Carrara, 3 novembre 2023
Ministero dell’Ambiente e della Sicurezza Energetica
Direzione Generale Uso Sostenibile del Suolo e delle Risorse Idriche
Divisione IX- Danno Ambientale
USSRI@PEC.mite.gov.it
ISPRA, Centro nazionale per le crisi, emergenze ambientali e danno
protocollo.ispra@ispra.legalmail.it
ARPA Toscana
arpat.protocollo@postacert.toscana.it
Comuni di Carrara e di Massa: Sindaco, Assessore e uffici Marmo e Ambiente
comune.carrara@postecert.toscana.it camune.massa@postacert.toscana.it
Provincia di Massa Carrara
provincia.massacarrara@postacert.toscana.it
Regione Toscana: Assessore Ambiente e uffici Marmo e Ambiente
regionetoscana@postacert.toscana.it
Tutela Ambiente Montano – CAI Massa
nicola.cavazzuti@pec.it
Oggetto: Marmettola nei corsi d’acqua apuani: proposte per la soluzione del problema
1. Il carteggio MASE, ISPRA, TAM-CAI
Abbiamo letto con grande attenzione e interesse il carteggio tra ISPRA (11/10/2023) e MASE (23/10/2023) relativo alla “segnalazione inquinamento acque di superficie” dell’Associazione TAM-CAI Massa (prot. MASE n. 8842 del 13/04/2023) che documentava una forte torbidità delle acque del T. Carrione causata da polvere di marmo proveniente dalle cave di Carrara (dilavata dalle piogge e trascinata nei corsi d’acqua e nella falda).
In estrema sintesi, ci si è proposti di verificare se tale intorbidamento fosse suscettibile di integrare fattispecie di danno o minaccia di danno ambientale ed eventualmente di indicare le misure di riparazione ritenute necessarie, giungendo a concludere che:
- l’inquinamento da marmettola rappresenta una significativa criticità ambientale in quanto è in grado di deteriorare lo stato ecologico dei corsi d’acqua, generando un impatto anche a lungo termine, sia sull’elemento di qualità biologica “macroinvertebrati bentonici” sia sull’elemento idromorfologico “struttura e substrato dell’alveo”;
- non è tuttavia possibile valutare se ciò integri fattispecie di danno ambientale o minaccia di danno ambientale ai sensi e per gli effetti della parte sesta del D.lgs. 152/2006, poiché non è possibile individuare il responsabile, nonché l’eventuale evento, atto o omissione che ha causato l’inquinamento sul torrente Carrione;
- sarebbe dunque utile valutare l’opportunità di studiare dei monitoraggi ad hoc dei corpi idrici superficiali e sotterranei impattati, al fine di individuare le responsabilità individuali connesse al deterioramento dello stato ecologico e chimico dei corpi idrici.
Nel carteggio si prospetta infine la necessità di richiedere ai gestori dei siti estrattivi l’adozione di una serie di misure di prevenzione, peraltro già più volte ribadite nelle opportune sedi da ARPAT e dalla Regione Toscana.
Con il presente contributo Legambiente, condividendo pienamente la convinzione che è praticamente impossibile individuare in maniera inequivocabile le responsabilità individuali, suggerisce un più semplice e promettente approccio alternativo, basato sulla prevenzione degli eventi inquinanti che deteriorano lo stato dei corpi idrici superficiali e sotterranei.
2. Contributi precedenti (di Legambiente e ARPAT)
Sebbene l’argomento in discussione riguardi l’inquinamento da marmettola dei corsi d’acqua, va precisato che questo compromette anche l’acquifero e le sorgenti che ne scaturiscono (diverse delle quali forniscono l’approvvigionamento idropotabile della città di Carrara). I nostri documenti, pertanto, trattano congiuntamente entrambe le matrici ambientali.
2.1 Doc. “La Regione protegga le sorgenti dalle cave di marmo” (27/3/2014)
Analogamente al sopra citato documento dell’ISPRA, il nostro documento del 27/3/2014 “La Regione protegga le sorgenti dalle cave di marmo” (vedi Allegato 1) evidenzia che «la molteplicità delle possibili fonti di inquinamento di una data sorgente (derivante dalle intricate interconnessioni dei condotti nel reticolo carsico e dalla vastità dell’area d’alimentazione: Fig. 10) rende praticamente impossibile attribuire ad una data cava le responsabilità dell’inquinamento, non potendosi escludere la responsabilità di altre cave o di altre fonti inquinanti (anche lontane e in bacini diversi). È questa una delle principali criticità che limitano l’efficacia dei controlli dell’ARPAT (Ciacchini, 2013).»
Da tale considerazione «di importanza pratica determinante per la tutela delle sorgenti di tutto l’acquifero carsico delle Apuane» discendeva l’indicazione operativa «Se, infatti, ad inquinamento avvenuto non è possibile individuare e sanzionare il responsabile, è evidente che occorre prescrivere alle cave l’adozione di accorgimenti volti a PREVENIRE l’inquinamento delle sorgenti, sanzionando severamente le inadempienze».
A conferma della validità di questo approccio preventivo si riportava la positiva esperienza dell’ordinanza del Comune di Carrara che –a seguito di un grave episodio di inquinamento da oli esausti di cava di numerose sorgenti (1991)– conteneva diverse prescrizioni per la protezione delle sorgenti da idrocarburi di cava.
Dopo aver riportato che «Alla prova dei fatti, per le cave di Carrara le misure di prevenzione dell’inquinamento da idrocarburi si sono rivelate efficaci e non hanno comportato difficoltà né costi rilevanti: sono stati sufficienti un ammodernamento delle attrezzature e una nuova consapevolezza ambientale dei cavatori. È pertanto necessario estendere queste buone pratiche a tutte le cave apuane.» si evidenziava che, non essendo stata emanata un’ordinanza analoga per prevenire l’inquinamento delle acque superficiali e sotterranee dalla marmettola e dalle terre di cava, quest’ultimo problema è rimasto irrisolto e che «le misure attuali sono del tutto insufficienti, anche laddove sono prescritte» nelle autorizzazioni (in forma non stringente e priva di adeguate sanzioni).
2.2 Doc. “Marmettola: l’inquinamento autorizzato” (1/6/16)
Un giudizio particolarmente severo sull’inadeguatezza di tali misure è espresso nel nostro documento dell’1/6/2016 indirizzato al MATTM, alla Regione Toscana, al Parco Regionale delle Alpi Apuane e all’ARPAT (Allegato 2).
In esso si affermava che «L’acuta permanenza del problema, tuttavia, è la prova tangibile dell’inadeguatezza dell’insieme delle misure finora adottate. Né, a nostro parere, è possibile attendersi qualche significativo miglioramento dalle pur lodevoli misure che la Regione si propone di attuare, visto che anche nella recente corrispondenza epistolare non è stata messa a fuoco la causa fondamentale: sono le autorizzazioni stesse che, di fatto, rilasciano la licenza ad inquinare con marmettola!»
«Per quanto possa apparire inverosimile, sebbene tutto l’apparato normativo sia dichiaratamente finalizzato ad evitare l’inquinamento delle acque, la sua efficacia è vanificata dal fatto che nessuna autorizzazione all’attività estrattiva contiene l’elementare prescrizione di non esporre marmettola e terre al dilavamento meteorico. L’inquinamento da marmettola non è quindi (solo) il frutto di violazioni delle prescrizioni: è consapevolmente accettato e implicitamente (seppur illegittimamente) contenuto nell’autorizzazione!»
Il documento proseguiva descrivendo le principali modalità attraverso le quali si esplica l’elusione sostanziale delle leggi e proponeva: «Le autorizzazioni all’attività estrattiva del marmo devono contenere:
- la prescrizione di tenere costantemente e scrupolosamente pulite (in particolare dai materiali fini: marmettola e terre) tutte le superfici di cava e delle sue pertinenze (piazzali, aree servizi, rampe, ravaneti, vie d’arroccamento, versanti, ecc.);
- il divieto di esporre al dilavamento meteorico i succitati materiali fini, siano essi in superficie o contenuti all’interno di strutture permeabili (cumuli, rampe, ravaneti, piazzali di detriti, ecc.);
- sanzioni adeguatamente dissuasive in caso di inadempienza (ad es. sospensione dell’autorizzazione per dieci giorni alla prima inadempienza, per un mese alla seconda e ritiro definitivo dell’autorizzazione alla terza, senza possibilità di ripresentare una nuova richiesta di autorizzazione).»
Per dare maggior cogenza a tali norme che proponiamo di introdurre nelle autorizzazioni riteniamo tuttavia opportuna e necessaria l’emanazione di un’ordinanza sindacale che ne espliciti le motivazioni, dettagli le prescrizioni, i divieti, le sanzioni e attribuisca i poteri di controllo.
2.3 Doc. ARPAT “Tutela delle sorgenti nelle aree estrattive” (5/12/2007)
In poche parole, ritenendo estremamente problematico l’approccio di individuare il danno ambientale e i suoi responsabili (avviando poi un procedimento penale), proponiamo di ricorrere a una soluzione del tipo “uovo di Colombo”: proponiamo cioè l’adozione dell’approccio amministrativo (ordinanza con relative prescrizioni e sanzioni) che, essendo fondato non sulla punizione del danno arrecato, ma sulla prevenzione del danno stesso (sanzionando i comportamenti suscettibili di provocarlo), è molto più semplice, tempestivo ed efficace.
D’altronde la netta superiorità di questo approccio preventivo è alla base di buona parte della legislazione nazionale, ad es. dell’intero codice della strada: chi passa col rosso al semaforo viene punito perché rischia di provocare incidenti (non si aspetta cioè che si verifichi un incidente). Questo approccio è suggerito anche nella lezione “Tutela delle sorgenti nelle aree estrattive” di un corso di formazione ARPAT molto ricco di spunti, anche sulla marmettola (Allegato 3).
3. Non solo inquinamento da marmettola, ma anche alluvioni e siccità
Merita sottolineare che anche la migliore conduzione delle cave risolverebbe solo in parte il problema dell’inquinamento delle acque superficiali e sotterranee da marmettola: quest’ultima, infatti, non proviene solo dalle cave, ma anche dalle loro discariche (ravaneti) che, nel corso dei decenni, ne hanno accumulato ingenti quantità.
Le acque di pioggia che si infiltrano nei ravaneti, infatti, dopo averne dilavato i materiali fini (marmettola e terre), possono seguire due percorsi: riemergere in superficie al piede del ravaneto e finire nei corsi d’acqua (inquinandoli) oppure penetrare nel sistema carsico (inquinando l’acquifero e le sorgenti).
Non può essere inoltre trascurato un altro aspetto di cruciale importanza: la trasformazione del territorio montano indotta dalle cave e dai loro ravaneti ha ripercussioni molto rilevanti non solo sull’inquinamento delle acque superficiali e sotterranee, ma anche sul rischio alluvioni e siccità. Si coglie quindi l’occasione per richiamare l’attenzione sulla necessità che la procedura di VIA e le misure prescritte nelle autorizzazioni alle attività estrattive prendano in seria considerazione anche questi ultimi rischi (oggi colpevolmente ignorati).
Per far comprendere l’assoluta importanza di considerare contestualmente l’insieme degli impatti ambientali bisogna tener conto che i ravaneti contengono sia le scaglie che –assorbendo le piogge e rallentando i deflussi– riducono il rischio alluvionale, sia terre di cava e marmettola che lo incrementano perché, rigonfiandosi con l’imbibizione, impermeabilizzano il ravaneto riducendo l’infiltrazione, aumentando lo scorrimento superficiale e innescando frane (debris flow) i cui detriti colmano gli alvei sottostanti provocandone l’esondazione.
Pertanto rimuovendo completamente i ravaneti risolveremmo il problema dell’inquinamento da marmettola, ma aggraveremmo fortemente il rischio di alluvioni e di siccità. Per risolvere entrambi i rischi è dunque necessario rimuovere dai ravaneti la sola componente dannosa (marmettola e terre), mantenendo invece quella utile (scaglie).
Per una trattazione coerente e unificata di queste problematiche rimandiamo al nostro documento del 4/9/23 “Cave: la V.I.A. non trascuri il rischio alluvioni e siccità” (Allegato 4). Da questa visione d’insieme delle problematiche scaturisce anche la nostra proposta dei “ravaneti spugna” volta a risolvere sinergicamente l’inquinamento delle acque, il rischio alluvioni e siccità, l’attenzione al paesaggio ecc.
Considerato che le cave di marmo si concentrano in aree molto limitate del territorio nazionale, il livello amministrativo più pertinente per accogliere queste proposte –che avanziamo inascoltati da molti anni– sembra quello locale (ad es. un’ordinanza sindacale o una pianificazione comunale o, in loro assenza, una legge regionale estesa a tutte le cave apuane).
In caso contrario, permanendo cioè la totale insensibilità delle amministrazioni locali, i problemi indotti dalla marmettola non potranno mai trovare soluzione e l’ARPAT sarà costretta a impegnare risorse umane e tecniche in indagini tanto impegnative quanto frustranti.
Legambiente Carrara
legambiente.carrara@pec.it
Legambiente Massa-Montignoso
legambiente.massa@tiscali.it
Allegati:
- Marmettola: l’inquinamento autorizzato (1/6/2016)
Per saperne di più:
Sulle problematiche tra cave e inquinamento delle sorgenti e dei corsi d’acqua:
Cavatori Canalgrande: il video della fierezza è un’autodenuncia (4/2/2019)
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Marmettola: dalle cave alle sorgenti (VIDEO 9 min. 24/7/2016)
Dossier marmettola: l’inquinamento autorizzato (1/6/2016)
La Regione protegga le sorgenti dalle cave di marmo (27/3/2014)
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Impatto ambientale dell’industria lapidea apuana (1991)
Impatto della marmettola sui corsi d’acqua apuani (volume 1983)
Sulle problematiche tra cave, dissesto idrogeologico, alluvione, siccità:
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