Dimensione testo » A+ | A–

Esposto alla Procura sulla “fabbrica delle alluvioni” carrarese

Share
Print Friendly, PDF & Email


 
 

Alla Procura delle Repubblica di Massa
piazza A. De Gasperi, 1 – 54100 Massa

 
Oggetto: L’aggravio del rischio idrogeologico e alluvionale sul territorio del Comune di Carrara. Esposto dell’associazione Legambiente Carrara APS

I recenti eventi che hanno duramente colpito la Regione Toscana, particolarmente la Piana Fiorentina ma anche molte altre zone del territorio, ci hanno indotto a richiamare la Vostra attenzione su una serie di elementi, atti e fatti, commissivi od omissivi, che sulla base di consolidate evidenze scientifiche ben possono essere considerati fattori di aggravio del rischio idrogeologico e di incremento esponenziale della probabilità del verificarsi di un evento alluvionale (ciò che, in pubblicistica, abbiamo definito come vera e propria “fabbrica delle alluvioni”).

Per questi motivi la scrivente Associazione

chiede

che l’Ecc.ma Procura della Repubblica adita voglia disporre gli opportuni accertamenti in ordine ai fatti così come esposti dettagliatamente in narrativa, valutando gli eventuali profili d’illiceità penale degli stessi e, nel caso, individuare i possibili soggetti responsabili al fine di procedere nei loro confronti.

In particolare si portano alla Vostra attenzione i seguenti elementi.

  1. Già la perizia dei C.T. della Procura di Massa volta a individuare eventuali cause antropiche dell’alluvione di Carrara del 23/9/2003 aveva indicato il ruolo determinante svolto dalla cattiva gestione dei detriti delle cave di marmo (ravaneti), in particolare perché il loro elevato contenuto in terre di cava ne induceva (come continua ad indurne) la franosità, con conseguente esondazione per l’intasamento con detriti degli alvei sottostanti
  2. Lo studio idraulico dell’Università di Genova (relazione Seminara, 2016) – nel confermare il rischio alluvionale indotto dai ravaneti – ha altamente raccomandato la rimozione delle terre dai ravaneti, avvertendo che la sua mancata attuazione avrebbe compromesso la stessa efficacia degli interventi idraulici in corso di realizzazione per la messa in sicurezza del T. Carrione
  3. Nonostante la chiara individuazione delle cause delle alluvioni di Carrara e degli interventi necessari per la loro rimozione, si è, nei decorsi vent’anni, proseguita una conduzione dei ravaneti che, impoverendoli di scaglie e arricchendoli di terre, induce – anche a parità di precipitazioni – l’accentuazione dei conseguenti picchi di piena
  4. In estrema sintesi: non solo le cave di marmo accrescono il rischio alluvionale, ma anche lo stesso Comune, con le sue azioni e omissioni nel disciplinare le attività estrattive, si comporta come una “fabbrica di alluvioni”: gestisce cioè il bacino montano come se ignorasse che in tal modo si accresce il rischio alluvionale o ritenesse che, comunque, ciò non sia materia di sua competenza
  5. Sebbene l’intento del presente esposto sia di carattere preventivo (volto cioè a evitare una nuova alluvione o, almeno, a contenerne i danni), i fattori sopra citati hanno già concretamente prodotto un aggravamento del rischio alluvioni (anche se i suoi effetti si manifesteranno con le prossime alluvioni).

 
Si richiama altresì la Vostra attenzione, in particolare, sui seguenti fattori che hanno ulteriormente aggravato il rischio alluvioni:

  • la mancata rimozione delle terre dai ravaneti (già individuati dai C.T. della Procura come determinanti nell’alluvione del 2003) e dai versanti montani
  • l’ulteriore asportazione di scaglie dai ravaneti e il loro arricchimento in terre
  • il mancato svuotamento delle cavità delle cave a fossa e, anzi, l’ulteriore riempimento di tali cavità
  • l’ulteriore compromissione del bacino montano conseguente alla mancata adozione delle raccomandazioni contenute nella citata relazione Seminara del 2016.

Nell’auspicio dunque che l’Ecc.ma Procura della Repubblica adita voglia procedere a ulteriori accertamenti, per fornire un quadro d’insieme delle principali problematiche si illustreranno di seguito:

  1. le ragioni climatiche e geografiche, nonché gli specifici fattori territoriali che – rendendo Carrara a rischio alluvionale particolarmente elevato – imporrebbero la massima attenzione nel pianificare e gestire il bacino montano;
  2. una breve sintesi della perizia svolta dai C.T. della Procura sulle cause dell’alluvione del 2003;
  3. indicazioni gestionali che consentirebbero, non solo di ottenere una sostanziale riduzione del rischio, ma addirittura di convertire i ravaneti da fattori di rischio in fattori di sicurezza;
  4. alcuni elementi strategici del masterplan del Carrione;
  5. le modalità di gestione dei ravaneti e delle aree di immagazzinamento idrico, la cui inadeguatezza induce un incremento del rischio alluvioni.

 

1A     Le condizioni climatiche e geografiche sono ad elevato rischio alluvionale

 

  • Com’è ormai noto, il riscaldamento globale produce un’accentuazione della frequenza e dell’intensità degli eventi meteorologici estremi (alluvioni, siccità, ondate di calore ecc.)
  • il Mar Mediterraneo ha subito un riscaldamento particolarmente accentuato: ciò accresce l’evaporazione e l’energia dei fenomeni temporaleschi
  • a causa della ciclogenesi del golfo ligure quelli che sono stati definiti “eventi estremi” colpiscono soprattutto i territori costieri tosco-liguri. Lo testimoniano le recenti alluvioni: F. Versilia, 19 lug. 1996 (14 vittime); Cinque Terre, Val di Vara e Lunigiana, 25 ott. 2011 (13 vittime); Livorno, 9-10 sett. 2017 (8 vittime); Genova, 4 ott. 2010 (1 vittima), 4 nov. 2011 (6 vittime) e 9/10 ott. 2014 (1 vittima); Toscana (dalla Piana Fiorentina a Livorno), 2 nov. 2023 (8 vittime)
  • nei soli primi 20 anni di questo secolo 2000 Carrara ha già subito 4 alluvioni (23 sett. 2003, 10/11 nov. 2012, 28 nov. 2012 e 5 nov. 2014), pari a quelle subite nell’intero secolo scorso (27 ott. 1949, 24 lug. 1968, 16 nov. 1968 e 24 sett. 1982)

Questi pochi dati, oggettivi, indurrebbero a ritenere il cambiamento climatico come un elemento che impone maggior prudenza tale da comportare un upgrading delle attività di prevenzione (che non possono limitarsi al sistema di allerta). Per la loro sempre maggior frequenza, le precipitazioni intense in un ristretto arco temporale non rappresentano più eventi eccezionali e richiederebbero – anche a parere di una larga maggioranza del mondo scientifico – un radicale ripensamento della gestione del territorio, considerando che le precipitazioni sono solo “concausa” di esondazioni e alluvioni, unitamente alla crescente impermeabilizzazione dei terreni e al consumo di suolo che, nelle cave apuane e sui loro ravaneti, vede una peculiare declinazione.

 

1B.    Fattori antropici locali che aggravano ulteriormente il rischio alluvionale a Carrara

 

Il quadro d’insieme delle problematiche (cause e soluzioni) oggetto dell’esposto è illustrato nel video “Carrara prepara la prossima alluvione. Come evitarla” (23/9/2023, 25 min) reperibile sul nostro sito e riportato (solo slide e testo di commento) nell’Allegato 1. Di seguito se ne riporta una breve sintesi.

L’alluvione del 23/9/2003 iniziò direttamente al monte con estesi fenomeni franosi che interessarono quasi tutti i ravaneti dei vari bacini marmiferi i cui detriti, colmando gli alvei sottostanti, provocarono diffuse esondazioni dei corsi d’acqua montani. Le acque, scorrendo impetuose negli alvei (che si ripresero il loro corso originario, in vari tratti occupato da strade), raggiunsero Carrara esondando ad ogni ponte (ostruito dai detriti dei ravaneti franati e dagli alberi provenienti dalle frane dei versanti) e, scorrendo sulla via Carriona con un’altezza di oltre 2 metri, travolsero auto e uccisero in casa sua la signora Idina Nicolai. Proseguendo, esondarono nel viale XX Settembre e in numerosi altri punti inondando segherie e abitazioni, Avenza e Marina.

In sintesi, le conseguenze devastanti dell’alluvione, innescata da precipitazioni intense ma non eccezionali, sono state aggravate in maniera determinante dalla riduzione della capacità degli alvei causata dalle ingenti quantità di detriti che, provenendo dalle frane dei ravaneti, si sono depositate negli alvei.

Rammentando che queste colate detritiche (debris flow), dotate di una dirompente capacità erosiva, sono indotte dalla fluidificazione delle terre in essi contenute, si può concludere che l’elevato contenuto in terre dei ravaneti ha svolto un ruolo molto rilevante nell’amplificare l’entità dell’alluvione e nell’aggravarne le conseguenze.

D’altronde è ben noto che l’entità delle alluvioni non dipende solo dall’entità delle precipitazioni (come, in maniera semplicistica, molti pensano), ma è fortemente condizionata dallo stato dei versanti montani: se questi sono lisci e poco permeabili l’intero volume d’acqua caduto raggiunge rapidamente Carrara con un picco di piena particolarmente accentuato; se, invece, i versanti sono permeabili e dotati di elevata scabrezza, il deflusso delle acque è rallentato e si distribuisce quindi su un tempo più lungo producendo un picco di piena più basso.

Confrontando i versanti attuali con le foto di un secolo fa risulta palese l’imponente trasformazione verificatasi. Allora, infatti, i versanti erano rigonfi di scaglie di marmo e con scabrezza elevatissima per la spessa copertura di ravaneti derivanti dalle “varate” con l’esplosivo (quindi costituiti da sole scaglie, senza terre) e, pertanto, attenuavano fortemente le alluvioni (anche se, probabilmente, non se ne aveva consapevolezza).

A partire dai primi anni ’90, con l’avvento del business del carbonato di calcio, le scaglie non sono più state riversate nei versanti ma, assieme a quelle prelevate dai ravaneti, sono state sottoposte a fine macinazione per ottenerne carbonato.

I ravaneti, pertanto, si sono ridotti di spessore, impoveriti di scaglie (riducendo quindi la permeabilità e la scabrezza) e arricchiti di terre (quindi con maggior propensione a innescare colate detritiche). In poche parole, i ravaneti si sono così trasformati da fattore di sicurezza idraulica in fattore di rischio alluvionale.

Buona parte delle terre di cava, invece, nonostante l’obbligo all’allontanamento, è stata abbandonate al monte colmando le cavità delle cave a fossa dismesse e creando ravaneti (costituiti prevalentemente da terre) e discariche in rilevato. Tale colmamento è stato autorizzato anche per consentire l’accesso ai mezzi meccanici e riprendere così l’escavazione da quote più elevate.

Per la loro facile erodibilità, questi ravaneti e queste discariche forniscono al trasporto fluviale quantità di detriti migliaia di volte superiori a quelli prodotti dalla disgregazione naturale delle rocce. Questi detriti, depositandosi negli alvei, ne riducono la capacità (gradualmente con le piogge ordinarie o in maniera improvvisa e catastrofica con le precipitazioni intense), rendendoli insufficienti al transito delle piene e provocando così esondazioni.

È dunque in questo senso e per questi motivi che riteniamo che tale gestione del bacino montano costituisca una vera e propria “fabbrica di alluvioni” che il Comune dovrebbe fermare e riconvertire in una “fabbrica di sicurezza”.

 

2.   La perizia dei C.T. della Procura sulle cause antropiche dell’alluvione del 2003

 

Riportiamo qui un’estrema sintesi delle principali conclusioni della perizia del prof. Bellini e dell’ing. Misurale (Allegato 2), pur consapevoli che sarà agevole per il Vostro Ufficio reperirne il testo integrale nei Vostri atti.

L’evento pluviometrico che ha originato l’alluvione è stato intenso ma non eccezionale. La portata di piena è condizionata non solo dalle piogge, ma anche dall’uso del suolo nel bacino montano. I calcoli idraulici stimano solo le portate liquide ma non tengono conto del trasporto solido (detriti) e di quello galleggiante (es. rami, tronchi) che, nell’evento specifico, hanno svolto un ruolo determinante sugli effetti dell’alluvione.

Buona parte dei ravaneti è sottoposta a attività estrattiva delle scaglie, lasciando al monte buona parte dei fanghi di marmettola e delle terre. Nell’alto bacino le cave hanno cancellato il reticolo idrografico (seppellendolo con i loro detriti). Le piogge hanno decisamente inciso ed eroso i detriti dai ravaneti, alcuni dei quali, soggetti a coltivazione delle scaglie (quindi arricchitisi delle frazioni fini), sono franati apportando ingenti quantità di detriti agli alvei e alle strade (es. via Colonnata a Mortarola, via Torano-Ravaccione a Piastra).

Il restringimento degli alvei effettuato in passato per allargare le strade ha reso gli alvei insufficienti inducendo la piena a scorrere anche sulle strade. Il comportamento del fosso Gragnana (che scorre in un bacino non marmifero) è stato decisamente diverso da quello dei corsi d’acqua dei bacini marmiferi: ha subito la piena con danni limitati e ha trasportato prevalentemente materiali fini. Ciò conferma il ruolo importante nella generazione dei danni dell’alluvione svolto (nei bacini marmiferi) dai detriti di marmo franati o trasportati negli alvei.

Si rileva inoltre la cronica scarsa manutenzione degli alvei dalla vegetazione e dai depositi di detriti. Altre criticità sono dovute a restringimenti dell’alveo e a ponti, passerelle, coperture, opere non autorizzate ecc. Viene segnalata anche l’assoluta insufficienza delle misure di Protezione Civile predisposte. In conclusione, le attività estrattive, per come sono condotte (con particolare riferimento ai loro detriti), hanno svolto un ruolo determinante nella connotazione dell’evento alluvionale (hanno cioè aggravato gli effetti conseguenti alla sola portata liquida).

A commento della perizia facciamo presente che oggi, a venti anni di distanza, le principali cause dell’alluvione in essa individuate non solo sono tuttora presenti, ma si sono aggravate; in particolare l’arricchimento in terre dei ravaneti e il loro impoverimento in scaglie hanno accentuato ulteriormente il rischio di colate detritiche e del conseguente intasamento degli alvei.

Evidenziamo inoltre che, a causa della ridotta permeabilità e scabrezza dei ravaneti ricchi di terre, viene accentuata anche la velocità di deflusso delle acque; pertanto, per precipitazioni di una data intensità, vengono accentuati anche i picchi di piena della portata liquida.

 

3.   Convertire il bacino montano in una fabbrica di sicurezza: i ravaneti spugna

 

La scrivente Associazione ha, in questi anni, ripetutamente proposto, per riconvertire i ravaneti da “fabbrica di rischio” a “fabbrica di sicurezza”, programmi e progetti a nostro giudizio indispensabili per rallentare il deflusso delle acque realizzando i cosiddetti “ravaneti spugna”: a tal fine occorre smantellare i ravaneti attuali fino al substrato roccioso, eliminare le terre (poiché, liquefacendosi con le piogge, ne innescano le frane) e ricostruirli con sole scaglie pulite che, grazie alla loro permeabilità e scabrezza, rallentano i deflussi e riducono i picchi di piena.

Una autorevole conferma dell’attenuazione delle alluvioni esercitata dalla scabrezza e permeabilità dei ravaneti viene dallo studio dell’università di Firenze che, a seguito di una nostra richiesta, ha ricalcolato le portate di piena previste per il Carrione. Ne è risultato che (tenendo conto del ruolo idrologico dei ravaneti, in precedenza non considerato) l’alveo in centro città deve far fronte a una piena ridotta (97 anziché 140 m3/s): un risultato di tutto rispetto, che ha consentito di salvare i ponti storici dall’abbattimento o sollevamento (Allegato 3: paragrafi 5 e 6).

Tale risultato consente di affermare senza ombra di dubbio che (come abbiamo richiesto, finora inascoltati), per ottenere una riduzione veramente rilevante della frequenza e dell’intensità delle alluvioni, dovremmo realizzare i ravaneti spugna e incrementarne progressivamente negli anni lo spessore (e/o ampliarne l’estensione).

Un altro intervento di grande utilità sarebbe lo svuotamento delle numerose cavità delle cave dismesse (oggi sepolte o riempite da detriti): indirizzando in esse le acque di ruscellamento, infatti, queste cavità tratterrebbero notevoli quantità d’acqua che, grazie a scarichi tarati, sarebbero restituite ai fiumi dopo parecchie ore (quando ormai il picco di piena è già transitato). Anche queste cavità, funzionando come bacini di laminazione delle piene, contribuirebbero a prevenire le alluvioni o, comunque, a ridurne l’entità.

La realizzazione dei ravaneti spugna e dei bacini di laminazione è dunque la vera “grande opera” di risanamento di cui Carrara ha bisogno.

Purtroppo la prevenzione delle alluvioni non è affidata ad alcun ufficio comunale, forse ritenendo (erroneamente) che non si tratti di un compito del Comune, bensì della Regione, visto che essa ha elaborato il masterplan del Carrione prevedendo numerosi interventi su tutta l’asta fluviale (nuovi argini, consolidamenti, eliminazione di strozzature idrauliche, una galleria di bypass del centro storico di Carrara, invasi temporanei al monte ecc.) e li sta realizzando gradualmente (occorreranno molti investimenti e molti anni).

 

4A.     La strategia del masterplan: trattenere al monte la piena duecentennale

 

Un aspetto centrale della strategia del masterplan, che recepisce le indicazioni dell’università di Genova (relazione Seminara: vedi Allegato 4), è la previsione di adeguare l’asta principale del Carrione (da Carrara al mare) alla sola portata di piena trentennale (Q30), visti i costi improponibili dell’adeguamento alla duecentennale (Q200).

Ciò considerato, il masterplan affida la protezione del centro città al bacino montano demandandogli il compito di trattenere la Q200 realizzando una serie di invasi temporanei con sbarramenti a bocca tarata che lascino transitare la Q30 trattenendo temporaneamente le portate superiori. Si tratta di una scelta condivisibile ma che, per essere efficace, richiede che la gestione del bacino montano sia assunta dal Comune come una questione altamente strategica.

In particolare, tenuto conto che per motivi tecnici (interferenza con strade, con insediamenti artigianali ecc.) sarà probabilmente possibile realizzare solo 2 o 3 degli 11 invasi montani ritenuti efficienti (tra i 16 studiati), diventa fondamentale compensare il deficit di sicurezza con la realizzazione dei ravaneti spugna e con il recupero diffuso delle cavità di cava come invasi temporanei (comprese quelle riempite, che dovrebbero, a parere nostro, essere svuotate).

Va infine ricordato che la citata relazione Seminara avverte (pag. 5) che la mancata attuazione degli interventi “raccomandati” nel bacino montano (per regolare sia le portate di piena che l’apporto agli alvei dei detriti provenienti dai ravaneti) comprometterebbe non solo la capacità di quest’ultimo di proteggere il centro città dalle alluvioni, ma anche la stessa stabilità nel tempo degli interventi previsti dal masterplan da Carrara al mare.

La stessa relazione sottolinea ancora (pag. 93-94) l’insostenibilità dell’enorme carico (milioni di ton annue) di materiali fini (terre e marmettola) scaricati nei ravaneti e la necessità che il piano di gestione preveda la rimozione dei materiali fini dai ravaneti e il ripristino della funzionalità del reticolo idrico montano (sepolto dai detriti delle cave).

Su quest’ultimo aspetto merita segnalare che il Comune, non solo non ha provveduto a prescrivere alle cave il ripristino della funzionalità del reticolo idrografico minuto (non più visibile in quanto sepolto dai detriti di cava) ma, su richiesta delle cave, si è attivato in senso contrario: sta infatti procedendo, in accordo con la Regione Toscana, alla sdemanializzazione dei fossi occupati dalle cave.

Si dimentica però che – come stabilisce la L.R. 79/2012 – questi fossi appartengono al demanio idrico proprio al fine di «garantire il buon regime delle acque, prevenire e mitigare i fenomeni alluvionali». Pertanto la loro sdemanializzazione comporterebbe non solo la rinuncia al demanio idrico e una sanatoria generalizzata per le cave ma, soprattutto, la rinuncia a “prevenire e mitigare i fenomeni alluvionali”, scaricando così il rischio idraulico sulla città (vedi Allegati 5A, 5B e 5C).

 

4B.     La competenza sulla gestione del bacino montano

 

Dal punto di vista delle competenze è della massima importanza evidenziare che questi interventi di gestione del bacino montano, pur essendo imprescindibili per la sicurezza della città e altamente “raccomandati” dalla relazione Seminara, non fanno parte integrante del masterplan: in altre parole, non saranno eseguiti dalla Regione (e, implicitamente, sono di competenza del Comune).

Tale concetto è chiarito anche nella “Risposta a nota Legambiente Carrara” della Direzione Difesa del suolo della Regione (10/9/2018: vedi Allegato 6). In chiusura di tale risposta si chiarisce che le azioni sui ravaneti esistenti indicate da Legambiente «sono da rapportare alle concessioni e/o alla proprietà e non si ritiene che afferiscano alle competenze di tipo idraulico e idrologico [della Regione: ndr]». Tradotto: non sono di competenza della Regione, bensì del Comune che dovrà prescriverle nell’ambito della disciplina delle concessioni alle attività estrattive (o attuarle con altri piani o strumenti).

 

5A.     Come il Comune gestisce il bacino montano? 1: ravaneti

 

Purtroppo la pianificazione comunale (in particolare i PABE: Piani Attuativi dei Bacini Estrattivi), pur ben consapevole della necessità di rallentare i deflussi e di evitare l’eccessivo apporto di sedimenti agli alvei, si limita poi a prescrizioni talmente minimali da risultare palesemente del tutto inadeguate.

A onor del vero, le Norme tecniche di attuazione (NTA) del PABE (Allegato 7) si propongono espressamente (art. 5, comma d) di «tutelare il territorio dal rischio idraulico e geomorfologico» e il Quadro Conoscitivo dei PABE contiene un ottimo approfondimento delle problematiche dei ravaneti per i quali, secondo il loro stato (antichi, recenti, rinaturalizzati), vengono date precise indicazioni sugli interventi ammessi e su quelli vietati.

In particolare, l’art. 31 delle NTA del PABE individua (nelle aree cartografate come R1) i ravaneti in cui sono ammessi solo interventi di riqualificazione ambientale e paesaggistica, di consolidamento, di regimazione idraulica e opere infrastrutturali purché favoriscano la rinaturalizzazione e la stabilizzazione dei detriti.

L’art. 32 individua (nelle aree indicate con R2) i ravaneti soggetti a tutela per la funzione di immagazzinamento idraulico; questi possono essere oggetto di opere oppure essere rimossi solo previa approvazione di un progetto di compensazione idraulica.

Ai fini del presente esposto, l’aspetto cruciale da sottolineare è che – sulla base degli art. 31 e 32 – interventi sui ravaneti volti a ridurre il rischio alluvioni (del tipo dei ravaneti spugna o comunque li si voglia denominare), sono ammessi sia nelle aree R1 che in quelle R2 ma nessuna norma li prescrive (né ne suggerisce o raccomanda la realizzazione).

Pertanto, poiché la loro eventuale realizzazione è lasciata alla sensibilità dei titolari di autorizzazione estrattiva verso la protezione della città dalle alluvioni (della quale è più che lecito dubitare) se ne deve concludere che l’obiettivo di tutela dal rischio idraulico e geomorfologico dichiarato all’art. 5, comma d delle NTA non è poi concretamente perseguito con norme adeguate al drammatico livello di rischio alluvionale che grava sulla città.

In particolare, le norme regolamentano l’attività delle sole cave autorizzate: si propongono dunque di evitare un ulteriore aumento del rischio alluvionale ma non quello di rimuovere il rischio (già presente ed elevatissimo) indotto dalle cave dismesse e dai loro depositi detritici abbandonati. Nessuna norma, infatti, prescrive la rimozione delle ingenti quantità di terre e marmettola accumulatesi in passato al monte, né nei ravaneti né nelle innumerevoli discariche (in riempimento o in rilevato), comunque siano denominate (si vedano vari esempi nell’Allegato 8: Allarme terre di cava: il rischio alluvionale è aumentato!”).

È quindi indispensabile che il Comune (integrando i PABE o con altri interventi, piani o programmi) prenda piena coscienza delle sue responsabilità e adotti le misure conseguenti.

 

5B.      Come il Comune gestisce il bacino montano? 2: Aree di immagazzinamento idrico

 

Il PABE, istituendo le “Aree di immagazzinamento idrico” (NTA, art. 30), prevede che, al termine dell’attività estrattiva, il progetto di risistemazione finale debba attrezzare le cavità esistenti (ad es. cave a fossa o a pozzo) come aree stabili di immagazzinamento e rilascio controllato delle acque. Mostra dunque piena consapevolezza del contributo che esse possono fornire alla mitigazione del rischio alluvionale.

Tale consapevolezza, tuttavia, non è accompagnata da una conseguente assunzione di responsabilità. Per le cave attive, infatti, la norma adottata rinvia il conseguimento dei benefici idraulici al termine dell’attività estrattiva (quindi, generalmente, dopo svariati decenni) ma, soprattutto, per le cave dismesse vi rinuncia del tutto.

Ma ciò che desta ancor più sconcerto emerge dall’esame della cartografia: le aree di immagazzinamento idrico effettivamente individuate sono infatti pochissime e talmente minuscole da apportare un contributo migliaia di volte inferiore a quello che si otterrebbe svuotando le cavità di cava colmate da detriti; un contributo dunque sostanzialmente irrilevante per la riduzione delle alluvioni (si vedano il par. 9 e la Fig. 19 nell’Allegato 9 Cave: la V.I.A. non trascuri rischio alluvioni e siccità

In definitiva, il PABE (per il giudizio dato dall’Associazione si veda l’Allegato 10: Osservazioni ai PABE. Tanti studi per nulla: un futuro uguale al passato), presenta un grave limite di fondo: mira, peraltro in maniera inefficace, a prevenire l’ulteriore aggravamento delle alluvioni ma non affronta di petto la rimozione del pur elevatissimo rischio attuale.

Un aspetto ulteriore da tener presente, infine, è che i livelli di rischio attualmente considerati si fondano sulla serie storica di misura delle portate (per Carrara delle precipitazioni): non tengono cioè conto dell’incremento del rischio (in termini di frequenza e di intensità) conseguente al riscaldamento globale e ai cambiamenti climatici in pieno corso (accennati nei paragrafi 1 e 2).

Quest’ultima considerazione, unitamente alle precedenti, rende del tutto evidenti la grave inadeguatezza delle norme emanate dal Comune di Carrara e l’assenza di interventi (o, almeno, di piani e progetti) volti a proteggere la città dalle alluvioni che – persistendo l’attuale conduzione del bacino montano – colpiranno inevitabilmente Carrara.
 

*****

 
La sottoscritta Mariapaola Antonioli chiede di essere avvisata ai sensi dell’art. 406 c.p.p. nel caso in cui il Pubblico Ministero avanzi formale richiesta di proroga delle indagini preliminari. Chiede di essere avvisata anche nel caso in cui, ai sensi dell’art. 408 c.p.p., il Pubblico Ministero presenti richiesta di archiviazione se la notizia di reato dovesse rivelarsi infondata.

Con osservanza.

Legambiente Carrara
la presidente Mariapaola Antonioli

 
ALLEGATI

1)     Legambiente Carrara, 23/9/2023. Carrara prepara la prossima alluvione. Come evitarla. (File PDF o link al video)

2)     Perizia (1/3/2004) dei CT della Procura (Bellini e Misurale) sulle cause antropiche dell’alluvione del 23/9/2003.

3)     Legambiente Carrara, 13/4/2019. Come ridurre il rischio alluvionale e salvare i ponti storici.

4)     Seminara e Colombini, DICCA univ. Genova, 2016. Studio idraulico del Torrente Carrione con analisi dei possibili interventi per la mitigazione del rischio.

5A)   Legambiente Carrara, 27/2/2021. Cave nelle fosse demaniali: rimediare agli abusi e fermare la fabbrica del rischio alluvionale.

5B)   Legambiente Carrara, 6/4/2021. Fosse occupate dalle cave: Regione, Comune e Demanio preparano la prossima alluvione?

5C)   Legambiente Carrara, 6/3/2023. Lettera aperta alla Sindaca: sdemanializzare i fossi di cava? Rischi e rimedi.

6)     Regione Toscana, Direz. Difesa suolo, 10/9/2018. Risposta a nota Legambiente Carrara..

7)     Comune di Carrara, ott. 2020: PABE Scheda n. 15: Norme Tecniche di Attuazione.

8)     Legambiente Carrara, 26/7/2018. Allarme terre di cava: il rischio alluvionale è aumentato!

9)     Lettera di Legambiente Carrara agli enti, 4/9/2023. Cave: la V.I.A. non trascuri rischio alluvioni e siccità.

10)   Legambiente Carrara, 16/9/2019. Osservazioni ai PABE. Tanti studi per nulla: un futuro uguale al passato.

 

Share