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Il Comune secreta i dati sulle cave: Legambiente ricorre al Difensore Civico

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ANTEFATTI. Alla nostra richiesta di accesso generalizzato ai dati sui quantitativi di materiali (blocchi, scaglie bianche, scaglie scure, scogliere, terre) estratti da ciascuna cava riceviamo da oltre 15 anni solo dati anonimi che non permettono di identificare le singole cave. Di fronte all’ennesima risposta elusiva del Settore Servizi Finanziari-Entrate Cave, il 14/3/23 abbiamo presentato al Responsabile della Prevenzione Corruzione e della Trasparenza (RPCT) un’istanza di riesame solidamente argomentata in punta di diritto.

Nella sua risposta il RPCT, ritenendo fondata la nostra istanza di riesame, ha annullato parzialmente la decisione immotivata del Settore Servizi Finanziari chiedendogli di riesaminare la questione e di assumere una nuova decisione motivata nel pieno rispetto delle disposizioni di legge.

Il responsabile del Settore Ambiente e Marmo, tuttavia, ci ha risposto confermando la decisione di fornirci dati anonimi, motivandola con la presunta lesione degli interessi economici delle cave e con la distorsione delle concorrenza che deriverebbero dalla divulgazione dei dati richiesti.

Ritenendo tale motivazione inconsistente, pretestuosa e irrispettosa delle precise indicazioni del RPCT, riportiamo di seguito il nostro ricorso al Difensore Civico della Toscana.

 

Al Difensore Civico
Regione Toscana
PEC

 
Carrara, 29 Aprile 2023
 
OGGETTO: istanza di riesame del provvedimento Protocollo Comune di Carrara N.0017601/2023 del 06/03/2023 di definizione della richiesta di accesso civico generalizzato formulata da Legambiente Carrara APS ai sensi dell’art. 5 comma 2 del dlgs 33/2013” relativo alle produzioni anni 2005-2022 per ciascun complesso estrattivo

 

La sottoscritta, Mariapaola Antonioli, nella sua qualità di presidente del Circolo Legambiente Carrara aps espone quanto segue.

FATTO

  1. Con istanza formulata ai sensi dell’art. 5, c. 2 del D.Lgs. 14 marzo 2013, n. 33 (“Riordino della disciplina riguardante il diritto di accesso civico e gli obblighi di pubblicità, trasparenza e diffusione di informazioni da parte delle pubbliche amministrazioni”), il 21 gennaio 2023 l’Associazione ha richiesto al Comune di Carrara di ricevere la seguente informazione ambientale: “dati dei quantitativi annui (tonnellate) estratti da ciascuna cava nel periodo 2005-2022, suddivisi nelle tipologie in cui sono stati classificati nei rispettivi anni”. Per permettere di ricostruire l’andamento temporale dei quantitativi estratti da ciascuna cava si era inoltre richiesto di organizzare i dati in modo tale da permettere la ricostruzione delle informazioni senza ambiguità (distinguendo pertanto le diverse frazioni merceologiche: blocchi; scaglie bianche; scaglie scure; terre; pietrisco; scogliere).
  2. Considerato inoltre che l’art. 13 del Piano Regionale Cave ha suddiviso alcune tipologie di detriti in diverse categorie (secondo la loro origine e/o destinazione), per gli anni 2020-2022 si era richiesto di riportare per ogni cava le quantità dei materiali estratti che non sono computati nella resa in blocchi: • Materiali derivati computati (ai fini della resa) come blocchi, lastre e affini (PRC, art. 13, c. 6); • Materiali (e relativa tipologia) derivanti da lavori di scoperchiatura o di messa in sicurezza (art. 13, c. 7); • Materiali (e relativa tipologia) abbattuti o escavati per lavori di messa in sicurezza espressamente prescritti dagli enti competenti (art. 13, c. 8).
  3. Nella stessa istanza, infine, si sottolineava l’importanza che nel report ciascuna cava fosse contrassegnata dal nome o dal suo numero ufficiale, in modo da renderla ben identificabile.
  4. Con pec del Comune inviata dal responsabile del Settore Servizi Finanziari / Società partecipate / Entrate / U.O. Entrate Marmo in data 22/02/2023, Protocollo N.0014461/2023, allo scrivente Circolo per conoscenza, veniva quindi data comunicazione ai controinteressati, individuati in 61 ditte/imprese, della richiesta stessa assegnando il termine di 10 giorni dal ricevimento della comunicazione per presentare una motivata opposizione alla richiesta di accesso in oggetto.
  5. Da ultimo, con pec Protocollo N.0017601/2023 del 06/03/2023, il dirigente dei Servizi Finanziari concludeva il procedimento e, «considerate le opposizioni pervenute dalle società contro interessate con prott. 17268, 17241, 17229, 17030, 16816, 16760, 16714, 16442, 16334, 16296, 16270, 16144, 16074, 15996, 15957, 15941, 15921, 15905, 15899, 15786, 15785, 15780, 15781, 15732, 15685, 15721, 15511, 15524, 15512, 15509, 15507, 15362, 15349, 15320, 15319, 15318; ritenuto opportuno di dover fornire esclusivamente i dati generali di carattere ambientale richiesti, relativi agli anni dal 2005 al 2022» trasmetteva la tabella riepilogativa in forma “omississata”, indicando le singole cave con un numero astrattamente determinato e non riconducibile alla effettiva coltivazione.
  6. Avverso il provvedimento di cui al punto precedente, la scrivente APS indirizzava istanza di riesame ai sensi dell’art. 5 comma 2 del d.lgs. 33/2013, al RPCT del Comune di Carrara e all’Ufficio del Difensore Civico della Regione Toscana che, con propria nota prot. 0001837/202300293 rimetteva allo stesso RPCT la questione, ai sensi di quanto prescritto dai c. 7 e 8 dell’art. 5, d.lgs 33/2013, pur riservandosi (“restando impregiudicata”) ogni valutazione in merito. Si noti che tale comunicazione è stata indicata dal Comune di Carrara quale “ricusazione”, dovendola invece forse più appropriatamente definire quale “rimessione” alla luce della necessità – in tale fase – di integrare l’istruttoria.
  7. Conseguentemente il RPCT del Comune di Carrara, con provvedimento prot. 0024096/2023 del 29/03/2023 accoglieva parzialmente l’istanza rimettendo al Dirigente responsabile del Settore Servizi Finanziari / Società partecipate / Entrate / U.O. Entrate Marmo dello stesso Ente detto provvedimento recante una dettagliata quanto significativa serie di indicazioni normative, giurisprudenziali e dottrinali relativamente alle oggettive riconosciute carenze del provvedimento dallo stesso emesso oltre ai principi ai quali la stessa attività di riesame dell’istanza e l’emissione del nuovo provvedimento avrebbero dovuto attenersi, a garanzia dei principi generali di ragionevolezza, logicità e legalità dell’atto.
  8. Con nota prot. 0028429/2023 del 13/04/2023 il Dirigente Responsabile del Settore 8 Ambiente e Marmo / U.O. Servizi Amministrativi emetteva pertanto un nuovo provvedimento, che si allega e che comunque l’Ufficio del Difensore Civico ha già ricevuto, con il quale si integrava il provvedimento prot. 17601 del 6 marzo 2023 e se ne confermava la decisione.
  9. In tale ultimo provvedimento il dirigente del Settore 8 così argomentava:
  10. «VALUTATO che le società individuate come soggetti controinteressati provvedono alla commercializzazione dei materiali asportati dal monte e che quindi fornendo al richiedente i dati, contrassegnando la cava con il nome o il numero ufficiale, si risalirebbe facilmente alla ragione sociale delle imprese coinvolte e, in tal modo, verrebbero divulgate informazioni lesive agli interessi economici e commerciali delle imprese stesse;

    «VALUTATO inoltre che è negli interessi degli operatori economici, che svolgono attività in regime di libero mercato, mantenere riservi quei dati che, se resi noti, comporterebbero un indebito vantaggio a terzi con una distorsione della concorrenza (Tar Lombardia, Sez. III, sentenza n. 590/2023);

    «VALUTATO ancora che la tutela degli interessi economici e commerciali delle persone fisiche e giuridiche è garantita non solo dal sopra citato comma 2 punto c) dell’art. 5/bis del D.Lgs. n. 33/2013, nel caso di accesso civico generalizzato, ma anche dal comma 6 punto d) dell’art. 24 della L. n. 241/1990 e s.m.i., nel caso di accesso alla documentazione amministrativa, e dal comma 2, punto d) dell’art. 5 del D.Lgs. n. 195/2005 in relazione all’accesso del pubblico all’informazione ambientale;

    «Sulla base di quanto esposto si integra il provvedimento prot. N. 17601 del 06/03/2023 e se ne conferma la decisione.»

  11. Nessuna motivazione veniva invece addotta relativamente alla sostituzione dello stesso dirigente del settore 8 Ambiente e Marmo nella competenza all’emanazione del nuovo provvedimento di parziale diniego, originariamente assegnato al dirigente del Settore Servizi Finanziari / Società partecipate / Entrate / U.O. Entrate Marmo e al quale era stato rinviato il procedimento da parte del RPCT.
  12. Né, nel citato provvedimento, si dà esatta contezza in ordine a numerosi aspetti che si ritengono qui lacunosi fra i quali:
    1. Manca l’indicazione sull’ulteriore istruttoria esperita (e tanto più manca qualsiasi evidenza di un suo supplemento ed integrazione, come invece sollecitato dall’RPCT)
    2. Non viene dunque indicato il numero esatto delle opposizioni pervenute dai controinteressati notificati (che comunque, dai precedenti atti si desume facilmente non esser stati la totalità: dalla lettura degli atti precedentemente ricevuti dal Comune il numero di controinteressati destinatari della comunicazione sono dettagliatamente elencati e in numero pari a 61 soggetti mentre i numeri di protocollo indicati quali opposizione sommavano solo 36 unità: dal che si desume che solo una parte, minimamente “maggioritaria” dei controinteressati abbia formulato opposizione ma il rilascio “parziale” delle informazioni abbia poi riguardato la totalità delle cave.
    3. Non si motiva in ordine alla decisione dell’Ufficio per cui il diniego all’accesso “totale” sia stato opposto anche per quelle imprese che non hanno esercitato opposizione.
    4. Manca qualsivoglia riferimento al particolare regime giuridico delle cave carraresi, quali – in larga parte – patrimonio indisponibile della collettività carrarese e come tali eserciti nello speciale regime della “concessione”.
    5. Manca, nel provvedimento del dirigente del settore Ambiente e Marmo, qualsiasi valutazione circostanziata in ordine al pericolo di concreto pregiudizio agli interessi legittimi del controinteressato così come non risulta in motivazione traccia alcuna delle verifiche in concreto, dello svolgimento del procedimento in contraddittorio con interessati e controinteressati né, infine, (ciò che è più grave) alcuna ponderazione degli interessi coinvolti.

    ****************

    Avverso tale ulteriore provvedimento si espongono pertanto i seguenti motivi di

    DIRITTO

    Si premette che si intendono qui richiamati tutti i precedenti motivi di diritto elencati nella precedente istanza di riesame.

    Si intendono parimenti richiamati gli ulteriori (e a nostro avviso conformi) richiami alla normativa, alla giurisprudenza e alla dottrina elencati nel citato provvedimento del RPCT del Comune di Carrara.

    ****************

     
    A.   SUL DIRITTO DI ACCESSO CIVICO GENERALIZZATO

    1. Nel proprio provvedimento, il dirigente del Settore 8 afferma, citando Cons. Stato, Ad. Plen., 2 aprile 2020, n. 10, che l’accesso civico generalizzato avrebbe “natura più estesa ma meno approfondita”, facendo dunque risalire a tale principio il parziale diniego opposto all’accesso stesso.
    2. In realtà, una più attenta (e fedele) lettura di tale pronuncia e di altre (ex plurimis Cons. di Stato, Sez. V, sentenza n. 10628 del 05-12-2022, paragrafo 10) dovrebbe condurre a diverse conclusioni:
    3. «L’accesso civico ‘generalizzato’ consente a ‘chiunque’ di visionare ed estrarre copia cartacea o informatica di atti ‘ulteriori’ rispetto a quelli oggetto di pubblicazione obbligatoria. Per effetto dell’adesione dell’ordinamento al modello di conoscibilità generalizzata delle informazioni amministrative proprio dei cosiddetti sistemi Foia (Freedom of information act), l’interesse conoscitivo del richiedente è elevato al rango di un diritto fondamentale (cosiddetto ‘right to know’), non altrimenti limitabile se non in ragione di contrastanti esigenze di riservatezza espressamente individuate dalla legge. Il diritto di accesso generalizzato è invero riconosciuto allo scopo di favorire forme diffuse di controllo sul perseguimento delle funzioni istituzionali e sull’utilizzo delle risorse pubbliche e di promovimento della partecipazione al dibattito pubblico. E’ stato, invero, precisato che: “il bilanciamento è, infatti, ben diverso nel caso dell’accesso previsto dalla L. n. 241 del 1990, dove la tutela può consentire un accesso più in profondità a dati pertinenti, e nel caso dell’accesso generalizzato, dove le esigenze di controllo diffuso del cittadino devono consentire un accesso meno in profondità (se del caso, in relazione all’operatività dei limiti), ma più esteso, avendo presente che l’accesso in questo caso comporta, di fatto, una larga conoscibilità (e diffusione) di dati, documenti e informazioni” (Cons. Stato, Ad. Plen., 2 aprile 2020, n. 10).

      «Con l’accesso civico ‘generalizzato’, il legislatore ha inteso superare il divieto di controllo generalizzato sull’attività delle pubbliche amministrazioni, su cui è incentrata la disciplina dell’accesso di cui agli artt. 23 e ss., L. 7 agosto 1990, n.241, così che l’interesse individuale alla conoscenza è protetto in sé, ferme restando le eventuali contrarie ragioni di interesse pubblico o privato di cui alle eccezioni espressamente stabilite dalla legge a presidio di determinati interessi ritenuti di particolare rilevanza per l’ordinamento giuridico. E’ stato, altresì, puntualizzato che il rapporto tra le due discipline (dell’accesso documentale e dell’accesso civico generalizzato, oltre il rapporto tra tali due discipline generali e quelle settoriali) deve essere interpretato non già secondo un criterio di esclusione reciproca, quanto piuttosto di inclusione/completamento, finalizzato all’integrazione dei diversi regimi in modo che sia assicurata e garantita, pur nella diversità dei singoli regimi, la tutela preferenziale dell’interesse coinvolto che rifugge ex se dalla segregazione assoluta per materia delle singole discipline (Cons. Stato, sez. IV, 20 aprile 2020, n. 2496).

      «L’accesso civico ‘generalizzato’ è azionabile da chiunque, senza previa dimostrazione di un interesse, concreto e attuale in relazione con la tutela di situazioni giuridicamente rilevanti e senza oneri di motivazioni in tal senso (ex plurimis, Cons. Stato, sez. V, 4 gennaio 2021, n. 60; Cons. Stato sez. VI, 5 ottobre 2020, n. 5861). Attraverso l’istituto, il legislatore ha riconosciuto la libertà di accedere alle informazioni in possesso delle pubbliche amministrazioni quale diritto fondamentale, promuovendo un dibattito pubblico informato e un controllo diffuso sull’azione amministrativa (Cons. Stato, Ad. Plenaria, 10.04.2020, n. 10)».

    4. Ulteriormente, il supremo Giudice amministrativo (cfr Cons. di Stato Sez. III, Sentenza n. 6031 15-07-2022) ha avuto modo di chiarire che, «affinché l’accesso possa essere rifiutato, il pregiudizio agli interessi considerati dai commi 1 e 2 deve essere concreto quindi deve sussistere un preciso nesso di causalità tra l’accesso e il pregiudizio.
    5. L’ente non può limitarsi a prefigurare rischio di un pregiudizio in via generica- astratta, ma deve:

      a) indicare chiaramente quale – tra gli interessi elencati all’art. 5 bis, co. 1 e 2 – viene pregiudicato; b) valutare se il pregiudizio (concreto) prefigurato dipende direttamente dalla disclosure dell’informazione richiesta; c) valutare se il pregiudizio conseguente alla disclosure è un evento altamente probabile, e non soltanto possibile.

      Detta valutazione, proprio perché relativa alla identificazione di un pregiudizio in concreto, non può essere compiuta che con riferimento al contesto temporale in cui viene formulata la domanda di accesso: il pregiudizio concreto, in altri termini, va valutato rispetto al momento ed al contesto in cui l’informazione viene resa accessibile, e non in termini assoluti ed atemporali. Tale processo logico è confermato dalle previsioni dei commi 4 e 5 dell’art. 5-bis del decreto trasparenza: da una parte, il diniego dell’accesso non è giustificato, se ai fini della protezione di tale interesse è sufficiente il differimento dello stesso per la tutela degli interessi considerati dalla norma (art. 5-bis, comma 5). I limiti, cioè, operano nell’arco temporale nel quale la tutela è giustificata in relazione alla natura del dato, del documento o dell’informazione di cui si chiede l’accesso (art. 5-bis co. 5). Allo stesso modo, l’amministrazione dovrà consentire l’accesso parziale utilizzando, se del caso, la tecnica dell’oscuramento di alcuni dati, qualora la protezione dell’interesse sotteso alla eccezione sia invece assicurato dal diniego di accesso di una parte soltanto di esso. In questo caso, l’amministrazione è tenuta a consentire l’accesso alle parti restanti (art. 5-bis, comma 4).

      L’amministrazione è tenuta quindi a privilegiare la scelta che, pur non oltrepassando i limiti di ciò che può essere ragionevolmente richiesto, sia la più favorevole al diritto di accesso del richiedente. Il principio di proporzionalità, infatti, esige che le deroghe non eccedano quanto è adeguato e necessario per raggiungere lo scopo perseguito (cfr. sul punto CGUE, 15 maggio 1986, causa C-222/84; Tribunale Prima Sezione ampliata 13 aprile 2005 causa T 2/03).”

      Alla voce 5.3. “La motivazione del diniego o dell’accoglimento della richiesta di accesso” il documento prosegue: “Nella risposta negativa o parzialmente tale, sia per i casi di diniego connessi all’esistenza di limiti di cui ai commi 1 e 2 che per quelli connessi all’esistenza di casi di eccezioni assolute di cui al co. 3, l’amministrazione è tenuta a una congrua e completa, motivazione, tanto più necessaria in una fase sicuramente sperimentale quale quella che si apre con le prime richieste di accesso. La motivazione serve all’amministrazione per definire progressivamente proprie linee di condotta ragionevoli e legittime, al cittadino comprendere ampiezza e limiti.”

    6. Appare del tutto evidente come, invece, il diniego all’accesso totale sia stato (carentemente) motivato sulla base di un assai generico “interesse” nella considerazione che i diversi tipi di materiale derivante dall’estrazione sono “beni commercializzati” e che la richiesta disclosure porterebbe a una distorsione della concorrenza.
    7. Il dato richiesto, infatti, non attiene ai volumi commercializzati ma unicamente a quelli estratti né vi è alcuna possibilità che dall’accesso pieno e non parziale ne deriverebbe la “rivelazione” di particolari e specifici canali di vendita degli stessi (che potrebbe, questo sì, essere considerato lesivo della riservatezza che ciascuna ditta può voler mantenere a propria tutela).
    8. Al contrario, il rapporto di “resa” fra blocchi, scagli e terre, costituisce un elemento fondamentale di pianificazione dello sfruttamento di una risorsa naturale e non inesauribile, tanto più se si consideri che larga parte della stessa ha natura di patrimonio indisponibile della comunità. A tal proposito giova rilevare come l’attività estrattiva sia disciplinata dai PABE (Piani estrattivi di bacino): la capacità produttiva pianificata di ciascuna cava e dunque delle rispettive aziende è già di dominio pubblico, tanto da essere riportata nei PABE liberamente consultabili da chiunque. Implicitamente, dunque, il Comune, pubblicandole nei PABE, ha ritenuto che tali informazioni non siano «lesive degli interessi economici e commerciali delle imprese stesse». Il diniego a ricondurre a ciascuna cava i volumi effettivamente estratti, dunque, assume un’ulteriore valenza negativa, rappresentando anche un diniego al controllo pubblico sul riscontro fra pianificazione, programmazione e sua attuazione.
    9. Né meno rilevante è – argomentando per assurdo e per mero tuziorismo – la mancanza di apprezzamento in ordine al principio del “contesto temporale” a cui fa riferimento la citata sentenza CdS 6031/2022: non si capisce, nemmeno “eventualmente” come la conoscenza di una serie storica riferita al periodo 2005-2022 possa essere, attualmente, lesiva della concorrenza: se tale fosse davvero la motivazione, al più (e sempre “per assurdo”) il Comune di Carrara avrebbe potuto fissare un termine temporale ragionevole (l’ultimo esercizio? gli ultimi due o tre?) per differire l’accesso, rilasciando comunque quelli relativi a periodi precedenti.
    10. Non meno “capziosa” appare la citazione della sentenza TAR Lombardia, sez. III, sent. 590/2023: anche in questo caso il provvedimento argomenta facendo riferimento ad un “inciso” contenuto nella detta sentenza, omettendo di contestualizzarla nel concreto giudizio nell’ambito della quale è stata emessa (un accesso agli atti esercitato da una ditta contro una concorrente) e per di più senza dare atto che nella decisione finale i Giudici lombardi hanno disposto la disclosure dei documenti in questione.
    11.  
      B.   SULLA OMESSA VALUTAZIONE CIRCA IL BILANCIAMENTO DEGLI INTERESSI

    12. Sembra opportuno tornare ancora una volta sulla totale assenza, nei provvedimenti del Comune, di evidenze in ordine alla (necessaria) valutazione circa il bilanciamento degli interessi (pubblici e collettivi, alla conoscenza e alla trasparenza; privati, alla tutela di asseriti – e come crediamo di aver dimostrato inesistenti – diritti “commerciali”).
    13. A tale proposito non sembra potersi prescindere dal menzionare come, con la Legge Costituzionale 11 febbraio 2022, n. 1 (Modifiche agli articoli 9 e 41 della Costituzione in materia di tutela dell’ambiente), pubblicata sulla Gazzetta Ufficiale Serie Generale n. 44 del 22 febbraio 2022 ed entrata in vigore il successivo 9 marzo, il Legislatore abbia introdotto due rilevanti modifiche agli art. 9 e 41 della Costituzione Italiana, dando così rango costituzionale alla tutela dell’ambiente sia nelle azioni positive che lo Stato Italiano è tenuto a porre in essere (art. 9) sia quale limite all’esercizio della libera iniziativa economica privata (art. 41).
    14. È anche sulla base di tale novazione che in ripetute occasioni, anche precedenti alla formale modifica della Carta, i giudici amministrativi hanno affermato (si veda sentenza TAR Toscana, N. 00745/2022) che «la delicatezza e la particolarità del contesto territoriale apuano ben possono giustificare una maggior compressione dell’interesse allo sfruttamento economico del materiale lapideo rispetto al restante territorio toscano, se contenuta come nel caso di specie entro limiti di ragionevolezza e proporzionalità».
    15. Solo pochi mesi prima lo stesso TAR Toscana (con le sentenze N. 01139/2021 e N. 00496/2022) aveva avuto modo di statuire che «quella dell’estrazione di marmo nella zona apuana è fattispecie particolare che richiede un trattamento altrettanto specifico, né si evince alcuna violazione dell’articolo 41 Cost. poiché quest’ultimo, nel garantire tutela all’attività di impresa, prevede anche che possa essere limitata per salvaguardare valori di rilievo costituzionale quali, appunto, l’ambiente e il paesaggio. L’importanza da attribuire a specifiche zone sotto tali profili rientra nella discrezionalità del legislatore (regionale) che, se contenuta entro limiti di logicità, non può essere sindacata. Nel caso di specie questi limiti non appaiono superati poiché la zona apuo-versiliese presenta indubbi caratteri di pregio».
    16. Sulla piena legittimità dei limiti all’escavazione (e quindi alla totale “libertà di impresa”) era intervenuto anche il Consiglio di Stato (Numero Affare 01259/2021) chiamato dal MITE a rendere parere su un ricorso straordinario al Presidente della Repubblica, sempre presentato da aziende lapidee carraresi.
    17. Preliminarmente i giudici di Palazzo Spada ribadivano come, nell’ordinamento, «in numerosi casi, nell’ambito delle loro proprie competenze legislative, le Regioni ben possono introdurre (e spesso introducono) condizioni e limiti alla proprietà privata e alla libera iniziativa economica privata: basti pensare, ad esempio, alla materia del commercio, nella quale di regola la disciplina regionale si articola e opera proprio attraverso svariate limitazioni alla libera iniziativa economica privata, o alla materia dell’urbanistica, che pure tipicamente si traduce in progressive graduazioni dello jus aedificandi dei privati, sicché non si ravvisano ostacoli di carattere generale, nel vigente quadro costituzionale, al potere regionale di introdurre in materia di cave disposizioni che si traducano in limitazioni dell’iniziativa imprenditoriale di settore».
    18. Da tale premessa generale, quindi il CdS passava all’esame specifico, ribadendo come «le finalità di tutela dell’ambiente e del paesaggio, risorse scarse e non riproducibili per definizione, non possono non tradursi – come peraltro normalmente e tipicamente avviene nelle disposizioni, normative e amministrative, poste a salvaguardia di questi interessi – in misure restrittive (e in taluni casi impeditive) di attività economiche di esercizio della libera iniziativa economica privata e del diritto di proprietà, nella dialettica, inscritta negli artt. 41 e 42 della Costituzione, tra tali libertà e i limiti di utilità sociale e gli altri limiti che derivano da beni-interessi-valori di pari rilievo costituzionale che li condizionano e con essi devono essere armonizzati e bilanciati (art. 9, secondo comma, art. 32 Cost.)».
    19. Secondo i supremi giudizi amministrativi, quindi, «l’incidenza potenzialmente restrittiva delle misure di tutela dell’ambiente e del patrimonio culturale e del paesaggio sui diritti di proprietà e di libera iniziativa economica privata (…) trova specifica copertura negli artt. 9 e 32 Cost. e negli articoli del codice dei beni culturali 3, comma 2 (…) e 145, comma 4, ultimo periodo (in base al quale “I limiti alla proprietà derivanti da tali previsioni non sono oggetto di indennizzo”, …). Tali limitazioni sono inoltre sicuramente compatibili con il diritto eurounitario invocato dai ricorrenti a tutela della libertà d’impresa, rappresentando senz’altro una tipologia di motivi imperativi di interesse generale idonea a opporsi validamente alle libertà di circolazione, di stabilimento e di prestazione di servizi di fonte unionale (cfr. Corte di giustizia UE, 24 marzo 2011, C-400/08, Commissione europea c. Regno di Spagna: «Anche la giurisprudenza comunitaria ha chiarito che restrizioni della libertà economica sarebbero ammesse (purché non discriminatorie, adeguate e proporzionate) per motivi imperativi di interesse generale, quali la protezione dell’ambiente e la razionale gestione del territorio, …».
    20. Ne consegue che nel comprensorio delle Alpi Apuane il diritto di esercizio della libertà d’impresa, segnatamente dell’attività ad alto impatto paesaggistico-ambientale di cava di materiali lapidei, è fortemente condizionata e profondamente conformata dal raffronto con gli interessi pubblici di tutela paesaggistico ambientale.
    21. È proprio in tale quadro normativo e giurisprudenziale che il TAR (con la sentenza N. 00745/2022) aveva affermato che «la Regione persegue attraverso lo strumento della pianificazione lo scopo di bilanciare l’interesse allo sfruttamento della risorsa marmo con quello alla conservazione dei beni paesaggistici, secondo il principio dell’uso consapevole del territorio e della salvaguardia delle sue caratteristiche paesaggistiche», il giudice toscano fa discendere da questo principio il corollario della piena legittimità e coerenza col principio stesso della norma che «consente il rilascio di nuove autorizzazioni per la coltivazione dei marmi nel distretto apuo-versiliese “solamente se i quantitativi minimi da destinarsi esclusivamente alla trasformazione dei blocchi, lastre ed affini (resa) saranno non inferiori al 30% del volume commercializzabile previsto dal progetto”».
    22. Evidenziando come «il parametro di piano per individuare la resa minima è rappresentato dal solo materiale commercializzabile con esclusione dei materiali destinati ad altri fini e, in particolare, al miglioramento della sicurezza delle condizioni di lavoro nelle cave e dei materiali qualificabili come rifiuti di estrazione», il TAR afferma che «non ha quindi ragion d’essere la preoccupazione delle imprese ricorrenti in ordine alla non sostenibilità della resa estrattiva minima prevista dal Piano poiché questa deve essere calcolata non sull’intero materiale estratto, ma unicamente su quello da destinare al commercio. In questi termini l’individuazione della resa minima delle cave apuane nella misura del 30% appare scelta adeguata rispetto all’obiettivo di garantire la tutela del patrimonio naturalistico nella zona, e non comporta un sacrificio eccessivo dell’interesse connesso allo sfruttamento economico del materiale lapideo».
    23. I giudici fiorentini, poi, ribadiscono ulteriormente come l’interesse connesso allo sfruttamento economico del materiale lapideo «e quello alla tutela del territorio e del paesaggio sono interessi tra loro contrapposti e devono trovare un punto di equilibrio anzitutto in sede di programmazione degli usi del territorio, e successivamente nell’ambito dei procedimenti diretti al rilascio delle autorizzazioni all’escavazione. Si tratta di individuare un corretto punto di equilibrio nel bilanciamento di tali interessi e questo comporta valutazioni di merito amministrativo, nell’intento di contemperare i citati interessi, ritenendo (non irragionevolmente) che solo un determinato rendimento dell’attività estrattiva giustifichi il sacrificio di una risorsa non riproducibile come il marmo e il conseguente depauperamento del paesaggio nel territorio apuano, territorio che costituisce un unicum a livello non solo nazionale ma anche mondiale tant’è che riceve tutela quale patrimonio dell’umanità».
    24. A sostenere questa tesi anche il Consiglio di Stato, per il quale «non è fondata la tesi … secondo la quale la resa minima del 30 per cento sarebbe impossibile da raggiungere, del tutto svincolata dalla realtà dei fatti e dunque manifestamente irrazionale».
    25. Sono proprio i giudici di Palazzo Spada a ricordare che «la soglia del 30 per cento è, nel sistema del PRC, non soltanto abbattibile al 25 per cento dai Piani comunali attuativi dei bacini estrattivi delle Alpi Apuane (mediante il riconoscimento di una franchigia del 5 per cento), ma è per diversi altri aspetti modulabile e adattabile alla varie condizioni fattuali specifiche relative alle singole fattispecie, mostrando in tal modo, nel complesso, un buon grado di elasticità e di aderenza dinamica ai fatti regolati. Il PRC, infatti, ammette altresì che i suddetti Piani comunali possano prevedere una ulteriore riduzione del 5 per cento della resa minima (fino al 20 per cento) per progetti specifici tesi all’incremento dell’occupazione e allo sviluppo delle lavorazioni in loco in filiera corta; consente, inoltre, l’individuazione dei ravaneti, per i quali è possibile l’asportazione, ai fini della riqualificazione ambientale e morfologica del territorio e della sicurezza idraulica, senza che tale attività concorra alla determinazione delle percentuali di resa (art. 25), con la facoltà dei Comuni, in sede di rilascio dell’autorizzazione, di incrementare tale percentuale ove, dagli approfondimenti progettuali, ne emerga la possibilità; il Piano prevede inoltre (comma 9 dell’art. 13) che per i lavori di messa in sicurezza espressamente prescritti dagli Enti competenti le volumetrie abbattute o escavate sia per situazioni di criticità impreviste emerse in corso di lavorazione, sia per situazioni previste dal piano di coltivazione ed espressamente validate dagli Enti competenti in fase di iter autorizzativo, non concorrano né alla determinazione delle percentuali di resa, né agli obiettivi di produzione sostenibile; in base al comma 5 è poi escluso dal calcolo della resa il materiale detritico utilizzato per il riempimento di gallerie per finalità connesse alla sicurezza o alle modalità di lavorazione, nonché l’asportazione di quello funzionale alla lavorazione della cava per modifica della viabilità di accesso o apertura sbassi come risultante dal progetto, secondo le modalità di stima dei quantitativi di tale materiale da definirsi nei Piani attuativi dei bacini estrattivi delle Alpi Apuane (PABE) di cui agli articoli 113 e 114 della legge regionale n. 65 del 2014; ed ancora, ai sensi del comma 7, i materiali derivati, impiegati dall’industria per la realizzazione di prodotti sostitutivi dei materiali da taglio, nel progetto di coltivazione e/o nell’ambito del monitoraggio di cui all’art. 14, possono essere computati ai fini della resa come blocchi, lastre e affini nella misura massima del 10 per cento dei derivati prodotti».
    26. Il Consiglio di Stato, quindi, rigettando l’obiezione che l’imposizione del limite minimo di resa del 30 per cento (pur con i correttivi introducibili in fase attuativa dai Comuni), determinerebbe una disparità di trattamento rispetto a tutte le altre cave di materiali ornamentali nella Regione Toscana, per le quali la resa è del 25 per cento, evidenziano come «in senso contrario può agevolmente replicarsi, da un lato, richiamando la nota e indiscussa assoluta unicità del comparto apuano, oltre che la sua specialissima valenza paesaggistico-ambientale, non riscontrabile negli altri comparti richiamati a raffronto, dall’altro lato ribadendo che, in definitiva, in sede applicativa, tramite i PABE comunali, la resa ben potrebbe mediamente attestarsi, anche per l’area delle Apuane, intorno al medesimo livello percentuale del 25 per cento riferito agli altri comparti, sicché è da escludere che sussista la denunciata illegittimità per disparità di trattamento».
    27. Non solo: gli stessi supremi giudici amministrativi sottolineano come «gli indicatori dei quantitativi volumetrici estratti e della superficie di suolo consumata e i valori rilevati nel complesso apuoversiliese non siano minimamente paragonabili al resto del territorio toscano (dovendosi anche in questa ribadire che il comprensorio apuo-versiliese del distretto del marmo presenta una peculiare incidenza per numero di cave, per contiguità di tali impianti, per ritmi e tipologie di estrazione, con ricadute sul territorio e sull’ambiente che non sono in alcun modo paragonabili con altri comprensori estrattivi presenti nel resto del territorio regionale ed anche nazionale)».
    28. Chiamati poi a pronunciarsi (TAR Toscana, N. 01139/2021) su un ricorso nel quale alcune imprese lapidee carraresi lamentavano la differenziazione del trattamento in tema di determinazione del contributo di estrazione tra le cave della zona Apuoversiliese e quelle del restante territorio toscano, i Giudici affermavano preliminarmente che tale differenziazione «trova la sua ragion d’essere nella particolarità della prima sia sotto il profilo paesaggistico, sia sotto il profilo della qualità dei materiali estratti». «Poiché il marmo apuano è notoriamente più diffuso e conosciuto – si legge nel dispositivo – e, inoltre, poiché l’estrazione avviene in zona fortemente rilevante e delicata sotto il profilo ambientale e paesaggistico, il combinato disposto di questi due elementi, pregio ambientale della zona e pregio commerciale del marmo estratto, rende non irragionevole e rientrante nella discrezionalità del legislatore la previsione di un regime particolare nella determinazione del contributo di estrazione».
    29. Con ulteriore sentenza, N. 00496/2022, TAR Toscana afferma che «è infondata anche la questione di costituzionalità prospettata in relazione al fatto che il contributo di estrazione colpisce pure gli scarti di lavorazione, poiché questi vengono commercializzati per essere utilizzati in diverse attività produttive, generando quindi un profitto per le imprese escavatrici».
    30. Ma è ancora nella sentenza 1139/2021 che i Giudici cristallizzano il principio secondo il quale «il contributo di estrazione non costituisce un “tributo” bensì un “indennizzo” disposto a favore della collettività per i danni conseguenti allo sfruttamento della risorsa. La determinazione quindi della misura del contributo dovuto dalle imprese esercenti attività estrattiva trova fondamento non nella loro capacità contributiva, bensì nell’impegno dovuto dagli enti interessati per svolgere le attività pubblicistiche collegate ad essa nel pregiudizio che la collettività patisce in conseguenza dell’autorizzazione all’estrazione (Corte Cost. 26 aprile 2018, n. 89).
    31. Non sfuggirà dunque che tutto quanto sopra richiamato, nel rispetto dei principi generali dettati in materia, ben giustifichi anche l’interesse pubblico e collettivo ad una piena conoscenza non solo del dato “anonimo” ma una trasparenza “perfetta” a tutela>/span>.
    32.  
      C.   SULLA COMPETENZA DELLA REGIONE TOSCANA

    33. Appare de piano la competenza delle Regione Toscana in materia, e si ritiene pertanto che vi sia piena legittimità nel ricorrere all’Ufficio del Difensore Civico Regionale.

     

    *******************************

     
    Per tutto quanto sopra esposto e dedotto, si formula
     

    RICHIESTA DI RIESAME

     
    al Difensore Civico della Regione Toscana, affinché voglia assumere tutte le più opportune determinazioni di propria competenza.

     

     

    ALLEGATI

    1. ALLEGATO 1: pec del 21/1/2023: istanza di accesso generalizzato formulata ai sensi dell’art. 5, c. 2 del D.Lgs. 14 marzo 2013, n. 33 da parte del Circolo Legambiente Carrara APS
    2. ALLEGATO 2: pec del 22/2/2023, Prot.N.0014461/2023: Comunicazione ai controinteressati da parte del Comune di Carrara – Settore Servizi Finanziari / Società partecipate / Entrate / U.O. Entrate Marmo
    3. ALLEGATO 3 :pec del 6/3/2023, Prot.N.0017601/2023: decisione di accesso parziale del Comune di Carrara – Settore Servizi Finanziari / Società partecipate / Entrate / U.O. Entrate Marmo (trasmissione dei dati di produzione delle cave in forma anonima)
    4. ALLEGATO 4 :pec del 6/3/2023: foglio Excel contenente (parzialmente) i dati richiesti ma in forma anonima (le cave non sono identificabili)
    5. ALLEGATO 5 :pec del 14/3/2023: istanza di Legambiente Carrara aps al RPCT di Carrara e al Difensore civico regionale per il riesame della decisione del Comune di Carrara (Settore Servizi Finanziari / Società partecipate / Entrate / U.O. Entrate Marmo)
    6. ALLEGATO 6 : 16/3/2023, Prot. 0001837/202300293: comunicazione della Difensora Civica Regionale che invita l’RPCT a emanare un provvedimento motivato
    7. ALLEGATO 7 : pec del 17/3/2023, Prot.N.0020994-2023: comunicazione di avvio del procedimento da parte del RPCT del Comune di Carrara
    8. ALLEGATO 8 : pec del 29/3/2023, Prot.N.0024096-2023: decisione del RPCT che annulla la decisione del Settore Servizi Finanziari del Comune di Carrara invitandolo a riesaminare il caso e a emanare una nuova decisione, adeguatamente motivata
    9. ALLEGATO 9 : pec del 13/4/2023, Prot.N.0028429-2023: decisione del Dirigente Responsabile del Settore 8 Ambiente e Marmo / U.O. Servizi Amministrativi Comune di Carrara che integra e conferma la precedente (di accesso parziale ai dati “anonimi”) emanata dal Settore Servizi Finanziari / Società partecipate / Entrate / U.O. Entrate Marmo

     



    Per saperne di più:

    Sulla resistenza del Comune a consegnare i dati sulle cave, riportiamo solo il primo –ma illuminante– esposto (2007):

    La pazienza è finita: esposto alla Procura della Repubblica per mancata consegna dei dati sulle cave (3/4/2007)

     

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