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Marmo: la città e l’ambiente pagano e gli utili vanno a pochi

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In quest’ultimo periodo, abbiamo assistito ad alcune esternazioni veramente inaccettabili.

Ha iniziato il presidente Giani a Gorfigliano, sostenendo che il Parco delle Apuane non deve essere un vincolo, ma un elemento di promozione delle attività estrattive e che sull’Altissimo si deve poter escavare come a Carrara, cioè senza tanti limiti, in modo che non si abbia un’estrazione di serie A (Carrara) e una di serie B (Garfagnana). Un attacco al Parco decisamente inopportuno, proprio mentre il Piano integrato del Parco (PIP) è sotto attacco da parte di alcuni sindaci e industriali che intendono fermarne l’adozione per poterlo stravolgere a vantaggio delle cave. Proprio per impedirlo, insieme alle maggiori associazioni nazionali (Arci, CAI, Italia Nostra e WWF), Legambiente ha chiesto nei giorni scorsi alla Regione di procedere all’immediata adozione del PIP.

È stata poi la volta del presidente di Confindustria, Venturi, che, a difesa del mondo del marmo, snocciola cifre per far capire ai cittadini di Carrara quanto sono fortunati a vivere in una città su cui l’industria lapidea riversa così tanti benefici.

Peccato che dimentichi i costi, ambientali ed economici, che l’escavazione riversa sulla città.

Cominciamo dalla famigerata strada dei marmi, costruita con i denari dei carrarini, che ha reso per anni il nostro comune il secondo più indebitato d’Italia e per il cui transito, riservato solo al trasporto del marmo, non è previsto neppure un pedaggio a coprire le spese di gestione.

Eppure, alla fine dell’Ottocento, gli industriali del marmo costruirono a loro spese la ferrovia marmifera, un’opera ardita e di grande bellezza architettonica! Dunque la strada dei marmi avrebbero tranquillamente potuto pagarsela le imprese del lapideo, visti gli utili stratosferici che fanno!

E i denari pubblici spesi per la depurazione delle sorgenti inquinate dalla marmettola? E quelli impiegati per riparare le strade dissestate dai camion, per il lavaggio, per la manutenzione della strada dei marmi? E i danni per la salute causati dalle polveri? Tutte queste esternalità, chi le paga?

Senza contare i danni ambientali: la distruzione delle nostre montagne, le alluvioni subite (causate, secondo la perizia del tribunale, dalle cave che hanno abbandonato le terre nei ravaneti), le fosse demaniali ricoperte dai detriti dell’escavazione e via dicendo.

Gli imprenditori si dimostrano, invece, sempre più abili sul piano della “narrazione”: associano l’estrazione del marmo a Michelangelo, ma tacciono il fatto che meno dell’1% del materiale estratto serve per la scultura, contro oltre l’80% che alimenta l’industria del carbonato di calcio; dichiarano la loro cura per l’ambiente, mentre abbandonano al monte terre e marmettola con i rischi conseguenti; spacciano l’industria del carbonato di calcio per “economia circolare”, senza considerare che il primo requisito di quest’ultima è la riduzione degli scarti (che, oggi, in qualche caso superano anche il 90%): solo dopo averlo soddisfatto, viene il loro riciclaggio.

C’è poi l’insopportabile “lamentazione” sulla filiera e sul fatto che non tutti potranno raggiungere il fatidico 50%.

Facciamo presente che lavorare in loco il 50% dell’escavato è un obbligo di legge per ottenere, in premio, la proroga delle “concessioni” (che poi sarebbero in realtà autorizzazioni a escavare perché le vere concessioni si contano sulle dita di una mano).

Nello stipulare le convenzioni con il Comune di Carrara, gli imprenditori erano ben consapevoli di quell’obbligo, in cambio del quale, peraltro, hanno ricevuto un bel premio: continuare a lavorare le cave per altri 25 anni, senza dover sottostare subito alle gare (col rischio di perderle). Dunque, se ora qualcuno si è accorto che non è in grado di ottemperare all’obbligo, rinunci alla proroga o si limiti a escavare solo i quantitativi di cui può lavorare in filiera il 50%. Un premio, infatti, non è un diritto, ma va meritato rispettandone le condizioni!

D’altra parte, i nostri imprenditori sono soliti stringere accordi con l’Amministrazione per poi precipitarsi subito dopo dagli avvocati e presentare ricorsi su ricorsi (moltissimi e con fortuna alterna!) contro gli stessi accordi siglati poco prima, incuranti del fatto che i costi legali per opporsi alle cause intentate da loro ricadranno sulla cittadinanza.

Dobbiamo, infine, tenere a mente questo concetto: l’escavazione è un danno ambientale per la città (e più in generale per le Apuane) e ha un senso consentirla, con le dovute limitazioni, solo se porta lavoro e benessere per tutta la comunità.

Si rifletta sui dati: considerando solo le prime cinque aziende lapidee carraresi che appaiono nella classifica dei maggiori fatturati, si sommano valori per oltre 199 milioni di euro che generano complessivamente utili per quasi 53 milioni (solo per le prime cinque!). Ancora più sconcertante è che fra le cinque ve ne sono due per le quali l’utile supera in un caso il 42% e in un altro addirittura il 47% del fatturato (dati ufficiali dei bilanci 2022). Non ci vuole molto per rendersi conto che su, al monte, c’è qualcosa che non va: i profitti sono molto alti, ma per pochi, mentre i costi –anch’essi molto alti– gravano sulla collettività. Del resto in città c’è povertà diffusa e gli stessi enti, Amministrazione comunale compresa, e le associazioni che si occupano del sociale (religiose e laiche) possono ben testimoniarlo.

Possiamo quindi suggerire al presidente Venturi di essere più cauto perché, nella vita vera, la ricaduta sulla città della ricchezza prodotta dal settore lapideo è decisamente limitata.

Carrara, 14 marzo 2024
Legambiente Carrara

 

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