveo esercita sulla fauna macrobentonica un impatto ben superiore a quello degli scarichi fognari o di inquinanti chimici (Fig. 2);
  2. l’altra parte si infiltra e, incontrando le fratture del substrato, penetra verticalmente nel reticolo carsico e, attraversata la zona vadosa, raggiuge l’acquifero (a scorrimento prevalentemente orizzontale). Nel periodo immediatamente successivo alle piogge, essendo lo scorrimento turbolento, la marmettola resta in sospensione e intorbida le sorgenti alimentate dall’acquifero; successivamente si instaurano condizioni di calma e la marmettola sedimenta nell’acquifero stesso seppellendo la microfauna stigobia interstiziale ed esercitando dunque anche su di essa un rilevante impatto biologico (anche se molto meno documentato per le intrinseche difficoltà di campionamento all’interno dell’acquifero: si pensi ai pozzi, profondi anche oltre 1.000 m).
  3.  

    Fig. 2. Il drammatico impatto ambientale della marmettola sui corsi d’acqua è ben documentato da oltre 40 anni. La figura mostra l’impatto biologico sui macroinvertebrati acquatici del T. Carrione: il tratto alto del ramo di Gragnana (bacino privo di cave) ha un popolamento molto ricco (Staz. 1: 36 Unità Sistematiche) che viene più che dimezzato presso Carrara (Staz. 3: 17 U.S.) a causa di un intenso inquinamento fognario. Nei rami superiori di Torano e di Colonnata, interessati invece da marmettola (Staz. 4 e 5), i macroinvertebrati sono invece praticamente scomparsi (4 U.S.). La marmettola determina dunque la morte biologica del torrente. Fonte: Sansoni et al., 1983. Comunità Montana delle Apuane. Scarica il volume

     
     
    Già 40 anni fa dunque (con lo studio citato nella Fig. 2), non solo fu sfatato il mito dell’innocuità ambientale della marmettola (allora sostenuto con l’argomentazione della mancanza di una sua tossicità intrinseca), ma fu dimostrato che il suo impatto sui corsi d’acqua –rispetto a quello di scarichi fognari e di sostanze tossiche– era più elevato e, soprattutto, persistente.

    Nel caso di inquinanti tossici, infatti, per quanto pesante possa essere l’impatto, dopo l’interruzione dello scarico si verifica un graduale recupero, con la progressiva ricolonizzazione del substrato da parte dei macroinvertebrati. Nel caso della marmettola, invece, data la sua cementazione in alveo, l’alterazione del substrato e il relativo impatto sono permanenti (possono regredire solo dopo piene catastrofiche che sconvolgano l’alveo in profondità rimuovendo i depositi cementati).

    Queste considerazioni sul meccanismo d’azione rendono evidente che la fondamentale misura preventiva dell’inquinamento da marmettola consiste nell’intercettarla all’origine, evitando così che le acque torbide di taglio si disperdano sulle superfici di cava e, dilavate poi dalle piogge, trasportino la marmettola nei corsi d’acqua.

    A tal fine le autorizzazioni all’escavazione prescrivono il confinamento delle acque al piede del taglio, seguito dalla loro filtrazione (effettuata con filtri a sacco o talora, più efficacemente, con filtropresse) e dall’allontanamento, come rifiuti, dei fanghi ottenuti. Gli stessi accorgimenti sono prescritti per la riquadratura dei blocchi in cava (con macchine a filo diamantato o con monolama). Le autorizzazioni prescrivono anche la periodica pulizia dei piazzali.

    Eppure il problema della marmettola resta acuto: basti osservare i casi paradossali (ma molto diffusi) in cui, anche quando il contenimento delle acque al piede del taglio è effettuato correttamente (mediante un cordolo rilevato), all’esterno del cordolo c’è marmettola dappertutto.

    La situazione generale è efficacemente illustrata dalla carrellata di foto di repertorio mostrata nella Fig. 3. I materiali fini (marmettola e terre) abbondano su tutte le superfici di cava: sia all’interno del cordolo al piede del taglio (A, B) che all’esterno di esso (C, D), sui piazzali (E-I), sui gradoni delle bancate (L), sui versanti (G, M, N, P), sulle rampe interne (I-N), sulle vie d’arroccamento (O-Q), sia nelle cave all’aperto che in quelle in galleria (R, S, U) e nei ravaneti (V, Z).
     

    â Fig. 3. La presenza dei materiali fini (marmettola e terre) nelle cave è praticamente ubiquitaria. Lo stesso cordolo è realizzato con materiali dilavabili dalle acque (A, B, C, D), è spesso aperto in vari tratti (D), talora non si limita a confinare le acque al piede del taglio, ma delimita una vasta area del piazzale (B). Marmettola e terre abbondano comunque in tutti i piazzali (E-I, N), sui gradoni delle bancate (L), sui versanti (D, G) e nelle cave in galleria (R, S, U), all’interno delle quali le fratture carsiche veicolano le acque meteoriche (T). Quantità ingenti, direttamente esposte al dilavamento meteorico, sono inoltre presenti nei ravaneti (V, Z).
    á Fig. 3. La presenza dei materiali fini (marmettola e terre) nelle cave è praticamente ubiquitaria. Lo stesso cordolo è realizzato con materiali dilavabili dalle acque (A, B, C, D), è spesso aperto in vari tratti (D), talora non si limita a confinare le acque al piede del taglio, ma delimita una vasta area del piazzale (B). Marmettola e terre abbondano comunque in tutti i piazzali (E-I, N), sui gradoni delle bancate (L), sui versanti (D, G) e nelle cave in galleria (R, S, U), all’interno delle quali le fratture carsiche veicolano le acque meteoriche (T). Quantità ingenti, direttamente esposte al dilavamento meteorico, sono inoltre presenti nei ravaneti (V, Z).

     
     
    Data la generalizzata esposizione di terre e marmettola alle acque meteoriche appena vista, sarebbe davvero sorprendente se, in occasione delle piogge, i corsi d’acqua e l’acquifero non ne fossero fortemente inquinati. È dunque evidente che –finché persisterà questa situazione nelle cave, nei ravaneti e nei versanti– ogni strategia di prevenzione e controllo è destinata a fallimento certo.
     
     

    Superare le inadeguatezze della strategia di contrasto:
    l’ordinanza “cave pulite come uno specchio”

      

    A nostro parere, a prescindere dall’insufficienza delle attuali prescrizioni (ad es. le autorizzazioni non vietano l’impiego di terre e marmettola nella realizzazione delle vie d’arroccamento [Fig. 3 O-Q] e dei ravaneti [Fig. 3 V-Z] né, tantomeno, prescrivono la rimozione delle enormi quantità ivi riversate nel tempo), le ragioni di fondo risiedono in due fondamentali criticità:

    1. la strategia sanzionatoria ex post che, a danno ambientale già avvenuto, fa scattare le (complicatissime) indagini per l’individuazione (spesso impossibile) della cava responsabile;
    1. la natura stessa delle prescrizioni, che si limitano a disporre il compimento di determinate operazioni (prescrizioni “di azioni”) anziché l’ottenimento di un certo risultato (prescrizioni “di risultato”).

    Della prima criticità abbiamo già parlato nel nostro contributo del 3/11/23 “Quale soluzione per la marmettola? L’uovo di Colombo” nel quale, richiamando le considerazioni di un corso di formazione dell’ARPAT (5/12/2007), si diceva: «…ritenendo estremamente problematico l’approccio di individuare il danno ambientale e i suoi responsabili (avviando poi un procedimento penale), proponiamo di ricorrere a una soluzione del tipo “uovo di Colombo”: proponiamo cioè l’adozione dell’approccio amministrativo (ordinanza con relative prescrizioni e sanzioni) che, essendo fondato non sulla punizione del danno arrecato, ma sulla prevenzione del danno stesso (sanzionando i comportamenti suscettibili di provocarlo), è molto più semplice, tempestivo ed efficace».

    La seconda criticità discende dal concorso tra le prescrizioni di un elenco di «azioni» (realizzare il cordolo al piede del taglio, filtrare le acque ecc.) –elenco che difficilmente può essere completamente esaustivo– e l’atteggiamento capzioso degli industriali di cava che, arroccandosi su una interpretazione letterale e ristretta degli obblighi da adempiere, ne elude di fatto le finalità.

    A puro titolo di esempio, la prescrizione della pulizia “periodica” dei piazzali può essere effettuata in maniera scrupolosa (in ogni luogo e momento in cui sia necessaria) o sostanzialmente elusa svolgendola in maniera molto sbrigativa o con una periodicità che rasenta o supera la provocazione (es. settimanale o mensile). L’indeterminatezza della prescrizione, infatti, espone l’operato degli organi di controllo a contestazioni e accuse di arbitrarietà.

    Per questi motivi, da vent’anni chiediamo l’emanazione di un’ordinanza comunale “cave pulite come uno specchio” che, al pregio di prevedere prescrizioni “di risultato”, unisce un titolo molto esplicativo del risultato che si intende perseguire.

    Le prescrizioni “di azioni” attualmente dettate nelle autorizzazioni (cordolo al piede del taglio, raccolta e trattamento delle acque di taglio ecc.) potrebbero essere mantenute (accompagnate dalle attuali sanzioni), ma l’aspetto innovativo decisivo sarebbe l’introduzione della prescrizione “di risultato” accompagnata dalla relativa sanzione: ad es. fermo della cava per alcuni giorni (e di durata drasticamente maggiore nel caso di recidiva) qualora si riscontrasse la semplice presenza di marmettola, terre o altri inquinanti –anche in quantità modesta– su una o più delle superfici di cava (bancate, piazzali, rampe, cumuli di detriti, gallerie, versanti ecc.).

    Teoricamente la nuova prescrizione potrebbe essere semplicemente aggiunta a quelle già dettate nelle autorizzazioni, ma questa modalità ne sminuirebbe notevolmente l’efficacia dissuasiva: sarebbe infatti considerata alla stregua delle “consuete” prescrizioni (che, al pari delle grida manzoniane, vengono diffusamente violate senza conseguenze di particolare rilevanza). Un’ordinanza, invece, produrrebbe un effetto shock: farebbe capire che, dal giorno della sua entrata in vigore, tutte le cave dovranno davvero adeguarsi (pena serie ripercussioni produttive). Naturalmente il messaggio dovrebbe essere rafforzato dalla programmazione di un’intensa campagna di controlli.

    Suggeriamo quindi caldamente a MASE, ISPRA, ARPAT di rapportarsi con gli enti territoriali (Comuni, Provincia e Regione Toscana) fornendo loro –per l’autorevolezza del loro ruolo istituzionale– il supporto tecnico per la stesura e l’emanazione di tale ordinanza.
     
     

    Rimuovere gli ingenti quantitativi di marmettola
    abbandonati in passato nell’ambiente  

      

    L’obiettivo dell’ordinanza proposta è di interrompere definitivamente nuove immissioni nell’ambien­te di materiali fini o di altri inquinanti dilavabili dalle acque meteoriche. Resta però il problema di rimuovere le grandi quantità di tali materiali abbandonati in passato nell’ambiente, in particolare quelli impiegati nelle rampe interne alle cave (Fig. 3 I-N), nelle vie d’arroccamento (Fig. 3 O-Q) e nei ravaneti (Fig. 3 V-Z).

    Durante le piogge intense, infatti, le acque meteoriche assorbite dai ravaneti, scendendo verso il loro substrato roccioso, raccolgono e trascinano in sospensione i materiali fini (marmettola e terre). Una parte di queste acque torbide riemerge al piede del ravaneto e raggiunge i corsi d’acqua (inquinandoli) mentre un’altra parte –se incontra fratture connesse al sistema carsico– vi penetra conducendo all’acquifero e alle sorgenti ingenti quantità di marmettola.

     
     
     
    È possibile farsi un’idea concreta della portata e intensità di questi fenomeni guardando questo breve VIDEO (9 min).
     
     
     
     
     
    MARMETTOLA:
    dalle cave alle sorgenti

     

    La bonifica di queste ingenti quantità di marmettola è la vera “grande opera” di cui Carrara ha assoluto bisogno. Tuttavia, affinché non ne conseguano impatti secondari indesiderati, sono d’obbligo alcune avvertenze su come varia il comportamento idrologico dei ravaneti (e, di conseguenza, il rischio alluvionale) in relazione alla loro composizione granulometrica.
     
     

    I ravaneti: proteggono dalle alluvioni o le generano?

      

    Il quesito proposto dal titoletto è un trabocchetto poiché entrambe le risposte sarebbero sbagliate (o, quantomeno, incomplete). I ravaneti, infatti, possono ridurre grandemente le alluvioni, ma anche accentuarle in maniera catastrofica: dipende infatti da vari fattori ma, principalmente, dalla loro composizione granulometrica.

    Il modo più intuitivo di comprenderne il comportamento è quello di paragonarli a una copertura forestale (che, notoriamente, attenua le alluvioni rallentando notevolmente il deflusso delle acque meteoriche). Grazie alla loro intercettazione da parte della chioma, dello strato erbaceo e della lettiera, nonché al­l’infil­trazione, accumulo e lento scorrimento negli interstizi del suolo (reso permeabile dalle radici e dalla microfauna edafica), la forestazione ritarda e attenua i picchi di piena.

    Va però considerato che nel caso dei ravaneti, proseguendo le precipitazioni, il loro comportamento idrologico si inverte poiché i materiali fini sciolti (terre e marmettola) si comportano come le argille: 1) assorbendo acqua, si rigonfiano diventando impermeabili (il che impedisce l’ulteriore infiltrazione e favorisce lo scorrimento superficiale veloce), 2) il suolo diviene più pesante quindi più instabile (data l’elevata pendenza) e a un certo punto 3) le argille si liquefanno innescando una frana (più esattamente una colata detritica) che 4) trascina a valle ingenti masse detritiche (comprese le scaglie e altri materiali grossolani) che, depositandosi negli alvei sottostanti, 5) li intasano provocandone l’esonda­zione.

    È quanto avvenuto nella drammatica alluvione di Carrara nel 2003 (come appurato dai periti del tribunale).

    È essenziale sottolineare che l’inversione del comportamento idrologico dei ravaneti è dovuta al loro contenuto in materiali fini e, pertanto, non si verifica nei ravaneti costituiti da sole scaglie di marmo poiché queste, ovviamente, non liquefanno!

    Con questa chiave di lettura diviene facile comprendere perché gli attuali ravaneti (ricchi di terre e marmettola) si comportano come vere e proprie “fabbriche di alluvioni” mentre quelli di un secolo fa (costituiti unicamente di scaglie) svolgevano un ruolo importante nella loro attenuazione (Fig. 4). Per una chiara esposizione del ruolo idrologico dei ravaneti nello specifico contesto territoriale si rimanda al video Carrara prepara la prossima alluvione: fermiamola!  (25 min).

    In sintesi, si possono trarre le seguenti considerazioni:

    • date le elevate pendenze e l’assenza di copertura forestale, le acque meteoriche scorrono con elevata velocità lungo i versanti montani nudi, accentuando notevolmente i picchi di piena che si verificano in città;
    • in occasione di precipitazioni intense, la presenza di una copertura detritica dei versanti (ravaneti) svolge sempre (almeno in una prima fase) un ruolo di attenuazione del rischio alluvionale, grazie all’assorbimento di acque e al rallentamento del loro deflusso. Al prolungarsi delle precipitazioni, però:
      • se il ravaneto è costituito di sole scaglie continua a rallentare i deflussi e ad attenuare i picchi di piena;
      • se, invece, il ravaneto è ricco di frazioni fini, queste, imbibendosi e poi liquefacendosi, innescano colate detritiche che, intasando gli alvei, provocano alluvioni fin dai tratti montani.

    Da tali considerazioni emergono indicazioni della massima importanza pratica per la bonifica dei ravaneti dalla marmettola: la loro completa asportazione risolverebbe l’inquinamento da marmettola ma accentuerebbe le alluvioni, mentre l’asportazione dai ravaneti dei soli materiali fini produrrebbe il massimo dei benefici poiché, oltre a risolvere l’inquinamento da marmettola, fornirebbe un’impor­tante protezione della città dalle alluvioni.

    Le considerazioni fin qui svolte rappresentano il retroterra culturale che ci ha condotti a proporre i cosiddetti “ravaneti spugna”.
     

    Fig. 4. A e B: l’imponente trasformazione subita dai ravaneti è sintetizzata dalle due immagini-tipo della stessa cava riprese a un secolo di distanza: siamo passati da uno spesso strato assorbente di scaglie grossolane e minute (A) a un ravaneto di spessore notevolmente ridotto (indicato dalla freccia bianca a due punte) e con netta prevalenza di terre (quindi con minor rallentamento dei deflussi e maggior propensione a colate detritiche) (B). Il rischio di alluvioni è pertanto oggi ben più elevato del passato e sta crescendo ogni giorno. C: i ravaneti di un secolo fa erano rigonfi e privi di terre (perché provenienti dalle “varate” con esplosivi). D: L’asportazione di scaglie per produrre il carbonato di calcio li ha ridotti di spessore e arricchiti di terre e marmettola.

     
     

    La grande opera: realizzare i ravaneti spugna

       

    La realizzazione dei ravaneti spugna richiede la completa asportazione, fino al substrato roccioso, dei ravaneti attuali (compresi quelli che supportano le vie d’arroccamento) e la loro ricostruzione con sole scaglie, allontanando terre e marmettola. Naturalmente occorrerà adottare criteri tecnici che ne assicurino la stabilità nei confronti del rischio idrogeologico e sismico e accorgimenti costruttivi che trasmettano l’idea di un genius loci rispettoso anche degli aspetti paesaggistici (Fig. 5).
     

    Fig. 5. A e B: Bastione di un secolo fa costruito con la tecnica dei muri a secco (A), in parte ancora integro oggi (B). C e D: antichi bastioni subverticali ancora integri. E: schema di ravaneto spugna di spessore incrementabile negli anni (in rosso). F: muro odierno in blocchi, a sostegno di una via d’arroccamento.

     
    Per il contenimento delle scaglie si può ricorrere alla tecnica recente dei bastioni in blocchi (Fig. 5E e 5F) o, ancora meglio, all’antica tecnica dei muri a secco che, oltre ad assicurare una maggior permeabilità, hanno dimostrato di essere adatti a qualunque pendenza e una stabilità per molti decenni.

    Per il materiale di riempimento va considerato che tanto minore è la dimensione delle scaglie di marmo (anche se, dal punto di vista della funzionalità idrologica, potrebbe essere impiegata qualsiasi roccia) tanto più il percorso che deve compiere l’acqua assorbita diviene tortuoso (quindi si allunga): ciò, unitamente alla perdita di energia per attrito, rallenta notevolmente il deflusso delle acque. Ne risultano picchi di piena più ritardati e sensibilmente più bassi.

    Ne discende che una efficace composizione dei ravaneti spugna (a parte la parete di contenimento) è una miscela di scaglie di varia dimensione, da pochi mm a qualche dm. Programmando il loro progressivo aumento di spessore, i ravaneti spugna apporterebbero negli anni un contributo rilevante e crescente alla riduzione delle alluvioni.

    I costi della realizzazione dei ravaneti spugna potrebbero essere posti a carico delle cave, anche come mitigazione del danno ambientale arrecato.

    Nonostante l’imponenza dei lavori e la loro presumibile durata, occorre avere la piena consapevolezza che senza di essi l’inquinamento da marmettola dei corsi d’acqua e dell’acquifero non potrà trovare una definitiva soluzione poiché i ravaneti continueranno a rilasciarne ingenti quantità per molti decenni.

    Invitiamo pertanto caldamente tutti i destinatari a farsi parte attiva per concordare una strategia d’azione volta a dare concreta soluzione ai problemi ambientali generati dalla marmettola (ottenendo contestualmente il rilevante beneficio sociale ed economico della riduzione delle alluvioni).

     

    Carrara, 27 luglio 2024
    Legambiente Carrara
     



    Per saperne di più:

    Sulle problematiche tra cave, dissesto idrogeologico, alluvione, siccità:

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    Come le cave inquinano le sorgenti (conferenza, illustrata) (17/3/2006)

    Inquinamento delle sorgenti. Mancano i filtri? No, manca la prevenzione! (4/12/2005)

    Frigido: vent’anni di indagini chimiche, biologiche ed ecologiche  (Arpat, 2003)

    Impatto ambientale dell’industria lapidea apuana (1991)

    Impatto della marmettola sui corsi d’acqua apuani  (volume 1983)

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