Oggetto: osservazioni al POC del comune di Carrara
adottato con deliberazione del Consiglio Comunale n. 60 del 6.08.2020
PREMESSA
Il piano, ad una prima visione generale, presenta una discreta impostazione di base con una sostanzialmente corretta strutturazione urbanistica; ne traspaiono infatti alcune idee di città, di standard urbani, una qualche volontà di tutela del territorio (almeno per alcune parti) e un tentativo di attuare una prima forma di pianificazione rivolta al non consumo di suolo ed alla conservazione e valorizzazione dell’esistente.
Addentrandosi nell’urbanistica del piano, però, la sempre più attenta lettura svela via via diverse scelte incongruenti con i principi sopra richiamati: tanti elementi di dettaglio non confacenti con un corretto ed equilibrato assetto del territorio e dunque molteplici criticità, sia urbanistiche che ambientali ed edilizie, le quali collidono con la fragilità e la delicatezza di questo territorio (queste ultime dimostrate ormai, ahinoi, dai tanti accadimenti dolorosi che hanno martoriato la popolazione negli ultimi anni e che lo stesso piano riconosce nei suoi elaborati di analisi e di accompagnamento).
L’analisi di dettaglio (non banale e laboriosa per come è fatto lo stesso piano) ci svela effettive e puntuali previsioni di questa nuova pianificazione che dimenticano, o addirittura stravolgono, gli intenti di tutela del territorio e di ridotto consumo di suolo e che generano criticità in termini di resilienza, di sostenibilità e di adeguatezza dell’assetto ambientale e territoriale delineato.
In questo quadro la stessa struttura del piano ne è risultata molto (forse troppo) articolata, talora cavillosa e farraginosa, talché appunto i principi generali, come detto in via preliminare condivisibili, si perdono nei singoli interventi, nelle specificità delle previsioni, nell’articolazione delle varie discipline di intervento.
Le osservazioni che si vanno a descrivere di seguito si atterranno pertanto sempre ai caratteri generali della pianificazione ed agli interessi pubblici collettivi che la pianificazione urbanistica deve inquadrare e soprattutto deve privilegiare, anche laddove si porteranno ad analisi casi specifici e puntuali.
Osservazione 1
LE ZONE TERRITORIALI OMOGENEE
Partendo dalla generale classificazione del territorio in zone urbanisticamente omogenee (classificazione obbligatoria dettata dal D.M. 1444/1968), si rilevano le seguenti osservazioni.
Anzitutto manca la classificazione di tutto il territorio comunale di costa, che comprende, da ovest ad est: l’area tra il Parmignola e la Fossa Maestra (in parte attuale camping), tutto l’arenile con il tessuto degli stabilimenti balneari fin anche all’attuale parcheggio sull’area ex lamiere NCA, l’intero Porto e l’affaccio a mare tra le foci di Carrione e Lavello. Rileviamo sia una grave carenza del piano ed una omissione rispetto agli obblighi del D.M. 1444/1968.
Infatti, sebbene le parti più rilevanti, come l’arenile ed il porto, siano soggette a strumenti di pianificazione specifica, quali il piano particolareggiato dell’arenile ed il piano regolatore portuale, non pare possibile, e tantomeno opportuno, escluderli dalla classificazione urbanistica generale, la quale può, e deve, dare le previsioni generali di destinazione d’uso per un ordinato assetto ed un equilibrato sviluppo del territorio comunale.
Riteniamo pertanto che tutta la fascia di arenile con il tessuto degli stabilimenti balneari debba essere classificata in Zona F (per attrezzature di interesse collettivo) come peraltro già era nei precedenti piani regolatori comunali; l’area portuale vera e propria, ossia quella oggi effettivamente in uso per lo scalo commerciale, possa essere classificata in Zona D (insediamenti per impianti industriali produttivi o assimilati); la parte dell’area portuale non strettamente commerciale ma più turistica possa essere classificata anch’essa come zona F di attrezzature di interesse collettivo (si vedano ad esempio le aree per il proposto water-front e per la passeggiata di ponente e comunque tutte le parti più turistiche).
Riteniamo infine che, quale scelta significativa e coerente con le volontà di ridotto consumo di suolo e di riqualificazione ambientale del territorio comunale, anche l’area tra le foci di Carrione e Lavello sia da classificare come zona F (per attrezzature di interesse collettivo) al fine di potervi attuare nel futuro quel parco lineare costiero, il cui progetto preliminare era già stato redatto da Legambiente e donato alla città anni fa, così che si possa costituire un ambito di reale mitigazione e compensazione ambientale dell’infrastruttura portuale e che la costa del Comune di Carrara possa avere un vero riqualificato e raro affaccio sul mare.
Sempre su questa parte di territorio in affaccio sul mare, nella totale assenza della classificazione in zone omogenee suddetta, rileviamo invece la presenza della classificazione di Zona B (parti del territorio urbano edificate con densità di almeno un ottavo della superficie fondiaria) in due puntuali situazioni costituite dal lotto sede dell’Autorità Portuale con gli attigui piccoli edifici compresi tra le due strade di accesso all’ingresso di ponente del porto (via A. Salvetti) e, alla foce del Carrione, dall’area perimetrata afferente (pare) a un nuovo sistema infrastrutturale viario, però totalmente inesistente nello stato di fatto; situazioni peraltro entrambe poi soggette al p.r.g. portuale. Queste situazioni appaiono veramente strane e, certamente, incongruenze non trascurabili che devono essere segnalate e corrette nel senso sopra indicato.
Rimanendo nell’abitato di Marina, risultano indistintamente classificate nella Zona B, cioè nell’edificato urbano abbastanza denso: tutte le Pinete, il Parco Giardino Falcone e Borsellino con l’attiguo campo sportivo della Portuale, il Parco Puccinelli con tutta la fascia di aree verdi, parcheggi e attrezzature ludico sportive (piscine, tennis, ex cinema all’aperto) esistenti a margine del viale Vespucci, le quali, parimenti alla fascia di arenile, dovrebbero invece essere classificate quantomeno tutte come Zone F per attrezzature di interesse collettivo.
Quanto sopra peraltro in evidente contrasto con la disciplina di articolazione degli ambiti territoriali dello stesso POC, la quale, appunto, riconosce le funzioni di spazi per servizi pubblici a verde, parco, giardini, impianti sportivi all’aperto.
Dalla cartografia di Marina si evidenzia una serie di altre situazioni puntuali che però riteniamo rilevanti in termini di incongruenza rispetto al reale tessuto urbano esistente e per un ordinato assetto ed un equilibrato sviluppo del territorio comunale, che di seguito si elencano:
- risulta privo di classificazione (“zona bianca”) il lotto dell’esistente struttura ricettiva Tenda Rossa, ancorché lo stesso sia tutto circondato dalla zonizzazione di tipo B;
- il plesso scolastico Giampaoli risulta interamente classificato in Zona B, mentre dovrebbe essere nella zona F di attrezzature collettive in cui rientrano le destinazioni culturali scolastiche educative; stessa situazione si rileva per la scuola elementare Giromini con l’attigua biblioteca e parco didattico;
- il quartiere compreso nel quadrilatero di strade tra via Bassagrande, viale Galilei, via Maestri del Marmo e via O. Fallaci risulta in parte classificato in zona F e in parte in zona B. In particolare risultano escluse dalla zona F: la chiesa, parte del plesso scolastico Buonarroti e degli edifici di servizio dell’ex campo profughi, l’asilo e la scuola materna con l’attigua pineta-parco, il parcheggio lato est del Campo Scuola. Si evidenzia pertanto che, per le destinazioni d’uso in essere e previste, l’intera area deve essere classificata come zona F per attrezzature collettive;
- risulta in Zona B l’impianto idrovoro presente in prossimità della foce della Fossa Maestra, mentre anche questa infrastruttura è di interesse collettivo e dovrebbe essere classificata come zona F;
- risultano tuttora presenti all’interno del tessuto residenziale di Marina Est lotti classificati come zona D ovvero industriali-produttivi, i quali sono invece per la gran parte dismessi, inutilizzati o sottoutilizzati per tali destinazioni e si presentano ad oggi come del tutto avulsi dal tessuto urbano residenziale circostante oltre che come elementi di rilevante degrado, per i quali pertanto necessiterebbero previsioni di riconversione e di riqualificazione. Stessa situazione si rileva all’interno del tessuto residenziale di viale Da Verazzano, dove permangono in zona industriale D tronchi di ex ferrovia e relative aree pertinenziali oggi dismessi e/o sostituiti dalla nuova linea di collegamento al porto.
Salendo verso l’interno del territorio comunale si rilevano le seguenti principali situazioni.
Nell’ambito di Anderlino, a cavallo del tronco ovest della S.S. Aurelia, si apprezza la restituzione del riconoscimento di zona agricola (E) per la gran parte del territorio aperto esistente, in quanto più volte ne è stato sottolineato l’importante valore paesaggistico e di connessione ambientale con la prima collina, ma anche l’interesse produttivo agricolo tuttora in essere e che coinvolge un paio di aziende agricole in attività nella zona, i quali invece sono stati minacciati dalla scellerata variante del 2014 al piano strutturale.
In questo quadro, tuttavia, non si comprende, sotto il profilo del più corretto assetto urbanistico e della migliore tutela territoriale, la notevole frammentazione creata all’interno del territorio rurale da zone classificate come B ovvero come edificato ad alta/media densità: classificazione che neanche corrisponde alla reale consistenza del tessuto edificato esistente, costituito prevalentemente da edifici singoli, monofamiliari, di tipologie a ville, villette o casali isolati.
Probabilmente anche in un caso come questo l’esclusione dal perimetro del territorio urbanizzato e l’applicazione di classi di intervento sull’edificato in territorio aperto costituirebbe la migliore pianificazione per un effettivo riconoscimento dei valori e delle necessità di tutela di quest’area. Si ritiene pertanto che al momento potrebbe essere più opportuna una classificazione dell’edificato presente nell’area afferente la zona urbanistica omogenea C propria del tessuto edificato più rado e meno denso.
In questo ambito risulta classificato in zona B anche il campo da calcio/complesso sportivo di Fossone, mentre, per la sua natura ed effettiva destinazione d’uso, dovrebbe essere classificato in zona F di attrezzature di interesse collettivo.
Situazione analoga a quanto osservato per l’ambito di Anderlino si rileva anche in una parte dell’area di Battilana, in cui viene classificato in zona omogenea B un tessuto edificato che presenta caratteristiche urbane più proprie della zona omogenea C di minore densità edificata.
A questo proposito è da rilevare che, secondo il POC adottato, nel territorio comunale non sarebbe presente alcuna zona omogenea C, ovvero di edificato a bassa densità: valutazione che si ritiene non corrispondere al reale tessuto edificato del territorio urbanizzato comunale, in quanto, come detto ad esempio per i casi sopra richiamati, sono presenti diverse parti che non raggiungono i limiti di densità della zona omogenea B, in particolare nelle parti di margine e di frangia del territorio urbano di pianura così come ai piedi della prima collina.
Nell’ambito della collina Dervillè viene perimetrata come zona A (centro storico) una grossa parte collinare inedificata che include come edificato la sola storica villa ed i relativi annessi. Si osserva che questa parte di territorio non presenta alcuna delle caratteristiche urbanistiche che consentano la classificazione di zona A, in quanto, pur rivestendo la villa carattere storico artistico, questa parte di territorio non è interessata da alcun agglomerato urbano, anzi è un’area per la stragrande parte inedificata con assoluta prevalenza di aree agricole e di aree di naturalità.
Si ritiene pertanto che debba essere completamente modificata la classificazione, riconducendola alla zona E propria del territorio rurale, fatto salvo il riconoscimento del valore storico della villa con i relativi annessi originali.
Lascia dei dubbi sotto il profilo urbanistico la perimetrazione in zona A, centro storico, di tutto il centro città di Carrara, ivi compresi i quartieri della parte più ad est / nord-est e della frangia ovest ai piedi della collina (a partire dallo stesso mercato coperto della Lugnola), i quali sono caratterizzati da costruzioni moderne e recenti per cui riesce veramente difficoltoso individuare le parti (come prescrive il D.M.) che “rivestano carattere storico, artistico di particolare pregio ambientale” o che “possano considerarsi parte integrante” con l’agglomerato storico più antico di Carrara.
Una notazione particolare necessita da ultimo, ma non ultima per importanza, la classificazione del bacino marmifero a monte. Si evidenzia infatti che classificare in zona D (per impianti industriali o assimilati) indistintamente tutto il territorio montano interessato dalla presenza delle cave, comprendendovi anche crinali, cime, valli e canali, zone tutt’ora boscate, versanti più o meno vergini, sia inadeguato ad un corretto assetto del territorio, oltre che pericoloso per i delicati assetti idrogeologici ed ambientali dell’area.
Si ritiene che sarebbe più corretto e più aderente alla reale configurazione dei luoghi classificare in zona D solo le aree di cava vere e proprie ed i relativi ambiti pertinenziali, lasciando alla classificazione generale del territorio rurale le restanti parti di territorio, ancorché incluse nell’inquadramento legislativo regionale del bacino marmifero industriale, che però è cosa ben diversa dalle classificazioni e dalle previsioni urbanistiche.
Situazioni analoghe si rilevano per la ex cava della Foce e per la ex cava cementeria di Torano, entrambe chiuse e dismesse da lunghissimo tempo e senza alcuno interesse di riapertura per attività estrattive o industriali, quindi di fatto non classificabili come zona D per impianti industriali.
Nel caso della Foce lo stesso POC, nella disciplina del territorio, la prevede come “area di recupero ambientale”, quindi con una evidente contraddizione rispetto alla classificazione urbanistica generale.
Mentre nel caso della ex cementeria di Torano sono oggi ancora presenti solamente i vecchi manufatti in stato di totale abbandono, che potrebbero avere un certo interesse come archeologia industriale e che pertanto potrebbero essere oggetto di previsioni per il recupero/riconversione.
Per quanto sopra tutte queste scelte pianificatorie del POC appaiono molto banalizzanti e riduttive rispetto alla reale complessità ambientale di queste parti montane del territorio comunale.
Infine merita evidenziare l’apprezzamento per avere classificato in Zona F (per attrezzature di interesse collettivo) l’intero tracciato della ex Ferrovia Marmifera ed in Zona E (rurale-agricola) l’ambito di Battilana Fossa Maestra, in quanto classificazioni urbanistiche che potranno consentire, in una pianificazione strutturale e di dettaglio più attenta, una effettiva tutela e riqualificazione di questi ambiti.
Osservazione 2
IL PERIMETRO DEL TERRITORIO URBANIZZATO
È noto che la perimetrazione del territorio urbanizzato è agganciata alle previsioni del Piano Strutturale, oggi vigente nella versione stravolta dalla scellerata variante del 2014, che ha appunto pesantemente intaccato proprio anche la definizione del territorio urbanizzato a discapito della salvaguardia del territorio rurale aperto, avendo inserito nell’urbanizzato porzioni del territorio comunale che per nulla rispettano le caratteristiche essenziali dettate dalla legge regionale sul governo del territorio (L.R. 65/2014).
Però il POC, stante anche la scala di maggiore dettaglio territoriale a cui lavora, potrebbe meglio articolare e precisare la definizione del territorio urbanizzato nella direzione della maggiore tutela e dell’attuazione dei principi di non consumo di suolo e dunque di limitazione dei fenomeni espansivi del tessuto edificato (contenimento dello sprawl urbano).
Ciononostante, il POC adottato pare ancora spingere per intaccare la frangia del territorio collinare e pedecollinare a confine con l’urbanizzato, invero con piccoli lotti ma collocati qua e là in tutte le diverse aree di confine, come sul margine sud di Fossola, in alcune parti di Fossone, nella zona di Bonascola, dove si comprendono nel t.u. territori di confine che non hanno nessuna delle caratteristiche previste dall’art. 4 della L.R. 65/2014, il quale stabilisce le condizioni inderogabili per la definizione del territorio urbanizzato.
Infatti la legge regionale dispone in modo molto chiaro che “il territorio urbanizzato è costituito (solo e soltanto) dai centri storici, dalle aree edificate con continuità dei lotti a destinazione residenziale, industriale e artigianale, commerciale, direzionale, di servizio, turistico-ricettiva, dalle attrezzature e i servizi, i parchi urbani, gli impianti tecnologici, i lotti e gli spazi inedificati interclusi dotati di opere di urbanizzazione primaria” (!).
Tant’è che poi lo stesso POC, all’interno della propria articolazione degli ambiti territoriali, disciplina questi lotti, annessi “forzosamente” al territorio urbanizzato, all’interno dell’assetto ambientale come aree verdi o addirittura come “aree verdi di connessione e di filtro ambientale” (V5) riconoscendo quindi l’assenza di qualsiasi caratteristica riconducibile al territorio urbanizzato ex lege.
Dentro al territorio urbanizzato permangono ancora diverse aree di estremo pregio ambientale e di grande importanza per evitare la saldatura di una piastra urbanizzata unica su tutto il territorio di pianura e di fondovalle del Comune.
Tra queste merita rammentare tutte le aree agricole e le zone umide tuttora esistenti nell’area di Battilana-Fossa Maestra, ma anche le aree aperte agricole pedecollinari di Anderlino ed a cavallo del tratto ovest della SS. Aurelia, fino alle aree agricole residuali tra Avenza e Marina e di Villa Ceci (di quest’ultima si tratterà in una specifica osservazione): tutte assolutamente prive di quelle caratteristiche essenziali che la legge regionale prescrive per potere essere classificate come territorio urbanizzato.
In questo quadro si apprezza un primo sforzo fatto dal POC per potere almeno salvaguardare parte dei valori ambientali e paesaggistici attraverso l’articolazione dell’assetto ambientale di piano, che definisce dalle “aree agricole della pianura” (V3.4) alle “aree verdi di connessione e di filtro ambientale” (V5) fino al riconoscimento della presenza di “aree agricole umide” (V4).
Si può dunque apprezzare la volontà del POC adottato di avere cercato di contenere forme di edificazione inappropriata che avrebbero intaccato aree di pregio o di valore ambientale, ma anche si materializza ulteriormente l’evidente contraddizione pianificatoria oggi in essere nel sistema degli strumenti di governo del territorio del Comune di Carrara ed il palese contrasto con le disposizioni di legge vigenti.
In tale situazione si ritrovano anche molte aree circostanti i paesi a monte, nei quali le aree di valore ambientale che lo stesso POC definisce come “aree di corona dei borghi montani” sono talora inserite all’interno e talora all’esterno del perimetro del territorio urbanizzato, non si capisce in base a quali valutazioni di merito o parametri oggettivi, peraltro sovente con un perimetro del t.u. non appoggiato a elementi fisici o geografici certi ed identificabili in sito, cosa questa che può generare problemi e contenziosi in sede di applicazione della norma (si vedano le cartografie di Codena, Bergiola, Colonnata).
Addirittura a Gragnana, Castelpoggio e Noceto il perimetro del territorio urbanizzato comprende porzioni degli ambiti che lo stesso POC definisce come “aree a prevalente naturalità” (V2) quindi in assoluto contrasto con le disposizioni di legge per la definizione del territorio urbanizzato e la distinzione del territorio rurale (art. 64 L.R. 65/2014).
Richiamando una osservazione già mossa per le zone territoriali omogenee, bisogna anche qui sottolineare l’incongruenza dell’inserimento nel territorio urbanizzato della ex cava della Foce; come già evidenziato sopra, questa parte del territorio non ha alcuna caratteristica oggettiva ed ai sensi di legge per potere essere inserita nel t.u., in quanto non ha lotti edificati, non ha destinazione d’uso urbana, è priva di urbanizzazione primaria ed è una porzione di territorio montano isolato interamente inserito all’interno dello stesso assetto ambientale di piano delle aree definite a prevalente naturalità (V2); quindi con evidente palese contrasto rispetto alle disposizioni normative vigenti (artt. 4 e 64 della L.R. 65/2014).
Osservazione 3
L’ARTICOLAZIONE DEGLI AMBITI TERRITORIALI
Come rilevato alla precedente osservazione sulle criticità della perimetrazione del territorio urbanizzato, l’articolazione degli ambiti territoriali del piano adottato ha senza dubbio il pregio di cercare di porre alcuni rimedi o di provare ad attuare alcune previsioni tampone, per mitigare le incongruenze e gli impatti negativi di una definizione “abnorme” del t.u., come detto dettata nelle sue linee generali dal vigente piano strutturale del comune.
Ciononostante, anche all’interno del territorio urbanizzato l’articolazione degli ambiti di piano presenta alcune situazioni che devono essere osservate.
Partendo dalla costa ritroviamo ancora la mancanza di una previsione di ambiti territoriali per la gran parte del territorio costiero comunale (come già si osservava al punto 1 la mancanza di classificazione in termini di zone urbanistiche omogenee).
Infatti, al di là di tutta la fascia di arenile, per la quale si rimanda allo specifico piano attuativo, manca ancora un segnale chiaro ed incontrovertibile del governo del territorio comunale sulla parte preponderante oggi occupata dall’infrastruttura portuale vera e propria o divenuta nel tempo demanio portuale.
Questa parte interessa in pratica il 50% del territorio costiero del Comune di Carrara ed è interessata dall’infrastruttura principale del territorio comunale: non è concepibile che il governo del territorio comunale non fornisca indirizzi, indicazioni, interazioni con la pianificazione portuale specifica che la legislazione prevede, appunto, per i porti di rilevanza nazionale. La pianificazione comunale ovviamente dovrà intervenire in un quadro più generale: di rapporti tra territorio, i suoi abitati, i suoi ambienti nell’interfaccia con l’infrastruttura portuale, affinché tutti questi elementi possano essere debitamente valutati e declinati dallo specifico piano regolatore portuale. Ma non può essere totalmente assente e delegare ad altra forma di pianificazione specialistica.
Le stesse N.T.A del POC adottato dedicano al Porto un solo articolo di 16 righe (l’art. 81) nel quale si formulano solamente enunciazioni generiche e di principi generali senza alcuna declinazione attuativa.
Nel caso specifico del porto di Marina vi è poi tutta una partita più o meno aperta dedicata ad interventi di “water-front” e di presunta interfaccia porto-città (si pensi a tutte le aree della passeggiata di ponente, già ora di grandissima rilevanza turistica e fruitiva per il territorio comunale), sui quali pare assurdo che il Piano Operativo Comunale non dia indicazioni, previsioni e prescrizioni, o peggio, come è nel POC adottato, di fatto ne disconosca l’esistenza.
In questo quadro si osserva che una criticità particolarmente rilevante è il mantenimento ancora nella mera classificazione di “area di circoscrizione portuale” di tutto l’affaccio a mare compreso tra le foci di Carrione e Lavello. Riteniamo invece questa una parte di territorio molto rara e pertanto di notevole valore paesaggistico ed ambientale, in quanto è di fatto l’unico affaccio a mare libero ad oggi rimasto su tutta la costa.
Affaccio che deve costituire un elemento di riqualificazione importante e caratterizzante del territorio costiero comunale, ma anche di compensazione e mitigazione ambientale dell’infrastruttura portuale/industriale, e che come tale deve rientrare nelle previsioni di un piano operativo comunale che seriamente voglia attuare i principi di non consumo di suolo, di valorizzazione dell’esistente, di tutela del territorio.
Nel POC adottato, invece, si osserva ancora una forte subalternità alla pianificazione/programmazione di settore che discende dal solo piano regolatore portuale. Così facendo, ad oggi, una parte importantissima per il territorio comunale e per l’abitato di Marina, pari a circa il 50% dell’affaccio a mare del territorio comunale, è privo di una pianificazione urbanistica.
Per questa importante e rilevante parte di territorio costiero comunale vi è dunque una rinuncia al governo del territorio e viene sancita una delega in bianco alla sola pianificazione di settore in capo all’Autorità portuale con lo strumento del piano regolatore portuale, il quale, per istituzione, non persegue le finalità di corretto assetto urbano e di migliore tutela del territorio comunale.
Direttamente collegata a quanto sopra osservato, rileviamo la situazione della foce del Carrione. Si apprezza la previsione fatta dal POC di classificare l’intera asta idrografica del Carrione come “area verde di connessione e di filtro ambientale” (V5), ma per tale previsione il Carrione finisce a monte del ponte sul viale da Verazzano, come se questo sistema idrico-ambientale non avesse una foce: uno sbocco a mare! Perché lì, per il POC adottato, finisce l’area verde connessa al fiume, mentre la foce del fiume viene fagocitata dall’infrastruttura portuale, essendo ricompresa dal POC nell’indistinta classificazione della “area di circoscrizione portuale”.
Dunque l’articolazione ambientale della principale asta idrografica del territorio comunale manca di qualsiasi previsione rivolta alla messa in sicurezza ed alla riqualificazione ambientale della sua foce, ma anche, proprio per come è stato strutturato il POC adottato, manca della sua naturale continuità ambientale; tutti elementi che possono ingenerare gravi situazioni di rischio per il territorio e la popolazione qui insediata.
Peraltro nella cartografia è indicata anche l’inesistente copertura del tratto di mare al di là della foce, evidentemente destinato al nuovo ingresso camionabile al porto, quasi a suggerire la necessità della sua futura realizzazione attraverso questa specifica scelta progettuale. Questa ampia copertura, unita ai ponti stradale e ferroviario esistenti, aggraverebbe senza alcun dubbio la criticità idraulica dello sbocco a mare.
Infatti, per quanto possano essere fornite assicurazioni sul suo dimensionamento (adeguato alle piene cinquecentennali?), non va dimenticato che questo si riferisce sempre alle sole portate liquide e pertanto non considera le portate solide (di fondo e flottanti), cioè proprio quelle che, in occasione degli eventi meteorici eccezionali, possono provocare l’ostruzione totale o parziale della sezione idraulica.
Non è superfluo ricordare che tale riduzione dell’efficienza idraulica dello sbocco a mare comporterebbe un drastico incremento del rischio alluvionale per tutta l’area di Marina. Tale previsione equivarrebbe a pianificare consapevolmente le future alluvioni di Marina!
Proseguendo nelle articolazioni del territorio all’interno del tessuto edificato, risultano poco chiari i criteri oggettivi e le valutazioni di merito con le quali sono state individuate tutte le aree “verdi non edificate” (VR) o “private scoperte” (PR), in rapporto a diverse reali situazioni di fatto.
Soprattutto nella fasce di pianura e pedecollinare, ma in particolare a Marina, tra Marina e Avenza e nell’abitato di Avenza, la perimetrazione di tali aree parrebbe molto inferiore all’effettivo stato di fatto, si vedano ad esempio aree individuate in tutto l’abitato di Marina ed all’interno del tessuto edificato più recente di Avenza, dove i lotti perimetrati sono veramente un numero esiguo a fronte di una situazione reale significativamente differente, essendo buona parte di Marina e di Avenza a medio-bassa densità edificata, e sono collocati in situazioni che paiono abbastanza casuali, non essendo in tutto dissimili da molte altre aree presenti, anche attigue, che però vengono escluse da questa articolazione (VR/PR).
Per questa articolazione degli ambiti, una notazione particolare deve essere rivolta al territorio compreso tra l’abitato di Marina e la via Covetta, nello specifico le aree a margine delle vie Bulderini, Dei Corsi, Siena, Arezzo.
Qui sono di fatto presenti situazioni molto al limite della classificazione di territorio urbanizzato, riscontrandosi un edificato sparso e discontinuo con notevoli aree di pertinenza ed aree residuali agricole di un certo interesse paesaggistico ambientale; mentre si riscontrano caratteri molto attinenti al territorio rurale come definiti dal Capo III della legge urbanistica regionale n. 65/2014 quali ad esempio quelli degli “ambiti periurbani” definiti dall’art. 67.
Per tali ragioni si ritiene potessero essere più confacenti le articolazioni proprie dell’assetto ambientale previsto dal POC, quali “le aree agricole della pianura” (V3.4), “le aree agricole umide” (V4) “le aree verdi di connessione e di filtro ambientale” (V5) quest’ultima in piccolissima parte già riconosciuta anche dal POC adottato, fino a “la residenza della campagna urbanizzata” (V6), ed in questo senso ci pare confacente la previsione fatta dal POC in questa parte di territorio per due aree di orti urbani.
Nell’articolazione territoriale degli ambiti attinenti la residenza si osserva che sovente le perimetrazioni attinenti i diversi ambiti urbani non corrispondono, o mal corrispondono, al reale stato dei luoghi, ed alla effettiva configurazione del patrimonio edilizio esistente. Sono molteplici i casi, sparsi in tutto il territorio urbanizzato, dal centro città a Marina.
Se ne possono qui indicare solo alcuni a titolo esplicativo; ad esempio a Marina, sia nella parte est che ovest, vengono riconosciuti dal POC come appartenenti al tessuto de “i borghi e gli addensamenti lineari storici” diversi condomini o edifici unifamiliari del tipo a villetta di moderna costruzione come: in via Cairoli, via Savonarola, via Garibaldi (qui anche l’edificio che a Marina è noto come il “grattacielo” in quanto palazzo più alto di Marina), fino alle vie Dei Mille e Cavallotti e l’intero quadrilatero tra via Maggiani e via Venezia formato solo in parte da un tessuto urbano più storico ma per la gran parte da un tessuto recente di non alta densità fatto da case singole e piccoli condomini, ma anche i moderni edifici circostanti il Parco Falcone Borsellino, oppure sempre a Marina il mancato riconoscimento di alcuni edifici storici presenti in affaccio sul viale Cristoforo Colombo (all’angolo con via Modena) erroneamente inseriti nel tessuto de “la residenza in aggiunta”.
O ancora in centro città di Carrara, dove anche qui vengono identificati come “i borghi e gli addensamenti lineari storici” molti edifici recenti (condomini e abitazioni singole) ad esempio nella zona di Monterosso. Stante la diffusione di queste inesattezze, che comportano poi distorsioni nell’applicazione della disciplina degli interventi ammessi sul patrimonio edilizio, si chiede dunque una puntuale revisione di tutte queste articolazioni rispetto al quadro previsionale adottato ed una loro più esatta aderenza alla reale configurazione dei tessuti urbani esistenti.
Anche laddove è stato definito l’ambito urbano de “la città antica e i centri generatori”, a titolo ancora di esempio, si segnala che nel caso di Marina è storicamente dimostrato che il “centro generatore” più antico è quello del piccolo tessuto edificato tutt’oggi presente nel tratto di via Nazario Sauro compreso tra le vie Lunense e Fiorillo (quella che un tempo appunto a Marina chiamavano “via delle capanne” in quanto il primo insediamento sulla costa dietro la duna litoranea abitato da pescatori e marinai) che pero il POC non riconosce come tale.
Ma stessa situazione si presenta in centro città a Carrara, dove è noto che “il centro generatore” è stato identificato dagli storici nel piccolissimo tessuto urbano di Vezzala (poco a monte dell’attuale centro storico ed alla confluenza dei due rami del Carrione che scendono da Torano e da Colonnata), non riconosciuto però come tale dal POC.
Nell’articolazione degli ambiti territoriali per la produzione, prevista dal POC, una attenzione molto particolare deve essere rivolta alle “aree produttive del Carrione”, in ragione della loro assoluta rilevanza per gli aspetti ambientali, idrogeologi e di sicurezza idraulica. Tali aree sono perimetrate nelle cartografie di piano, sono normate dall’art. 76 della N.T.A. ed interessano tutta l’asta idrografica del Carrione: dai fondovalle a monte fino in pratica alla foce del fiume attraverso tutti gli insediamenti di pianura del territorio comunale.
Si osserva che la normativa adottata non prescrive la necessità di riqualificazione e di eventuale delocalizzazione per gli impianti produttivi/industriali di maggiore impatto con il conseguente obbligo di messa in sicurezza idraulica dei siti, ma solamente “promuove” in via generale “la riqualificazione funzionale ed ambientale del contesto” ricalcando pedissequamente le previsioni del vigente piano strutturale.
Parimenti la normativa del POC non fornisce prescrizioni concrete rivolte a reali interventi di riqualificazione ambientale e di messa in sicurezza idraulica, ma elenca solamente enunciazioni di massima e principi generali (comma 3 lett. a, b, c, art. 76). Si ritiene questa una grave carenza del POC proprio per la estrema delicatezza di queste parti del territorio (dimostrata a più riprese dagli eventi calamitosi succedutisi).
Particolare riguardo ad esempio dovrebbe essere posto per le aree collocate a monte: dove le criticità ambientali e di sicurezza idraulica, ma anche l’estraneità di questi insediamenti rispetto al contesto geografico fisico, sono più salienti, oppure alle aree presenti dentro Villa Ceci.
Si ritiene pertanto che all’interno delle aree produttive del Carrione potrebbero essere distinte quelle di maggiore impatto ed a maggiore rischio, graduando di conseguenza una normativa più di dettaglio rivolta alla effettiva messa in sicurezza ed a una più concreta riqualificazione ambientale.
Nell’articolazione degli ambiti territoriali per il bacino marmifero si deve riprendere la valutazione mossa con l’osservazione 1 sulle zone territoriali omogenee. L’indistinto rimando ai piani attuativi dei bacini estrattivi, senza che venga definita neanche una minima articolazione del territorio montano, palesa anche qui una rinuncia del POC alla pianificazione urbanistica ed al corretto governo di questa parte del territorio comunale.
Si ritiene pertanto che sarebbe stato più opportuna, e confacente alla reale configurazione del territorio, la definizione di una prima articolazione ambientale e territoriale anche di questo particolare territorio, che tenesse conto delle aree di cava vere e proprie e dei relativi ambiti pertinenziali o di sviluppo, quelle effettivamente in attività o per le quali siano realisticamente prevedibili attività estrattive (ad esempio desumibili dai piani di cava autorizzati), distinguendola da tutte quelle porzioni che invece non sono e/o non potranno mai essere oggetto di concrete attività estrattive, quali (come già notato all’osservazione 1) crinali, cime, zone boscate o di naturalità, ma anche versanti tuttora vergini nei quali non sono presenti risorse marmifere o comunque giacimenti commercialmente sfruttabili, i quali oggi ricadono comunque negli areali indicati per i PABE.
Anche qui, pertanto, le scelte pianificatorie, o meglio le non scelte di pianificazione urbanistica, adottate dal POC appaiono banalizzanti e riduttive rispetto alla reale complessità ambientale di queste parti montane del territorio comunale.
Osservazione meritano anche le articolazioni degli ambiti ed i relativi assetti ambientali che interessano i paesi a monte, in quanto sovente paiono avulse dal reale contesto e lontane da vere prospettive di tutela dell’integrità territoriale di questi nuclei.
Ad esempio nell’articolazione degli ambiti afferenti il paese di Colonnata non si capisce perché nel territorio aperto a sud dell’abitato vi sia la classificazione di “aree di corona dei borghi montani” (V3.3), che si ritiene corretta rispetto al reale contesto cui si deve fare riferimento, mentre nella parte a nord dell’abitato sia stata imposta la classificazione di “aree agricole di collina” (V3.2) senza che nella realtà di fatto sia presente questa differenziazione: anzi i due territori sono in tutto analoghi e tutto il territorio circostante il borgo è molto omogeneo e necessita delle medesime previsioni di assetto e di tutela.
Nel quadro della “articolazione del sistema insediativo del territorio urbanizzato” si osserva infine che il sistema normativo di sovrapposizione dell’articolazione in tessuti ed ambiti urbani, dotati di una loro specifica classificazione e normativa urbanistica (Titolo VIII delle N.T.A.) con la classificazione della “disciplina degli interventi ammessi sul patrimonio edilizio esistente” (Titolo III delle N.T.A.) organizzata in classi di intervento da 1 (più restrittiva) a 6 (più aperta), risulta abbastanza complesso e certamente di non immediata lettura, soprattutto di non facile comprensione per il normale cittadino.
La lettura infatti del numero del relativo ambito urbano (esempio R1 o P1 ecc.) associata all’altro numero (da 1 a 6) della classificazione per la tipologia di interventi ammessi può generare una certa confusione, in quanto di fatto si deve attuare un combinato disposto normativo. Poteva pertanto essere più auspicabile una disciplina degli interventi ammessi direttamente collegata con l’articolazione del sistema insediativo, in cui le diverse categorie di ambiti e tessuti urbani (da R1 a R7 e da P1 a P5) comprendessero già il novero delle categorie di interventi ammessi e la eventuale relativa loro classificazione.
Osservazione 4
USI, MOBILITA’ E STANDARD URBANISTICI
Una carenza molto pesante, ed ormai cronica per il territorio comunale di Carrara, è il deficit, accumulato negli anni trascorsi per una insensata gestione del territorio, di adeguati standard urbanistici primari: afferenti essenzialmente alle dotazioni di verde pubblico, di spazi pubblici di ritrovo e socializzazione all’aperto, di parcheggi, e di idonee sezioni stradali, in particolare capaci di contenere in sicurezza non solo il traffico veicolare ma soprattutto la mobilità pedonale e ciclabile.
Queste carenze si ritrovano un po’ ovunque nel territorio comunale: nelle parti più antiche, per le ovvie ragioni di strutturazione storica dell’edificato, ma anche nelle parti di più recente edificazione e, soprattutto, in quei quartieri caratterizzati da tutto quell’edificato a medio-bassa densità costituito da tipologie edilizie più o meno sparse: a villette, schiere e piccoli condomini.
Il POC adottato, con i suoi documenti di analisi e di accompagnamento, conferma nelle linee generali una tale situazione; ma nella sua articolazione urbanistica e nella parte previsionale non si rilevano scelte e strumenti pianificatori efficaci per porre seri rimedi a tale grave deficit, anzi con talune scelte, come quelle per certi “ambiti ed aree di trasformazione”, pare si possa incrementare tale criticità.
Si osserva ad esempio che anche il POC adottato, come già precedenti strumenti di governo del territorio comunale, al fine di raggiungere i livelli dimensionali di legge per lo standard del verde pubblico (pari a 9 mq per abitante), continua a sopperire alla carenza di questo standard andando a reperire superfici per il verde pubblico sovente ricavate su aree pubbliche marginali e su porzioni verdi di risulta, e per lo più non fruibili, come: margini stradali, interspazi della viabilità e simili.
Risulta così tuttora carente una pianificazione organica e funzionale dedicata proprio al verde pubblico. Si evidenzia che il verde urbano è oggi probabilmente lo standard urbanistico principale per la resilienza di una città e per il contrasto ai cambiamenti climatici che colpiscono maggiormente proprio le aree urbane (si pensi alle bolle di calore estive o alle ‘bombe d’acqua’ negli eventi di pioggia).
In questo quadro anche la cronica e diffusa carenza di adeguati standard stradali nel territorio urbano non trova particolari soluzioni o indicazioni nel POC adottato.
In particolare risulta mancante l’individuazione di un sistema organico di percorsi ciclabili che siano in rete con i diversi nodi della mobilità (treno, mezzi pubblici, principali aree parcheggio) e siano connessi alle funzioni urbane preminenti, quali: in primis i servizi per l’educazione e l’istruzione e, a seguire, i poli commerciali, le più frequentate aree turistiche o per svago sport tempo libero, fino ai quartieri di maggiore densità abitativa.
Il POC adottato segnala solamente alcuni tracciati ciclabili (Ciclovia Tirrenica, percorsi esistenti ed alcune sporadiche connessioni di progetto) senza però individuare un vero sistema di mobilità alternativa che abbia come riferimento principale la ciclabilità e la pedonabilità.
Parimenti, anche per lo standard dei parcheggi pubblici, il POC non fornisce indicazioni o previsioni idonee, ed anzi, al fine del raggiungimento dei livelli minimi dimensionali di legge, indica in modo estemporaneo spazi parcheggio residuali quali quelli lungo strada sparsi un po’ ovunque all’interno del tessuto edificato ed in strade secondarie o interne di quartieri già caratterizzati da un’alta densità abitativa e dalla concentrazione di funzioni urbane, nelle quali semmai necessiterebbe una riqualificazione della sezione stradale rivolta alla promozione ed alla sicurezza della mobilità ciclabile e pedonale oltre che alla maggiore vivibilità dello spazio pubblico, come ad esempio casi all’interno di Marina in: via Venezia, via Garibaldi, via Cavallotti, via Muttini e via Fiorillo.
In termini di usi del territorio urbanizzato e di standard urbani, una riflessione a parte e particolare deve essere posta anche su tutta la vastissima area tutt’oggi occupata dal complesso fieristico della “IMM-Marmomacchine”. L’area è veramente vasta, soprattutto in termini urbanistici se rapportata all’abitato di Marina: si pensi che equivale di fatto alla superficie di tutti i quartieri compresi tra via Cavallotti e via Dei Mille.
La riflessione deve essere mossa sull’ormai attuale “cronico” sotto-utilizzo dell’area e sulle prospettive di ulteriore sotto-utilizzo negli anni a venire; questione dunque che non può lasciare indifferente una corretta pianificazione del territorio e conseguenti sagge scelte urbanistiche/politiche, proprio in relazione alla pesante carenza di standard urbanistici pubblici che attanaglia tutto il territorio comunale e l’abitato di Marina per parte sua.
Marina e il territorio comunale in generale non si possono permettere il “lusso” di un potenziale tale spreco di spazio urbano, per di più in disponibilità pubblica. Dunque crediamo che un ripensamento sugli usi di questa vasta ed importante area sia doveroso, non certo per abbandonare le funzioni fieristiche, ma per ricercare nuove modalità legate alle attività di expo in linea con le esigenze dei tempi attuali e degli sviluppi futuri, e liberare così spazi per ulteriori usi, anche in un mix di funzioni urbane maggiormente idonee a qualificare il tessuto insediato di costa e a reperire quegli spazi per gli standard urbanistici primari e secondari di cui il territorio comunale è carente o bisognoso; si vedano appunto le necessità di: scuole, spazi sportivi, aree verdi.
Osservazione 5
VILLA CECI
Una osservazione specifica deve essere rivolta all’ambito interessato da Villa Ceci, proprio per la rilevanza territoriale ed ambientale, ma anche testimoniale storica, che riveste per il territorio comunale, soprattutto per la parte di pianura.
Villa Ceci costituisce infatti uno dei più vasti tra i rari spazi verdi, ancora inedificati, scampati all’urbanizzazione intensiva che ha caratterizzato lo sviluppo della fascia costiera negli ultimi decenni. È di fatto ad oggi l’unico territorio rurale che consente la separazione tra gli abitati di Marina ed Avenza e che evita la saldatura dei tessuti urbani in una unica piastra edificata. È così inoltre una delle ultime importanti testimonianze degli originali assetti insediativi di questo tratto di pianura costiera.
L’area, denominata “Villa Ceci”, è stata un tempo interessata da una vasta tenuta agricola che si estendeva anche oltre gli attuali confini territoriali; sono ancora presenti sull’area manufatti rurali, e in particolare alcune case coloniche adibite un tempo alla gestione agricola dell’area. L’area è caratterizzata in particolare dalla presenza della villa padronale di pregevole architettura ottocentesca con annesso parco-giardino dagli elevati connotati estetico-paesaggistici. La restante superficie dell’area è oggi prevalentemente a verde ma in parte tuttora coltivata (sono infatti operative alcune attività agricole le quali tra l’altro in certe giornate vendono direttamente i loro prodotti con un chiosco sulla via Covetta proprio a fianco dell’antico ingresso alla tenuta).
L’originale area della tenuta agricola è stata interessata dal passaggio del tracciato della autostrada A12, che l’ha divisa fisicamente in due parti: una a monte ed una a valle dell’autostrada stessa, le quali da un punto di vista ambientale mantengono comunque una certa unitarietà ed una oggettiva uniformità.
Un territorio con tali caratteristiche rientrerebbe pienamente da una parte in quelle “aree rurali intercluse che qualificano il contesto paesaggistico…” e dall’altra in quegli “ambiti periurbani” del ”territorio rurale” puntualmente definiti e disciplinati dagli artt. 4, 64 e 67 della legge regionale sul governo del territorio n. 65/2014, in forza dei quali non può essere considerato “territorio urbanizzato” (o peggio urbanizzabile).
In questo quadro sorgono dubbi circa il fatto che tale ambito possa essere classificato come zona urbanistica omogenea F (per attrezzature di interesse collettivo); probabilmente sotto il profilo della zonizzazione urbanistica generale dovrebbe rientrare nella zona E (rurale).
Di conseguenza, si ritiene non confacente l’articolazione dell’assetto ambientale fatta dal POC secondo cui tutta l’area di Villa Ceci viene classificata come “spazi pubblici attrezzati a parco e per il gioco e lo sport” (S3), in rapporto proprio ai reali caratteri ambientali territoriali dell’area ed alle necessarie esigenze di tutela, come sopra richiamati.
Sulla base dell’assetto ambientale previsto dal POC, sarebbe più confacente ai reali caratteri ambientali di questa parte del territorio la classificazione delle aree agricole della pianura (V3.4) a cui si assocerebbe, per l’edificato sparso esistente nell’ambito, l’identificazione della residenza della campagna urbanizzata.
Si ritiene che la previsione di attrezzature a parco per il gioco e lo sport apra alla possibilità di costruzione di tutte quelle forme di urbanizzazione primaria e secondaria che scardineranno l’integrità territoriale ed ambientale di questo ultima area verde rurale rimasta tra i vasti sprawl urbani di Avenza e Marina.
Si apprezza l’intento di acquisire l’area al patrimonio pubblico, avendola inserita nell’elenco dei vincoli di esproprio. Si ritiene che la pianificazione urbanistica di questa parte di territorio debba essere prioritariamente impostata sulla tutela dell’integrità ambientale e dei valori paesaggistico testimoniali dell’area, in rapporto soprattutto al fatto che è il principale territorio aperto, inedificato, verde, all’interno di una vasta ed impattante conurbazione costiera.
Tutela attuabile attraverso anzitutto il mantenimento dei caratteri di ruralità e dunque sostanzialmente con forme di gestione agro-ambientali che svolgano il ruolo anche di presidio per la sicurezza idro-geologica (si rammenta che nell’evento alluvionale del novembre 2014 questa parte di territorio non urbanizzato ha fatto da vera e propria spugna ed ha così contenuto l’inondazione di Marina); una gestione agro-ambientale che vada congiunta alla promozione culturale educativa e alla fruizione pubblica.
Si osserva che la villa storica con la sua area di immediata pertinenza deve essere classificata come nucleo storico (non potrebbe essere altrimenti), ovvero in zona urbanistica A, mentre nel POC adottato è stata classificata in zona B (corrispondente al normale tessuto edificato denso).
Un ultimo aspetto (non ultimo per importanza) da osservare, al fine di una reale salvaguardia dei valori ambientali paesaggistici storici di Villa Ceci, sono le zone produttive industriali presenti sul margine est dell’ambito.
Queste aree hanno già in parte intaccato l’integrità dell’ambito di Villa Ceci e sono impattanti rispetto ad una corretta tutela ed una appropriata gestione di questa parte del territorio comunale. Il POC adottato le perimetra tali e quali nello stato attuale e ne prevede di fatto il completo mantenimento. La normativa di POC uniforma queste aree a tutte le altre “aree produttive del Carrione” e non prevede prescrizioni particolari.
Si ritiene invece che dovrebbe essere riconosciuta una specificità per questa situazione, in ragione appunto del valore ambientale dall’attiguo ambito di Villa Ceci, e pertanto la normativa di piano dovrebbe disciplinare le necessità di delocalizzazione o di trasformazione ad usi compatibili e definire le esigenze e le prescrizioni per la riqualificazione di queste aree produttive.
Osservazione 6
AMBITI E AREE DI TRASFORMAZIONE
Tra le aree previste di nuova edificazione, in particolare tra quelle di una certa rilevanza, si devono porre osservazioni per le seguenti nuove edificazioni.
“IC.14” e “IC.15”: localizzate in fronte all’attuale ingresso di levante del porto sui due piazzali attualmente in servizio per manovra e sosta allo stesso porto. Risulta la previsione di nuovo costruito per complessivi 3.750 mq di superficie edificabile ad uso di residenza, direzionale e commercio, ripartiti su due lotti di totali 12.600 mq.
Si ritiene questa previsione molto critica in termini urbanistici; in quanto va a collocare un notevole aumento del carico urbanistico ed insediativo proprio in una zona già molto densa ed allo stato di fatto con carenza di adeguati standard urbanistici, come è Marina centro ed est. Altresì si colloca in una zona di elevato rischio idrogeologico, nella quale un così rilevante aumento di tessuto edificato può comportare l’aggravio delle condizioni di criticità dell’edificato esistente.
Peraltro, infine, si vanno a collocare delle residenze proprio a pochi metri in faccia al complesso portuale industriale. In questo quadro, a fronte proprio della rilevanza di nuovo costruito, appaiono inutili anche le previste prescrizioni per la formazione di spazio pubblico-piazza e verde, ridotti a delle strisce strette a margine delle viabilità esistenti.
Si ritiene che, viste le effettive condizioni e le reali necessità di questa parte del territorio comunale, apprezzando l’idea di dismettere dall’utilizzo portuale le attuali aree, sia opportuno e necessario destinarle a standard urbani per la città, quali: verde, parcheggio, sosta, aggregazione, viabilità pedonali e ciclabili, anche quale filtro urbano e mitigazione ambientale dell’antistante struttura portuale rispetto ai circostanti quartieri.
“IC.9” costituita dall’ormai annosa questione dell’ex Mediterraneo; in cui, rispetto alla scheda norma adottata, si osserva solamente che risulta mancante (sia nella tavola grafica che nel testo normativo) la ricostituzione del giardino/verde pubblico preesistente all’angolo tra il viale XX Settembre e la via Genova, per il quale dovevano essere stati presi precisi impegni già nella previgente convenzione urbanistica.
Infine si segnalano gli interventi “IC.12” e “IC.13”, poiché evidenziano che nell’area di Battilana si continua a densificare quella piastra urbana a destinazione produttiva artigianale posta proprio a fianco di una delle aree residuali agricolo rurali che dovrebbero invece andare a costituire uno degli elementi di riqualificazione ambientale degli ambiti territoriali della pianura alluvionale.
Osservazione 7
LE NORME TECNICHE DI ATTUAZIONE
Si rilevano infine le seguenti osservazioni su specifici articoli della N.T.A. del piano.
Art. 29 (Disposizioni sulle distanze). Non è chiaro nelle deroghe previste dal comma 2 il caso del “costruire in aderenza”: ovvero se in tale deroga rientri anche un intervento di ampliamento (organico) di un edificio esistente legittimo, che nello stato di fatto non rispetti le distanze minime, purché tale ampliamento si attenga alle distanze esistenti.
Art. 36 (Contenimento dell’impermeabilizzazione dei suoli). Consentire negli interventi edilizi più rilevanti una riduzione fino al 15% della superficie fondiaria da destinare a suolo completamente permeabile sistemato a verde, risulta eccessivo in termini di reale tutela idrogeologica del territorio, vista la fragilità e la delicatezza del territorio comunale (dimostrata dagli eventi estremi e calamitosi succedutisi) ed atteso che, proprio nei documenti di indirizzo e di analisi del POC, la sicurezza idrogeologica del territorio risultava uno dei pilastri a fondamento del piano.
Infatti è tecnicamente dimostrato che le eventuali pavimentazioni cosiddette drenanti, proprio per la loro struttura e composizione, riescono ad assorbire solo una quota parte delle acque meteoriche e di corrivazione, la quale, nei casi dei prodotti di più alta qualità, può arrivare ad un massimo dell’80% in condizioni ambientali e fisiche ottimali, ovvero in condizioni di piogge normali e di perfetta manutenzione e pulizia della superficie pavimentata. Mentre tale capacità drenante precipita drasticamente (anche solo fino ad un 30%) proprio nei casi di eventi meteorici estremi come quelli causati da forti temporali o dalle cosiddette ‘bombe d’acqua’.
Si osserva pertanto di mantenere sempre la condizione più cautelativa, ossia almeno lo standard indicato dalla normativa regionale pari al 30% di superficie permeabile a verde rispetto alla superficie fondiaria complessiva interessata dall’intervento edilizio.
Art. 58 (Percorsi pedonali e ciclabili). Si osserva che questo articolo risulta solamente una declaratoria di principi, di concetti generali e di buone intenzioni, ma non fornisce alcuna previsione urbanistica o prescrizione attuativa per specifici interventi (si richiama anche quanto già descritto all’osservazione n. 4).
Nell’articolato adottato si tiene a precisare addirittura che i tracciati indicati dal piano “…non individuano aree soggette a vincoli d’esproprio…”. Si ritiene pertanto che la normativa del POC, se allo stato attuale non è in grado di definire una concreta rete ciclabile/pedonale urbana e turistica, quanto meno dovrebbe esplicitamente demandare alla formazione di un piano attuativo per la mobilità dolce ciclabile e pedonale.
Art. 59 (Rete escursionistica). Atteso che il POC riporta (correttamente) tutta la rete sentieristica CAI presente sul territorio comunale, si chiede se il CAI ha verificato i tracciati indicati nella cartografia di piano, affinché sia certo che corrispondano alla reale situazione della sentieristica locale.
Artt. 64 e 65 (Aree verdi non edificate / Aree private scoperte). Si osserva che non è ben definito se in queste aree sia ammessa la sistemazione di parcheggi pertinenziali dell’edificato o delle residenze esistenti.
Art. 70. Al comma 1 primo rigo, è presente un refuso/errore di battitura che rende non chiaro il dispositivo normativo.
NOTA CONCLUSIVA
A chiusura, si riporta una annotazione finale sull’impostazione dell’architettura normativa di piano, che può, anche con una nota di colore, sintetizzare quello che è emerso in più punti di tutte le osservazioni qui presentate, ovvero troppo spesso la non aderenza dell’impostazione e delle previsioni del POC al reale assetto di questo territorio ed alle sue esigenze di tutela, soprattutto al riconoscimento delle grandi complessità e delle estreme fragilità che un territorio, pur non grande e di “provincia” come questo, presenta.
L’annotazione è la seguente: «ad un soggetto che non conosca niente di Carrara e per nulla il suo territorio, che legga solamente le norme di questo piano operativo comunale, verrebbe da immaginare che probabilmente Carrara sia un fiorente comune rurale, forse della pianura Padana, in cui la principale attività sia l’agricoltura….» perché appunto queste norme dedicano (giustamente, aggiungiamo…) ben 19 articoli e 14 pagine al territorio rurale ed alle attività agricole, ma “solo” (peccato, aggiungiamo…) un articolo di 16 righe al porto e altrettanto un solo articolo di sole 14 righe alle cave!
Carrara, 5 gennaio 2021
Legambiente Carrara
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Per salvaguardare l’area di Villa Ceci non basta cambiare il POC (2/11/2015)
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