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Resoconto prima escursione ‘sui sentieri della prossima alluvione’: bacino di Torano

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Le profonde trasformazioni nel bacino montano del Carrione, lasciate al libero arbitrio delle cave, stanno aggravando di giorno in giorno il rischio alluvionale.
Scopo di queste escursioni è vedere e capire, per lottare.

 
 
 
 
 
 
 

Sommario
1. Via Carriona a Vezzala: confluenza rami Colonnata e Torano
2. Via Torano, 200 m sopra Caina: opera di presa della futura galleria
3. Pulcinacchia: frana ravaneto Pescina (bacino Pescina-Boccanaglia)
4. Ponte sul Carrione di Torano (via Torano-Piastra, a monte del paese)
– Osservazione 1: circolazione carsica e sorgenti
– Osservazione 2: ubicazione invaso temporaneo Torano-16
– Osservazione 3 (a monte del ponte): deposito detriti e canalizzazione spinta
5. Rotonda 350 m a monte del Ponte sul Carrione di Torano
– Osservazione 1: montagnola di terre per l’accesso alla cava La Madonna
– Osservazione 2: ravaneto Bettogli
– Osservazione 3: vasche di sedimentazione del ravaneto Bettogli
– Osservazione 4: discariche di terre
– Osservazione 5: alveo del Canale di Sponda
6. Loc. Piastra, presso l’infermeria
– Osservazione 1: Ubicazione dell’invaso temporaneo Torano-4
– Osservazione 2: Ravaneto di Piastra (di fronte all’infermeria)
7. Impianto OMYA: benedizione o sciagura?
8. Poggio Dovizia: discarica di terre
9. Strada per Ravaccione: alla ricerca dell’alveo scomparso
10. Discariche di terre: Polvaccio e Collestretto
11. Il fantasma della Buca di Ravaccione
12. Stazione Ravaccione: cave e ravaneti nell’alto bacino
– Osservazione 1: La fabbrica del rischio alluvionale è sotto i nostri occhi
– Osservazione 2: I ravaneti spugna: come fermare la fabbrica del rischio alluvionale


 
 

Sosta 1

Via Carriona a Vezzala: confluenza rami Colonnata e Torano

 

Il tratto più critico del Carrione è l’attraversamento del centro storico: qui, infatti, il Carrione, fortemente ristretto dalla via Carriona e dagli edifici costruiti in alveo, può accogliere al massimo 90 m3/s (solo 60 m3/s sotto il ponte della Bugia), mentre la portata di piena trentennale (Q30), calcolata nel 2014 dal modello idrologico MOBIDIC, è di 220 m3/s (la duecentennale, Q200, è addirittura 320 m3/s). Il centro città è dunque a rischio alluvionale elevatissimo.

Lo studio Seminara, pur con l’abbattimento dei ponti Bugia e Groppoli, il sollevamento del ponte Forti e dell’edificio Forti e scavi nel letto, prevedeva di poter adeguare l’alveo fino a un massimo di 140 m3/s.

Visto che la Q30 era 220 m3/s, occorreva dunque da sottrarre al Carrione 80 m3/s; da qui la scelta di costruire una galleria scolmatrice che sottrarrebbe 80 m3/s dal ramo di Torano riversandoli nel Can. di Gragnana, aggirando così il centro storico (Fig. 1).
 

Fig. 1. Schema della strategia d’intervento adottata dalla relazione Seminara.

 
Legambiente, esaminando attentamente lo studio MOBIDIC, segnalò alla regione un errore: le aree coperte da ravaneti erano state considerate impermeabili e da ciò ne sarebbe derivata una sovrastima delle portate di piena che, quindi, avrebbe comportato interventi e costi eccessivi.

La regione, accogliendo la segnalazione di Legambiente, rifece i calcoli attribuendo ai ravaneti la corretta permeabilità e, in effetti, la Q30 nel centro urbano scese da 220 a 177 m3/s (43 m3/s in meno) (Fig. 2).

Sottraendo a questa portata gli 80 m3/s che saranno derivati nella galleria di bypass, nel Carrione resterebbero solo 97 m3/s. A questo punto, basta un piccolo intervento sul solo ponte della Bugia e minimi interventi in alveo per adeguarlo a 97 m3/s (dai 90 m3/s che già oggi può accogliere).
 

Fig. 2. Schema della strategia per far fronte al transito delle piene nel tratto di attraversamento del centro città, secondo il progetto originale (vecchi calcoli) e secondo i nuovi calcoli, effettuati su segnalazione di errori da parte di Legambiente. Poiché i nuovi calcoli hanno fornito una Q30 più contenuta (177 m3/s), mantenendo invariato lo schema precedente (80 m3/s bypassati nella galleria), è sufficiente adeguare l’alveo nel centro città (da 90 m3/s a soli 97 m3/s): ciò è ottenibile con interventi molto meno impattanti, salvando i ponti storici.

 
La nostra segnalazione ha dunque salvato i ponti storici da interventi pesanti e costosi. Lo diciamo non tanto per rivendicare un merito ma, soprattutto, perché in tal modo è stato autorevolmente confermato il ruolo chiave che svolge una copertura permeabile del suolo nel ridurre il rischio alluvionale.

Proprio su questo concetto si basa la nostra proposta dei ‘ravaneti-spugna’, avanzata già nel 2003 e riproposta più volte (inutilmente), che illustreremo più avanti. Per il momento rivendichiamo, da una parte, il riconoscimento che le nostre proposte non sono campate in aria ma solidamente fondate e, dall’altra, il diritto ad essere presi in seria considerazione dall’amministrazione comunale.

 

Sosta 2

Via Torano, 200 m sopra Caina: opera di presa della futura galleria

 

Breve sosta per mostrare l’ubicazione dell’opera di presa della futura galleria di bypass dal Carrione di Torano al T. Gragnana (immediatamente a valle del ponte di villa Fabbricotti, alla Padula: v. Fig. 2).

L’opera di presa, in prossimità della briglia, prevede la costruzione di una vasca (lunga 40 m e larga 10 m) sbarrata da un profilo Creager alto 4,5 m avente alla base un’apertura idonea al transito delle portate ordinarie. Con le portate di piena, la portata eccedente i 20 m3/s fa innalzare il livello idrico fino a superare lo sfioratore sulla destra idrografica, immettendo così le acque nella galleria. La portata sfiorata è 80 m3/s con la Q30 e 105 m3/s con la Q200.

La gallerie è circolare, del diametro di 6 m, lunga 580 m, con una pendenza del 2‰. L’allarga­mento dell’alveo per ospitare la vasca richiede lo spostamento laterale della strada di 6 m, per un tratto di 200 m (che in tal modo verrà a trovarsi a una quota superiore) e la demolizione di un piccolo fabbricato.

Da Caina a Torano, inoltre, sono previsti lavori di allargamento dell’alveo a 9 m, rimozione di ostacoli locali, consolidamenti spondali, regolarizzazione dell’alveo, ecc.  Naturalmente, anche nel tratto terminale del T. Gragnana dalla Padula alla Lugnola (che riceverà maggiori portate) sono previsti numerosi adeguamenti (compreso il rifacimento del ponte di via Carriona alla Lugnola).

 

Sosta 3

Pulcinacchia: frana ravaneto Pescina (bacino Pescina-Boccanaglia)

 

Superato Torano, subito dopo la vecchia pesa comunale si gira a sinistra per la frazione di Pulcinacchia: sosta ai piedi della prima via d’arroccamento.

La strada comunale, diritta fino al 2014, qui rientra verso l’interno, essendo stata spazzata via da una voragine causata dalla colata detritica dell’intero ravaneto che, per puro miracolo, ha lasciato intatta l’adiacente casetta. Il ravaneto era già franato in occasione dell’alluvione del settembre 2003 (Fig. 3).
 

Fig. 3. Ravaneto di Pescina, visto dal piede della via d’arroccamento che su di esso s’inerpica. Le linee tratteggiate ci ricordano che ci troviamo in una valle (del Fosso di Pescina) il cui fondo è stato colmato dal ravaneto. Con le precipitazioni eccezionali, le terre contenute nel ravaneto fluidificano e innescano la frana dell’intero ravaneto. 2003: strada comunale interamente sepolta dai detriti del ravaneto franato (che, superata la strada si sono riversati nel sottostante Fosso Porcinacchia). 2009: il ravaneto risistemato, con la via d’arroccamento asfaltata. 2014: la nuova frana del ravaneto ha spazzato via la strada d’arroccamento e quella comunale al suo piede, scavando una voragine che ha spazzato via il giardino della casetta (abitata) che, per miracolo, è stata solo sfiorata dalla voragine.

 
L’osservazione geomorfologica ci dice che il ravaneto ha colmato il fondovalle del canale di Pescina che, tuttavia, continuerà a ricevere le acque piovane che, infiltrandosi nel corpo del ravaneto e scorrendo al contatto col substrato, ne mineranno la stabilità.

L’instabilità è accentuata dalla fluidificazione delle terre contenute nel ravaneto; si innescano così rovinose colate detritiche che, oltretutto, colmano gli alvei sottostanti favorendone l’esondazione. Lungi dall’essere un caso particolare, questo esempio rappresenta la norma: Tutti i ravaneti, infatti, essendo costituiti dai detriti scaricati dalle cave, finiscono per riempire i fondivalle; e tutti, essendo sempre più ricchi di terre e poveri di scaglie, saranno sempre più soggetti a frane.

Non va dimenticato, inoltre, che l’apporto di detriti agli alvei sottostanti si verifica anche con le normali precipitazioni: è un effetto poco percepibile (poiché graduale) ma, ripetendosi molto più frequentemente, produce effetti importanti innalzando lentamente il letto dei corsi d’acqua dalle sorgenti alla foce.

L’enorme disponibilità di detriti antropogeni di ogni granulometria è dunque un grosso problema poiché favorisce un trasporto solido innaturale ed eccessivo che, depositandosi negli alvei, ne riduce la capacità idraulica accrescendo in maniera importante (seppur graduale) il rischio alluvionale.

La mancanza di un deciso intervento regolatorio dell’amministrazione comunale sui ravaneti l’ha resa dunque una vera e propria “fabbrica del rischio alluvionale” (inconsapevole o, peggio, irresponsabile).

 

Sosta 4

Ponte sul Carrione di Torano (via Torano-Piastra, a monte del paese)

 

–  Osservazione 1: circolazione carsica e sorgenti
 

Guardano verso valle, coperto alla vista dal gruppo di case sulla destra, c’è l’impianto di trattamento delle sorgenti del gruppo di Torano (Pizzutello, Tana dei Tufi, Gorgoglio, Carbonera, Pozzo Torano). Si coglie l’occasione per descrivere brevemente la circolazione idrica sotterranea e mostrare il percorso degli inquinanti dalle cave all’acquifero e alle sorgenti (Fig. 4 e 5).
 

Fig. 4. Sezione geologica del bacino di Torano, da SW a NE. La freccia gialla a sinistra indica la via di infiltrazione delle acque di cava (con i loro inquinanti) nell’acquifero carsico: a causa dello sbarramento sotterraneo di rocce impermeabili, il livello dell’acquifero sale fino a fuoriuscire nelle sorgenti del gruppo di Torano. Gli inquinanti di cava dilavati dalle acque finiscono perciò direttamente nelle sorgenti. La freccia gialla lunga indica il percorso delle acque infiltratesi nelle cave del medio e alto bacino di Torano (molto permeabile). Queste, incontrando una roccia a minor permeabilità (calcari selciferi) scorrono più lentamente (freccia verde tratteggiata); per questo motivo la marmettola di cava tende a sedimentare nell’acquifero e raggiunge solo in parte le sorgenti (che, comunque ne sono interessate: si veda la Fig. 5). La compromissione più forte riguarda dunque l’acquifero ma, essendo questo invisibile, il suo danneggiamento non viene tenuto in alcuna considerazione. Fonte: stralcio cartografico tratto da “Studio idrogeologico prototipale del corpo idrico sotterraneo significativo dell’acquifero carbonatico delle Alpi Apuane, Monti d’Oltre Serchio e Santa Maria del Giudice”. Univ. Siena, CGT, 2007 (ritoccato).

 
In sintesi, gli inquinanti dilavati dalle acque nelle cave del basso bacino finiscono rapidamente e direttamente nelle sorgenti, mentre quelli provenienti dalle cave del bacino medio-alto vi arrivano più lentamente e, in parte (i materiali solidi, es. marmettola), sedimentano nell’acquifero.
 

Fig. 5. Stralcio della Carta delle aree d’alimentazione dell’acquifero, tratto dallo studio citato nella figura precedente. I cerchietti arancioni rappresentano cave in cui sono state immesse spore di licopodio (come traccianti) e le frecce indicano il percorso dei traccianti e le sorgenti dalle quali essi fuoriescono.

 

–  Osservazione 2: ubicazione invaso temporaneo Torano-16
 

Si osserva l’area in cui è prevista la realizzazione di un invaso temporaneo per la laminazione delle piene. Lo sbarramento con bocca tarata è previsto a monte delle case (Fig. 6) e l’invaso arriverebbe a lambire il ponte.
 

Fig. 6. Vista di Torano dall’alto del ponte posto a monte, dell’area prevista per la costruzione di uno sbarramento a bocca tarata (barra gialla) per la creazione dell’invaso temporaneo Torano-16.

 
Il funzionamento è molto semplice e passivo (non richiede paratoie mobili): in condizioni normali l’intera portata passa attraverso la luce di fondo dello sbarramento. Con l’arrivo della piena la portata eccedente a quella transitabile nella luce di fondo inizia ad accumularsi a monte dello sbarramento; si forma così gradualmente un invaso temporaneo che, terminato il picco di piena, si svuota ripristinando le condizioni normali (Fig. 7).
 

Fig. 7. Schema di uno sbarramento a bocca tarata: in condizioni di piena l’apertura sul fondo fa transitare solo la Q30; perciò a monte dello sbarramento il livello idrico si innalza gradualmente. Terminata la piena, l’invaso si svuota in poche ore.

 
Tutti gli invasi previsti hanno un’altezza di 15 m e un’altezza della luce di fondo non inferiore a 2 m. Sono previsti un dissipatore dell’energia dello scarico e, a monte dell’invaso, briglie selettive per trattenere il trasporto solido, sia di fondo (ciottoli) che flottante (alberi).

L’invaso temporaneo Torano 16 richiede la verifica delle condizioni della frana attiva in sinistra e la rimozione dei detriti sistemati immediatamente a monte del ponte. Inoltre la sua efficienza (differenza tra portata entrante e uscente, diviso la portata in ingresso) sarebbe modesta (10%): è perciò probabile che si rinuncerà alla sua realizzazione.

 

–  Osservazione 3 (a monte del ponte): deposito detriti e canalizzazione spinta
 

Spostandosi sul lato a monte del ponte è visibile un notevole deposito di detriti (sistemati a gradonata alcuni anni fa a spese del comune) che, nel caso di realizzazione dell’invaso, dovrebbe essere rimosso per evitare che, in condizioni di piena, frani nell’invaso colmandolo (Fig. 8).

È visibile anche una canalizzazione spinta dell’alveo del Can. di Sponda, simile a una pista da bob, che accentua fortemente la velocità della corrente (Fig. 8). Discuteremo più avanti dei suoi effetti controproducenti.
 

Fig. 8. Can. di Sponda, a monte del ponte. A sinistra i detriti del ravaneto di Sponda, sistemati a gradoni a lato del canale. Nel caso di precipitazioni molto intense sussiste il rischio che i detriti vengano scalzati al piede dalle acque e franino in alveo.

 

Sosta 5

Rotonda 350 m a monte del Ponte sul Carrione di Torano

 

–  Osservazione 1: montagnola di terre per l’accesso alla cava La Madonna
 

A partire dagli anni ’90, con l’avvento del business del carbonato di calcio, le scaglie, prima abbandonate a monte, vengono allontanate, frantumate e ridotte in ghiaino all’impianto Omya di Lorano e, successivamente, in polvere micronizzata all’impianto Omya di Avenza in località Gotara.

I materiali fini (terre e marmettola), non avendo sbocchi commerciali, vengono abbandonati al monte, abusivamente ma con la plateale tolleranza del comune. Nel caso della cava La Madonna, fino a qualche anno fa le terre erano utilizzate come supporto per la rampa d’accesso alla cava in galleria La Madonna (Fig. 9).

Oggi l’escavazione è ripresa al piede (a cielo aperto) e la montagna di terre è stata abbandonata all’ero­sione meteorica (Fig. 10). In poche parole, la cava, anziché accollarsi i costi dell’allontana­mento delle terre su camion, ha preferito affidarne alle piogge il trasporto gratuito.
 

Fig. 9.Cava La Madonna, 2017. Le scaglie sono state asportate, mentre terre sono state accumulate per realizzare il rilevato a supporto della rampa per accedere alla cava in galleria (la cui apertura è indicata dalla freccia).

 

Fig. 10.Cava La Madonna 2018. Abbandonata la galleria, l’escavazione è ripresa all’aperto. ma il grande cumulo di terre è stato lasciato in posto: sono evidenti solchi d’erosione e diffusi segni di frana. I costi di allontanamento delle terre sono stati risparmiati affidando alle piogge il loro trasporto gratuito al mare.

 
Una parte di queste terre, soprattutto con le precipitazioni intense, raggiunge il mare. Buona parte, tuttavia, si deposita negli alvei innalzandone lentamente il letto e riducendone la capacità idraulica. L’innalzamento del letto, particolarmente percepibile sotto i ponti, è stato spesso oggetto di vibrate proteste e della richiesta di scavi in alveo per rimuovere i sedimenti al fine di evitare l’incremento del rischio alluvionale).

In questo modo le cave, abbandonando le terre, scaricano sui cittadini costi di gran lunga superiori a quelli risparmiati dalla cava.

Sorprende e scandalizza dunque che questo comportamento, che genera intorbidamento dei fiumi e del mare, incremento del rischio alluvionale e danni erariali, sia palesemente tollerato dal comune, sebbene sia ben visibile a colpo d’occhio.

Ne deriva la necessità che l’amministrazione, dovendo tutelare l’ambiente e l’interesse dei suoi cittadini, attivi tutti gli uffici propri e dei diversi enti e organi di controllo, affinché sia intrapresa un’intensa e specifica attività di vigilanza e siano assunti tutti gli atti cogenti conseguenti (ordinanze, prescrizioni, puntuali modifiche al Regolamento agri marmiferi ecc.) necessari a prevenire il pericolo e ad obbligare i gestori delle cave ad allontanare tutte le terre abbandonate al monte.

 

–  Osservazione 2: ravaneto Bettogli
 

Di fronte alla cava La Madonna si osserva il ravaneto Bettogli (Fig. 11), ripetutamente disastrato nel corso degli anni da numerose frane i cui detriti (scaglie e terre) si sono riversati sulla strada e nell’adiacente Can. di Sponda (Fig. 12).
 

Fig. 11. Ravaneto Bettogli nel 2015, dopo la risistemazione: sono ancora evidenti numerosi solchi d’erosione lasciati da frane.

 

Fig. 12. Materiali franati dal ravaneto Bettogli dopo una precipitazione intensa. A: detriti grossolani sulla strada. B: fanghi. C: marmettola depositata sul ponte a monte di Torano. D: il canale di Sponda, carico di terre provenienti dalle cave, dalle discariche di terre e dal ravaneto Bettogli.

 

–  Osservazione 3: vasche di sedimentazione del ravaneto Bettogli
 

Le autorizzazioni dei piani di escavazione comprendono anche gli accorgimenti da adottare per evitare il trascinamento di fanghi nelle acque superficiali. Nel caso specifico sono prescritte due vasche di sedimentazione per intercettare le acque di dilavamento del ravaneto, depositarvi detriti e fanghi e scaricare le acque limpide nell’adiacente Can. di Sponda.

L’osservazione delle due vasche fa comprendere a chiunque che le prescrizioni sono date al solo scopo di fingere di aver formalmente rispettato un obbligo di legge, senza alcun intento di raggiungere davvero l’obiettivo (recapitare al canale acque limpide).

La prima ‘vasca’ ha il pregio di essere grande, ma il difetto non trascurabile di non essere una vasca! Non è, infatti, una cavità scavata nel suolo, ma semplicemente un’area in cui scorrono le acque torbide (Fig. 13).
 

Fig. 13. La ‘vasca’ di sedimentazione del ravaneto Bettogli (delimitata dalla linea tratteggiata) non è una vasca, ma un’area non scavata nella quale scorrono le acque dilavate dal ravaneto (freccia bianca punteggiata). La briglia filtrante (freccia gialla a sinistra) è finalizzata a trattenere eventuali detriti grossolani da frane. L’ubicazione dello scarico (visibile nella Fig. 13) è indicata dalla freccia gialla a destra. Le acque, sottopassando la strada, recapitano nel Can. di Sponda (freccia turchese).

 
Anche lo scarico, posto al livello del suolo anziché alla sommità della (inesistente) vasca, come dovrebbe avvenire per funzionare da vasca di sedimentazione (Fig. 14), fa capire che nell’area sedimenteranno sì i detriti grossolani (è presente anche una briglia filtrante per trattenere i massi provenienti da frane), ma le acque recapiteranno nel canale di Sponda tutto il loro carico di fanghi sospesi.
 

Fig. 14. La presa in giro della vasca di sedimentazione: come può consentire la sedimentazione dei fanghi un’area piana (non scavata) con lo scarico posto al livello del suolo?

 
Poco più avanti c’è una seconda vasca di sedimentazione, stavolta scavata nel terreno, ma di capienza talmente irrisoria da assicurare solo il recapito delle acque (torbide) al Can. di Sponda (Fig. 15).
 

Fig. 15. La seconda ‘vasca’ di sedimentazione è effettivamente scavata nel terreno, ma è talmente minuscola da non consentire il raggiungimento delle condizioni di calma necessarie alla sedimentazione dei fanghi.

 

È evidente che le prescrizioni dovrebbero esigere un dimensionamento adeguato in modo da raggiungere una velocità di transito delle acque sufficientemente bassa da assicurare la sedimentazione dei fanghi o, più semplicemente, dovrebbero richiedere il raggiungimento di una data prestazione (ad es. solidi sospesi in uscita inferiori a una data soglia).

Dare prescrizioni talmente generiche (costruzione di una vasca di sedimentazione) senza esigere che ne fuoriescano acque davvero pulite è un esempio che segna la differenza tra atti amministrativi formalmente corretti (ma inefficaci) e la tutela effettiva dell’ambiente e della sicurezza collettiva che richiederebbe, invece, disposizioni efficaci e cogenti, nonché controlli stringenti sulla funzionalità effettiva dei dispositivi prescritti per l’eliminazione degli impatti ambientali negativi.

 

–  Osservazione 4: discariche di terre
 

Di fronte alla cava La Madonna, nel primo tratto della via d’arroccamento per Bettogli, è visibile un altro cumulo di terre senza nemmeno la parvenza di svolgere alcuna funzione, se non quella (spudorata) di una discarica incontrollata a cielo aperto (Fig. 16).
 

Fig. 16. A: Discarica di terre a lato della via d’arroccamento Bettogli (2020): sono evidenti segni d’erosione. L’ubicazione è indicata col n. 2 nella Fig. 17. B: La stessa nel 2016: la discarica, dunque, è presente da anni e già allora presentava vistosi segni di smottamento e contribuiva all’intorbidamento dei corsi d’acqua e alla sedimentazione negli alvei.

 
Anche queste terre, esposte al dilavamento meteorico, sono pronte per essere trascinate verso il mare e, in parte, per depositarsi nell’alveo dei corsi d’acqua.

Riteniamo si tratti di una discarica abusiva, considerato che non può certo essere stata autorizzata, sicuramente non per come appare. Viene dunque spontaneo chiedersi se i diversi organi e enti di controllo abbiano mai adottato provvedimenti, messe in mora, sanzioni affinché questa situazione venga quanto prima eliminata.

In ogni caso, la persistenza per anni di questa ed altre situazioni analoghe induce a ritenere che le cave che compiono questi abusi si siano ormai convinte di poterlo fare impunemente.

Inoltre –visto che anche le terre, sedimentando negli alvei, danno il loro contributo alla riduzione della capacità idraulica– si tratta, nel suo piccolo, di un altro esempio del funzionamento concreto della “fabbrica del rischio alluvionale”.

Un contributo che diventa rilevante se si pensa che le discariche di terre sono centinaia (alcune ben più grandi di queste). A riprova, un centinaio di metri più avanti c’è una un’altra discarica di terre (Fig. 17).
 

Fig. 17. Al piede della via d’arroccamento Bettogli (1) sono visibili la discarica di terre della figura 16 (2), un’altra discarica (3), il rilevato in terre (4) al cui ciglio è collocato un vaglio (freccia) atto a separare le scaglie (che vengono prelevate e commercializzate: 5) dalle terre, che vanno ad alimentare le numerose discariche disseminate nel bacino. Foto satellitare: da Google Earth, 2020).

 
Il problema dell’abbandono abusivo di terre al monte è stato affrontato pubblicamente e in diverse commissioni comunali, senza però mai addivenire all’ado­zione di misure concrete.

Gli stessi dati registrati alla pesa comunale testimoniano una consistente e progressiva diminuzione delle terre trasportate a valle e, dunque, l’aumento del loro abbandono al monte fino alle attuali 700.000 t/anno (Fig. 18).
 

Fig. 18. Andamento 2005-2017 delle terre portate a valle (dati certi, registrati alla pesa comunale), confrontato con la stima annuale delle terre prodotte (ottenuto moltiplicando le ton di blocchi per 0,793) e, per differenza, con la stima annuale delle terre abbandonate al monte. Le linee tratteggiate indicano la tendenza delle terre portate a valle (da 700.000 nel 2005 a 30.000 t nel 2017) e delle terre abbandonate al monte (da 140.000 a 700.000 t). Nel periodo considerato sono state abbandonate al monte circa 5,5 milioni di ton di terre. Figura tratta da Più terre a valle: merito o convenienza? (25/4/2019)

 
Trattandosi di materiali fini, facilmente dilavabili dalle acque meteoriche e soggetti a frane e solchi d’erosione è ovvio che l’impiego delle terre per realizzare simili discariche non potrebbe essere autorizzato poiché viola il D.Lgs. 152/2006 e s.m.i. (che prescrive di evitare l’inquinamento delle acque superficiali e sotterranee).

Ciononostante, le terre abbandonate al monte aumentano di circa 700mila t l’anno. È solo una delle numerose criticità che si verificano nei bacini marmiferi carraresi che, oltre a provocare un danno ambientale e un rischio per la sicurezza della città, sembrano frutto di una diffusa cultura della (malintesa) “tolleranza”, che è trasversale a diversi soggetti –talvolta anche istituzionali– e a molte delle parti sociali.

In ogni caso, è ancora diffuso e radicato l’errato convincimento che le cave non possano lavorare diversamente e che, pertanto, imporre regole rispettose dell’ambiente comporterebbe la chiusura delle cave con grave danno per l’economia cittadina.

Non vi è nulla di più falso, ma in questo modo si arriva a convincersi che, in questo modo, si opera per il bene della comunità.

 

–  Osservazione 5: alveo del Canale di Sponda
 

Osservando la pendenza dei versanti della valle e proseguendo idealmente verso il basso possiamo individuare la collocazione originaria dell’alveo, ben più bassa rispetto ad oggi. La situazione attuale, infatti, si imposta su un riempimento del fondovalle da parte di detriti di cava, un tempo presenti in quantità di gran lunga superiori a quelle odierne (Fig. 19).
 

Fig. 19. Un secolo fa i versanti dei bacini marmiferi erano coperti da imponenti spessori di detriti, molto maggiori di quelli odierni, poiché derivanti dall’escavazione con esplosivi. Per tale ragione, i quantitativi di scaglie erano molto superiori e le terre erano in percentuali assolutamente trascurabili (in nessuna delle foto antiche, infatti, sono visibili terre). A: piano inclinato di Lorano. B e C: la strada Piastra-Ravaccione era praticamente un sentiero sui detriti che avevano colmato il fondovalle ed era protetta dalla sepoltura da un bastione in scaglie costruito con la tecnica dei muri a secco. D: i ravaneti di Lorano e Battaglino, incombenti sulla strada Piastra-Ravaccione.

 
Dall’osservazione si apprezza chiaramente che l’attuale strada asfaltata (impostata sul precedente rilevato della ferrovia marmifera) ha occupato gran parte del fondovalle sottraendo spazio all’alveo originario e che quest’ultimo è stato fortemente ristretto, rettificato e cementificato sia sulle sponde che sul fondo (Fig. 20).
 

Fig. 20. Il fondovalle, un tempo interamente occupato dall’aveo del Can. di Piastra, è oggi quasi interamente occupato dalla strada asfaltata: l’alveo è stato ristretto e sottoposto a una canalizzazione spinta.

 
Con tutta evidenza, la finalità di tale canalizzazione spinta è quella di accelerare il più possibile la velocità della corrente, onde consentire alle portate più elevate di restare confinate in alveo, senza esondare. Si tratta dunque di un intervento finalizzato a tutelare la strada, ma ha il grande inconveniente di convogliare a valle notevoli portate in tempi molto brevi.

In pratica, si è agito con la logica dello ‘scaricabarile’: la canalizzazione, infatti, non ha solo ‘eliminato’ il rischio idraulico locale ma, più esattamente, lo ha ‘trasferito’ a valle.

A questo punto sono indispensabili alcune pillole di teoria idraulica. Immaginiamo una precipitazione molto intensa sul bacino montano (un enorme volume in breve tempo): cosa accadrà a Carrara? La risposta non è scontata: dipende dallo stato del bacino montano.

Se immaginiamo il bacino montano impermeabile e liscio (ad es. coperto da un enorme lenzuolo di plastica), è chiaro che il volume d’acqua precipitato scorrerà molto velocemente e raggiungerà la città in breve tempo, producendo un picco di piena molto improvviso ed elevato: una vera catastrofe (Fig. 21, picco rosso).

Se riuscissimo a rallentare la velocità del deflusso, distribuendo l’intero volume in un tempo più lungo, è ovvio che il picco arriverebbe con notevole ritardo e sarebbe molto più basso (Fig. 21, picco verde). Il concetto strategico da tenere bene a mente è dunque questo: per ridurre il rischio alluvionale occorre RALLENTARE i deflussi.

Vedremo in seguito come è possibile rallentare i deflussi aumentando la permeabilità dei terreni (con i ‘ravaneti-spugna’) e accrescendone la scabrezza. Al momento, limitiamoci a domandarci se la canalizzazione spinta del Can. di Sponda è davvero un bene per Carrara. La risposta è ovvia: la canalizzazione accelera i deflussi e, pertanto, scarica su Carrara un rischio alluvionale accentuato.

La nostra accusa di “fabbrica del rischio alluvionale” rivolta al comune non è dunque uno slogan ad effetto campato in aria, ma si riferisce con estrema concretezza ad interventi eseguiti (o permessi) per fini anche lodevoli (nel caso specifico favorire il transito stradale), ma senza tener conto delle loro conseguenze.

Il più delle volte, infatti, l’errore sta nell’intervenire con un’ottica limitata a risolvere un problema locale (canaline stradali, fognature bianche, asfaltatura di strade e piazzali, ecc.) senza nemmeno chiedersi se ciò avrà ripercussioni idrauliche a valle.

Basta allora pensare alle nostre strade montane, quasi tutte costruire occupando parzialmente o interamente l’alveo dei corsi d’acqua, per rendersi conto, ancora una volta, quanto la fabbrica del rischio alluvionale sia pervasiva e concreta.
 

Fig. 21. Rappresentazione schematica della strategia di rallentare i deflussi per ridurre il rischio alluvionale. L’area sottesa a ciascun picco di piena rappresenta il volume totale defluito (per semplicità i volumi sottesi alle tre curve sono stati assunti uguali). In un bacino impermeabile e povero di asperità (suolo roccioso e privo di vegetazione, alvei canalizzati e lisci) la grande velocità dei deflusso produrrà un picco di piena estremamente accentuato, quindi catastrofico (picco rosso). In un bacino naturale con copertura forestale, suolo soffice e permeabile, alvei larghi, sinuosi e dotati di scabrezza (ciottoli e vegetazione) le acque scorreranno molto più lentamente e in parte si infiltreranno nel suolo (riemergendo con notevole ritardo). In poche parole, i deflussi sono molto rallentati e l’intero volume precipitato viene ‘distribuito’ nel tempo: il picco di piena sarà molto più ritardato, basso e prolungato e potrà transitare restando contenuto negli argini senza esondare (picco verde). Il picco giallo rappresenta una situazione intermedia.

 
Considerate queste pillole di idraulica, come può essere affrontata la situazione del Can. di Piastra? La soluzione è impegnativa dal punto di vista concreto, ma concettualmente molto semplice: occorre restituire all’alveo del canale l’intero fondovalle, spostando la strada lateralmente, a una quota superiore (Fig. 22).
 

Fig. 22. A: situazione attuale del canale di Sponda, con l’alveo ristretto dalla strada per Ravaccione e confinato in un canale in cemento che accelera i deflussi. B: simulazione grafica di un intervento di rinaturalizzazione, con restituzione all’alveo dell’intero spazio di fondovalle e ricostruzione della strada ad una quota più elevata (freccia, a destra). Estendendo questo approccio a tutti gli alvei montani oggi sepolti da strade si otterrebbe una notevole riduzione del rischio alluvionale a valle (oltre alla riqualificazione degli ecosistemi fluviali alterati).

 
Un altro accorgimento per rallentare la corrente è ridurre la pendenza degli alvei: ciò è ottenibile restituendo la sinuosità ai corsi d’acqua che in passato sono stati rettificati. Lo vediamo nella Fig. 23A, che schematizza il Canale di Piastra arrotondandone la pendenza al 10 %.

Poiché un percorso sinuoso è più lungo di uno rettilineo, se sostituiamo lo stretto canale in cemento con l’originario alveo sinuoso possiamo raddoppiare la lunghezza dell’alveo. Poiché il dislivello resta uguale la pendenza viene dimezzata (5 %): si ottiene così il rallentamento della corrente.
 

Fig. 23. A: schema della restituzione della sinuosità ad un canale rettificato: raddoppiando in tal modo la lunghezza del percorso si ottiene un dimezzamento della pendenza. B: dall’alto verso il basso si passa da un canale in cemento (stretto, liscio e rettilineo) ad un alveo naturale largo, sinuoso e dotato di scabrezza (data dai ciottoli su fondo e dalla vegetazione riparia). I calcoli mostrano che la velocità si riduce di 6,8 volte (da 13,3 a 2,1 m/s), riducendo grandemente il rischio alluvionale a valle.

 
Resta da chiedersi se il rallentamento ottenibile è rilevante o trascurabile. A tal fine basta applicare la formula di Manning (sia pure con qualche semplificazione) per rendersi conto che passando dal canale in cemento (stretto, rettilineo e liscio) all’alveo naturale (largo, sinuoso e dotato di scabrezza) si ottiene una riduzione della velocità di ben 6-7 volte (Fig. 23B): un risultato davvero considerevole.

Ancora una volta, tenendo conto di quanto siano numerosi nel bacino montano i corsi d’acqua occupati da strade, rettificati e canalizzati, possiamo comprendere quanto sia pervasiva e perniciosa la ‘fabbrica del rischio alluvionale’ e quanto potremmo ridurre il rischio restituendo l’intera larghezza dei fondivalle all’alveo, ovunque ancora possibile.

 

Sosta 6

Loc. Piastra, presso l’infermeria

 

–  Osservazione 1: Ubicazione dell’invaso temporaneo Torano-4
 

In corrispondenza della cava La Mandria è prevista la costruzione dello sbarramento dell’invaso temporaneo Torano-4 (lungo circa 250 m) le cui acque arriverebbero a interessare l’infermeria della Piastra (Fig. 24).
 

Fig. 24. Rappresentazione approssimativa dell’invaso temporaneo Torano-4.

 
Di questo intervento ci limitiamo a dare pochi elementi poiché, con ogni probabilità, non sarà realizzato. Infatti, pur avendo una discreta efficienza (30%), sommergerebbe la strada e interesserebbe una casetta, l’infermeria e un ex deposito di esplosivi.
 

–  Osservazione 2: Ravaneto di Piastra (di fronte all’infermeria)
 

Come molti altri ravaneti, quello di Piastra testimonia come il contenuto in terre ne favorisca la propensione a colate detritiche. La Fig. 25 mostra la frana del 2003 (che seppellì macchinari, invase la strada e occluse l’alveo del canale di Piastra), la risistemazione nel 2010, la nuova frana nel 2014 (che condusse all’abbandono definitivo del ravaneto) e la situazione attuale.
 

Fig. 25. Vicissitudini del ravaneto di Piastra, soggetto a frane per il suo contenuto di terre. 2003: il ravaneto è franato rovinosamente invadendo la strada e il canale di Piastra e seppellendo macchinari (freccia). 2010: il ravaneto è stato sistemato ed è stata costruita una nuova via d’arroccamento, la cui rampa d’accesso è visibile a destra (freccia). 2014: la nuova frana ha spazzato via l’intera via d’arroccamento (compresa la rampa d’accesso) ed ha sepolto e schiacciato il tubo di drenaggio in corrugato metallico (freccia). 2020: dopo il 2014 il ravaneto è stato dismesso; al suo piede sono stati realizzati bastioni in blocchi per evitare nuove invasioni della strada nel caso di nuove frane dei detriti rimasti.


 

Sosta 7

Impianto OMYA: benedizione o sciagura?

 

L’impianto, situato presso il bivio per Lorano, è adibito ad una prima frantumazione delle scaglie, per ottenerne granulati (Fig. 26). Per tutto il giorno si può assistere ad un continuo via vai di camion provenienti principalmente dall’alto bacino di Torano (Ravaccione). L’Omya ha l’esclusiva di tutte le scaglie prodotte da una decina di cave.

La multinazionale del carbonato di calcio ha un secondo impianto ad Avenza (loc. Gotara) in cui i granulati vengono ridotti a polvere micrometrica, dotata di un rilevante valore commerciale.
 

Fig. 26. Impianto Omya di Torano. Le scaglie sono scaricate dai camion nella camera (1) sovrastante la tramoggia; sono condotte da nastri trasportatori (2) nell’ impianto di frantumazione (3). I granulati, immagazzinati nel silo (4), sono poi caricati in appositi camion (con cassone dotato di copertura metallica munita di sportello di carico a tenuta) che entrano nelle postazioni sotto il silo (frecce). L’impianto è dotato di un parcheggio (5) per i camion in attesa dello scarico o del carico.

 
Gli impianti dell’Omya hanno reso possibile il riciclaggio in numerosi settori industriali (chimica, plastiche, pitture, agricoltura, carta ecc.) delle scaglie bianche, lo scarto d’escavazione più pregiato. Anche le scaglie scure, ridotte a ghiaino in altri impianti, trovano sbocchi commerciali.

Non essendo consentite cave di inerti, l’avvento del riutilizzo degli scarti, iniziato nei primi anni ’90, è stato salutato come una grande occasione poiché ha consentito non solo di ricavare valore anche dagli scarti, ma anche di risolvere un problema che stava diventando sempre più acuto. Fino ad allora, infatti, le scaglie alimentavano i ravaneti che, seppellendo versanti, fondivalle e infrastrutture (viabilità, reticolo idrografico, altre ave), creavano interferenze tra cave e rendevano problematica anche l’apertura di nuove cave.

Fino ad allora, d’altronde, il ruolo di riduzione del rischio alluvionale svolto dalle scaglie accumulate nei ravaneti (per l’assorbimento di rilevanti volumi idrici e il rallentamento dei deflussi) non era ancora stato segnalato.

Oggi, con il senno del poi, possiamo affermare che il riciclaggio delle scaglie lasciato alla libera iniziativa imprenditoriale, senza alcuna seria programmazione e regolamentazione, si è rivelato una iattura per il territorio.

Da una parte, infatti, ha reso vantaggiosa anche la lavorazione di cave in giacimenti molto fratturati (quindi con basse rese in blocchi e percentuali molto elevate di scaglie) che, prima di allora, sarebbe stata economicamente in perdita: ha contribuito cioè ad aumentare l’entità della distruzione delle montagne per unità di prodotto estratto (blocchi).

Dall’altra parte, a causa della mancanza di un’accorta regolamentazione da parte del comune, l’allontanamento delle scaglie è stato accompagnato dall’abbandono delle terre nei ravaneti, la cui composizione è progressivamente cambiata, con percentuali crescenti di terre che ne hanno accresciuto la propensione a colate detritiche.

Infine, l’estensione del prelievo di scaglie anche dai ravaneti esistenti, ne ha ridotto lo spessore e, dunque, la capacità di assorbire le acque meteoriche e di rallentarne il deflusso verso valle (Fig. 27).

Il risultato sinergico di queste attività ha condotto a un incremento progressivo e veramente preoccupante del rischio alluvionale, del dissesto idrogeologico del bacino montano e del degrado paesaggistico legato all’intensificazione delle attività estrattive, alla proliferazione delle discariche di terre, al visibile cambiamento d’aspetto dei ravaneti (il bianco delle scaglie è stato sostituito dal marrone delle terre: Fig. 27).
 

Fig. 27. Ravaneti di un secolo fa e odierni posti a confronto: da ravaneti di sole scaglie e di notevole spessore si è passati a ravaneti di spessore più modesto e ricchi di terre. A e B: vista della loc. Sponda poco a monte del ponte di Torano: il ravaneto di Crestola, ieri rogonfio di scaglie, è oggi completamente assente; nella cava La Madonna le scaglie sono state sostituite da terre (meglio visibili nelle Fig. 9 e 10). Le linee punteggiate colorate segnano il contorno delle aree corrispondenti. C e D: i ravaneti Lorano e Battaglino, ieri letteralmente rigonfi di scaglie e oggi più sottili e ricchi di terre.

 

È pertanto indispensabile che il comune riprenda in mano e guidi con senno le trasformazioni territoriali, assicurandosi che non arrechino danni alla comunità e, se possibile, apportino benefici. È fortemente deprecabile che la recente adozione dei piani attuativi dei bacini estrattivi (PABE), pur dimostrandosi consapevole del ruolo dei ravaneti nel regolare il rischio alluvionale, non abbia adottato misure concrete ed efficaci in tal senso.

 

Sosta 8

Poggio Dovizia: discarica di terre

 

Circa 300 m a monte del bivio per Lorano troviamo a destra un ravaneto di terre e scaglie e, a sinistra, la grande discarica di Poggio Dovizia nella quale, a differenza delle altre discariche, le terre sono state accumulate conferendo loro una forma geometrica con due lunghi gradoni e scarpate con pendenza regolare (Fig. 28).
 

Fig. 28. La discarica di terre di Poggio Dovizia, realizzata a gradoni, interamente costituita da terre di cava. Si noti che le scarpate dei gradoni mostrano un colore biancastro anziché quello caratteristico delle terre: ciò è dovuto al fatto che le piogge dilavando le terre superficiali, fanno emergere minuti frammenti di scaglie bianche ad esse frammiste. Sulla destra, al contrario, il colore marrone della scarpata è dato dal rivestimento con iuta, posto a protezione dall’erosione meteorica.

 
In questo caso la parte destra del gradone, rivestita da un telo di iuta, evita almeno il dilavamento meteorico delle terre e il loro recapito nei corsi d’acqua. Dubitiamo molto, tuttavia, che le terre così sistemate possano sostenere precipitazioni eccezionali senza essere interamente o parzialmente trascinate a valle.

 

Sosta 9

Strada per Ravaccione: alla ricerca dell’alveo scomparso

 

La strada dal bivio di Lorano a Ravaccione si presta bene per ‘osservare’ ciò che non c’è! La strada che sale verso Ravaccione, infatti, occupa l’intero fondovalle e non c’è traccia del suo legittimo proprietario: l’alveo che, per legge di natura, scorre sempre nel fondovalle (Fig. 29).
 

Fig. 29. La strada Piastra-Ravaccione occupa l’intero fondovalle; non vi è traccia dell’alveo. Le lineee tratteggiate indicano la pendenza dei versanti.

 
In questo caso, tuttavia, la strada non è stata semplicemente costruita nel fondovalle, occupando l’alveo: è l’intero fondovalle che è stato sepolto (nel secolo scorso) dai ravaneti per uno spessore di circa 25 m (si veda la Fig. 30); solo in seguito, su tale deposito detritico è stata realizzata la ferrovia marmifera, in seguito sostituita dalla strada.

Già da lungo tempo, dunque, l’alveo non esisteva più e le acque meteoriche cadute nel bacino montano si infiltravano nei detriti, scorrendo tra gli interstizi dei detriti, al contatto col substrato. In poche parole, il corso d’acqua è divenuto artificialmente sotterraneo.
 

Fig. 30. Pendenza del fondovalle, da Torano (confluenza T. Porcinacchia-Can. di Sponda) a Canalbianco. A: Vista satellitare, con le foto-miniatura dei principali punti di repere. Linea blu continua: scorrimento idrico superficiale; in tratteggio celeste: scorrimento all’interno del corpo detritico (alveo assente). B: linea blu: quota del fondovalle; curva rossa tratteggiata: quota presunta naturale del fondovalle secondo l’andamento classico (pendenze maggiori nei tratti più elevati e esponenzialmente decrescenti scendendo verso valle). La curva, che descrive la funzione esponenziale (riportata in rosso nel grafico), è stata ricavata per approssimazioni successive; lo scostamento tra le due curve indica lo spessore presunto dei detriti (numeri rossi) che hanno colmato il fondovalle. Fonte: elaborazione Legambiente.

 

Questa particolare situazione di scorrimento sotterraneo permette di comprendere il perché dei dissesti del manto stradale presso l’Omya in occasione di precipitazioni molto intense.

Le acque, infatti, scorrendo sepolte tra i detriti compresi tra il substrato (curva tratteggiata rossa in Fig. 30) e il tetto impermeabile costituito dall’asfalto stradale (linea blu), quando giungono in prossimità dell’Omya –trovandosi costrette nell’angusto spazio tra i due strati impermeabili che qui si avvicinano fin quasi a toccarsi– subiscono un forte aumento di pressione che causa il sollevamento o addirittura l’esplosione della copertura asfaltata (Fig. 31).
 

Fig. 31. A: strada Piastra-Ravaccione presso l’Omya: la pressione dell’acqua, costretta a scorrere sotto la strada in uno strato detritico che qui si assottiglia fin quasi a scomparire, aumenta notevolmente facendo saltare il manto asfaltato. La pressione aumenta anche nel breve tratto tombato, provocando rigonfiamenti e cedimenti dell’asfalto (B) o, addirittura, lo scoperchiamento completo della canalina tombata, seguito dal suo collasso (C).


 

Sosta 10

Discariche di terre: Polvaccio e Collestretto

 

Poco prima dell’ex stazione di Ravaccione della ferrovia marmifera si trova sulla destra la grande discarica di terre scaricate dalla cava Battaglino B nell’ex cava Polvaccio, ormai sepolta (Fig. 32). Sulla sinistra, invece, nella cava Collestretto, le terre sono accumulate in piazzali, rampe e rilevati (Fig. 33).
 

Fig. 32. A: la cava Polvaccio nel 2009. B: la stessa nel 2016, completamente sepolta dalla discarica di terre. C: i detriti sono scaricati dalla sovrastante cava Battaglino B e sono vagliati nel piazzale: le scaglie vengono portate via, mentre le terre sono scaricate nell’ex cava Polvaccio (D). C e D: 2020.

 

Fig. 33. Cava Collestretto, adiacente alla Buca di Ravaccione. Le terre sono accumulate in rampe, piazzali, rilevati.

 

Così, sebbene le cave abbiano l’obbligo di allontanare le terre, è ormai prassi generalizzata (poiché colpevolmente tollerata dall’amministrazione comunale) abbandonarle al monte, sfruttando ogni spazio e ogni pretesto. Oltre al danno erariale (pagano solo i materiali che transitano alla pesa) cresce così il danno ambientale: le terre, infatti, deturpano il paesaggio e, prima o poi finiscono nelle sorgenti e nei fiumi (incrementando, peraltro, il rischio alluvionale).

 

Sosta 11

Il fantasma della Buca di Ravaccione

 

La Buca di Ravaccione, presso la stazione dell’ex ferrovia marmifera, era una cava a pozzo molto profonda e spettacolare (dal cui pavimento partivano cave in galleria): la vista dall’alto, con i cavatori che apparivano piccoli come formichine, era mozzafiato e di indubbia attrattiva turistica.

L’escavazione è stata abbandonata per motivi di sicurezza ed è ripresa nelle immediate adiacenze (cava Collestretto) ma, senza alcun rispetto per la sua spettacolarità e la sua testimonianza del lavoro umano, si è preferito utilizzarla come discarica (Fig. 34).
 

Fig. 34. A: la Buca di Ravaccione vista da sud in una fase intermedia del riempimento; a sinistra è ancora visibile parte della parete (freccia). B: la stessa vista da nord-ovest: sono ancora visibili gli ingressi di tre gallerie (frecce). C: la stessa oggi, vista da sud, quasi interamente colmata da terre; è iniziata la coltivazione della cava Collestretto, a cielo aperto.

 
Ma non si tratta di solo danno paesaggistico: col riempimento della Buca si è persa una cavità della capacità di circa 100.000 m3 che raccoglieva le acque del vicino Canal Bianco, sottraendole così alla formazione dei picchi di piena a valle (Fig. 35).

È un altro esempio della miriade di modalità d’azione della perversa fabbrica del rischio alluvionale. Va osservato che i PABE prevedono lo svuotamento di tali cavità, ma solo al termine della coltivazione, quindi tra decenni e solo per le cave attive (non per quelle dismesse): un’altra occasione persa di buona gestione.
 

Fig. 35. La stazione di Ravaccione vista da valle alla fine dell’800 (A) e nel 2016 (B). A: la stazione è stata costruita sui detriti del gigantesco ravaneto che ha colmato il Canal Bianco e che proseguiva verso valle. B: il ravaneto a valle della stazione è stato asportato per aprire la cava a pozzo (Buca di Ravaccione): sono ben visibili la parete a strapiombo di quest’ultima e la parete di sostegno in calcestruzzo (per evitare il crollo della stazione). La freccia azzurra indica la via di deflusso del Canal Bianco, che recapitava le acque direttamente alla Buca, ormai colmata.


 

Sosta 12

Stazione Ravaccione: cave e ravaneti nell’alto bacino

 

–  Osservazione 1: La fabbrica del rischio alluvionale è sotto i nostri occhi
 

Praticamente l’intera superficie dell’alto bacino di Torano è coperta da cave e dai relativi ravaneti (Fig. 36).
 

Fig. 36. Cave e relativi ravaneti nell’alto bacino di Torano.

 
Le cave, tuttavia, sono situate in un giacimento molto fratturato, per cui la resa in blocchi è molto bassa: inferiore al 10% nella maggior parte di esse (Fig. 37).

In contrasto con il PIT-Piano Paesaggistico Regionale che stabilisce il principio di limitare quanto più possibile la produzione di detriti, i PABE di Carrara hanno confermato l’intera area estrattiva.
 

Fig. 37. Principali cave nel bacino estrattivo di Torano. I colori dei cerchietti indicano la percentuale media di detriti nel periodo 2005-2017, mentre i numeri indicano la cava. È evidente che, se si vuole evitare un’escavazione distruttiva, le principali cave dell’alto bacino (area gialla) devono essere dismesse poiché nel periodo 2005-2017 hanno prodotto una percentuale di detriti superiore al 90% (cerchietti rossi) o vicinissima a tale valore. Le cave da dismettere, comprese nel quadrilatero giallo, sono: 25-Canalbianco (91% di detriti), 36-Rutola (96%), 41-Collestretto (94%), 42-Amministrazione (91%), 46-Polvaccio (91%), 52-Tecchione (89%).

 
Tra di esse è compresa anche la cava Amministrazione; è particolarmente scandaloso che la più grande tra tutte le cave apuane abbia da 15 anni una resa in blocchi del solo 9%: il 91% della montagna è ridotto a detriti (Fig. 38).
 

Fig. 38. La cava Amministrazione sta distruggendo un’intera montagna per ridurne in detriti il 91% e ricavarne solo il 9% in blocchi.

 
Osservando con attenzione i ravaneti e confrontandoli con foto storiche, ci si rende conto che il loro spessore si è notevolmente ridotto (nei ravaneti antichi i versanti erano letteralmente rigonfi di detriti) e che in essi si sono ridotte le scaglie, mentre abbondano le terre (Fig. 39).
 

Fig. 39. Osservando l’alto bacino di Torano si percepisce perfettamente, anche da distanza, quanto i ravaneti siano ricchi di terre. Lo testimoniano il colore, ma anche la granulometria fine: i ravaneti antichi erano invece costituiti da scaglie molto grossolane (si confronti con le Fig. 19 e 35). A: in primo piano la cava Amministrazione; alla sua sinistra il ravaneto che ha sepolto il Canal Bianco. B: il ravaneto Rutola, sovrastante la cava Amministrazione, è palesemente costituito da terre; la freccia indica un loro smottamento. C: il ravaneto Torrione e, in alto il ravaneto Tecchione. D: ravaneto Tecchione.

 
Abbiamo già visto che le terre favoriscono la franosità dei ravaneti, mentre le scaglie svolgono un ruolo molto positivo poiché accolgono tra i loro interstizi ingenti volumi idrici e rallentano grandemente il deflusso delle acque (costrette a un percorso molto più lungo dovendo scorrere tra gli interstizi delle scaglie e subendo così un forte attrito).

Stiamo dunque assistendo a un imponente cambiamento della copertura dei terreni, particolarmente deleterio poiché accresce il rischio alluvionale. Il pratica, osservando i ravaneti dell’alto bacino, vediamo all’opera la fabbrica del rischio alluvionale: consentendo alle cave di fare i loro interessi (il prelievo delle scaglie e l’abbandono delle terre) stiamo preparando le condizioni ottimali per le prossime alluvioni.
 

–  Osservazione 2: I ravaneti spugna: come fermare la fabbrica del rischio alluvionale
 

Una superficie così vasta coperta da ravaneti e con pendenze così elevate rappresenta un’occasione unica per realizzare la vera ‘grande opera’ di cui Carrara ha bisogno: rivestendo questi versanti di ravaneti di notevole spessore, ripuliti dalle terre e costituiti da sole scaglie e stabilizzati contro gli eventi meteorici estremi, si otterrebbe infatti un’enorme ‘spugna’ che, assorbendo ingenti volumi di pioggia, rallentandone i deflussi e restituendoli lentamente, apporterebbe un contributo molto rilevante alla riduzione del rischio alluvionale (fig. 40).
 

Fig. 40.Via d’arroccamento Gioia, sul lato destro stabilizzata con bastioni di blocchi. Nel caso specifico i bastioni mascherano un’immensa discarica di terre. Analogo sistema a bastioni, tuttavia, potrebbe essere utilizzato per conferire stabilità e un aspetto gradevole ai ravaneti spugna, costituiti da sole scaglie.

 
Merita osservare che in tal modo si ricostituirebbe nel bacino montano una copertura di scaglie analoga a quella di un secolo fa (ma sistemata in modo ordinato e stabile). Probabilmente non è un caso che nei primi 20 anni 2000 si sono avute 4 alluvioni (23/3/03, 11/11/12, 28/11/12 e 5/11/14), cioè quante se ne sono verificate negli ultimi 50 anni del ’900 (27/10/49, 24/7/68, 16/11/68 e 24/9/82).

È infatti probabile che la spessa copertura dei ravaneti del secolo scorso abbia svolto un’importante funzione protettiva che è andata poi affievolendosi negli ultimi decenni per l’assottigliamento dei ravaneti, l’aumento delle terre e la riduzione delle scaglie. L’argomento, di grande interesse, meriterebbe un apposito studio.

Vantaggi collaterali dei ravaneti-spugna sarebbero:

  • fiumi e sorgenti puliti, non essendovi più terre e marmettola dilavabili dalle piogge (ovviamente ciò richiede di prescrivere alle cave la costante e assoluta pulizia di tutte le superfici);
  • riduzione delle crisi idriche estive, poiché il lento scorrimento delle acque al di sotto dei ravaneti, al contatto col substrato, allungherebbe grandemente il tempo disponibile per penetrare nelle fratture carsiche e alimentare l’acquifero (stavolta con acque pulite).

Inutile dire che la nostra proposta non è stata accolta dall’amministrazione comunale che, ancora una volta, ha preferito lasciare interamente la gestione del bacino montano alle cave che, ovviamente, hanno utilizzato come unica guida i loro interessi del momento.

Si tratta di una responsabilità enorme, che non è possibile tollerare ulteriormente. Come rammenta il titolo di queste escursioni “sui sentieri della prossima alluvione”, il loro scopo è far comprendere ai cittadini che occorre ribellarsi e costringere l’amministrazione a perseguire l’interesse della comunità. Tra i diversi obiettivi da raggiungere, la riduzione del rischio alluvionale deve avere la massima priorità.

Oltretutto, si tratta di un obiettivo raggiungibile senza costi per la comunità: basta introdurre nelle autorizzazioni all’escavazione la prescrizione di realizzare i ‘ravaneti-spugna’, riservando a questo scopo anche una quota delle scaglie prodotte: anno dopo anno si otterrebbe così una progressiva riduzione del rischio.

 

Carrara, domenica 9 agosto 2020
Legambiente Carrara
 

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