Sommario:
– Le polemiche sul nuovo ponte
– Il ponte in poche parole
– Rialzare il ponte è davvero necessario? Non basterebbe abbassare l’alveo?
– Il profilo di fondo è modellato dal fiume: non si adegua ai desideri umani
– Abbassare l’alveo? È sbagliato (in quanto inutile)
– Memento: sicurezza impossibile senza sistemazione dei ravaneti
– La salvezza sta nei ravaneti spugna. Perché il Comune non li vuole?
– Conclusioni
Le polemiche sul nuovo ponte
La notizia dell’imminente inizio dei lavori di demolizione del ponte di via Giovan Pietro e della sua ricostruzione ad una quota più elevata, per adeguarlo alla piena trentennale, ha suscitato la protesta dei commercianti per il timore del danno economico legato alla chiusura della strada per i lavori, che prolungherebbe quello già subito nei tre mesi di chiusura per coronavirus.
Tra le richieste vi sono il rinvio dei lavori (all’autunno o al prossimo anno) o, addirittura, la rinuncia definitiva al nuovo ponte, aumentando la capacità idraulica grazie all’abbassamento dell’alveo con lavori di scavo.
Considerati lo stato di abbandono del ponte, l’urgenza della messa in sicurezza e l’appalto già assegnato, il Comune e la Regione non hanno accolto la richiesta di rinvio, ma si sono impegnati a ridurre al minimo i disagi alla circolazione. A nostro parere si tratta di una soluzione di buonsenso.
Il presente contributo non intende entrare nel merito delle polemiche di carattere economico e sociale, ma affrontare pubblicamente alcune questioni tecniche che implicano risvolti della massima importanza strategica. Ci proponiamo cioè di:
- chiarire le ragioni che renderebbero inefficace e illusoria la soluzione di abbassamento dell’alveo;
- richiamare l’attenzione sull’assoluta necessità di intervenire sui ravaneti per non vanificare anche l’utilità del nuovo ponte.
Il ponte in poche parole
Il ponte attuale permette il transito di 180 m3/s: è dunque inadeguato alla piena trentennale (Q30 = 287 m3/s). Poiché l’inadeguatezza dipende in gran parte dal rigurgito idraulico indotto dalla strettoia del ponte situato a valle (di via Pucciarelli), il masterplan del Carrione si è trovato a scegliere su quale dei due ponti intervenire. È stato scelto il ponte di via Giovan Pietro per il costo inferiore (700.000 €) rispetto all’allargamento della sezione presso il ponte Pucciarelli (1.500.000 €).
Grazie alla scelta di un impalcato molto sottile, il nuovo ponte (Fig. 1) consentirà il transito dell’intera Q30 con un franco idraulico (distanza tra l’intradosso del ponte e il livello della Q30) di almeno 1,5 metri (Fig. 2). È previsto anche lo scavo di una canaletta di magra dalla foce al ponte ferroviario.
La durata prevista dei lavori è di sei mesi: due per la realizzazione del cantiere e della passerella pedonale temporanea (che consentirà l’attraversamento del Carrione per tutta la durata dei lavori), due per la costruzione del nuovo ponte e due per la rimozione del vecchio ponte e della passerella e per le rifiniture.
Le fasi costruttive prevedono la realizzazione del nuovo ponte sopra l’attuale e solo successivamente la demolizione dell’attuale, con taglio delle mensole e rimozione. Questa procedura ridurrà al minimo l’interferenza con il torrente e la durata dei lavori.
Rialzare il ponte è davvero necessario? Non basterebbe abbassare l’alveo?
Da più parti è stato sollevato a più riprese un interrogativo elementare: se la luce sotto il ponte è insufficiente al transito della Q30, perché mai dovremmo sollevare il ponte? Non sarebbe più semplice e più economico abbassare l’alveo del metro e mezzo necessario?
A supporto dell’interrogativo, già di per sé lecito, vi è l’osservazione che, nel corso degli anni, il letto del Carrione si è alzato per l’accumulo di sedimenti. Se sono questi depositi che hanno reso inadeguato il ponte, non basterebbe rimuoverli?
Un sostegno a questa argomentazione si può ricavare addirittura nel progetto del ponte attuale che, per permettere il transito della piena di progetto, prevedeva una continua manutenzione dell’alveo (sotto forma di rimozione dei sedimenti fluviali). Il ponte attuale è dunque divenuto inadeguato proprio per la mancata esecuzione della ripetuta rimozione dei sedimenti depositatisi.
L’abbassamento dell’alveo mediante rimozione dei sedimenti può dunque apparire la soluzione più logica. Non si può, infatti, pretendere dai cittadini la consapevolezza che la scelta progettuale a suo tempo compiuta per il ponte attuale fosse sbagliata o, quantomeno, inopportuna e imprudente.
È pertanto doveroso spiegare chiaramente perché l’abbassamento dell’alveo sarebbe una soluzione illusoria e a breve termine, che non garantirebbe la sicurezza idraulica.
Il profilo di fondo è modellato dal fiume: non si adegua ai desideri umani
L’illusione di ottenere la sicurezza idraulica mediante scavi in alveo deriva da una concezione statica dei corsi d’acqua, che non tiene conto delle dinamiche fluviali e, in particolare, di quelle del trasporto solido di fondo.
I fiumi, infatti, non trasportano solo acqua, ma anche i detriti prodotti dalla disgregazione delle rocce nei ripidi versanti montani. Nel loro percorso verso il mare, man mano che si riduce la pendenza, sedimentano prima i materiali più pesanti (massi e ciottoli, nei tratti montano e intermedio) e poi quelli più leggeri (ghiaie, sabbie e limi, nel tratto di pianura).
In questo modo i fiumi costruiscono un proprio profilo d’equilibrio longitudinale con pendenza decrescente, fino al livello di base rappresentato dal mare.
Sebbene il profilo longitudinale possa subire nel tempo alterazioni locali temporanee (di origine naturale, quali accumuli derivanti da frane o da precipitazioni eccezionali, o di origine antropica, quali sbarramenti o estrazioni di sedimenti), il fiume ricostruisce il suo profilo asportando gli accumuli e colmando le buche.
In particolare, se si estraggono sedimenti in un tratto (per ottenere ghiaie o per aumentare la sezione idraulica abbassando l’alveo), il fiume risponde erodendo ciottoli a monte (erosione retrograda) e depositandoli nella buca; l’erosione si propaga anche nel tratto a valle della buca poiché privato dell’apporto di sedimenti, intrappolati nella buca (Fig. 3, a sinistra).
Visto alla scala d’insieme (Fig. 3 a destra), questo processo di riaggiustamento morfologico conduce a ridistribuire il deficit solido locale lungo l’intera asta fluviale (dalla sorgente alla foce), fino a raggiungere un nuovo profilo d’equilibrio, più basso rispetto al precedente.
Figura a sinistra: Kondolf, 1994; a destra: Sansoni, 2006. Entrambe da: CIRF, 2006. La Riqualificazione fluviale in Italia. A. Nardini, G. Sansoni (curatori) e collaboratori, Mazzanti Editore, Venezia, 832 pp. (Figure ritoccate, rispettivamente da M. Rinaldi e da G. Sansoni).
Abbassare l’alveo? È sbagliato (in quanto inutile)
Il comportamento dei fiumi appena visto (asportazione degli accumuli e riempimento delle buche) fornisce una chiara risposta alla domanda relativa al ponte di Avenza «Rialzare il ponte è davvero necessario? Non basterebbe abbassare l’alveo?».
È infatti evidente che lo scavo dell’alveo non è di per sé sbagliato ma, più semplicemente, è inutile poiché, qualunque sia la sua entità, esso sarà rapidamente colmato dai sedimenti provenienti da monte, fino al raggiungimento di un nuovo profilo d’equilibrio (leggermente più basso del precedente nel suo insieme ma, localmente, praticamente alla stessa quota).
Cade così anche l’argomentazione che il ponte è divenuto inadeguato per l’innalzamento del letto del Carrione, a causa della mancata regolare ‘pulizia’ dei sedimenti in alveo. L’osservazione dell’innalzamento del letto è infatti corretta, ma non ne è stata compresa la vera ragione.
Il deposito di sedimenti, infatti, rivela in realtà l’errore commesso a suo tempo nella progettazione del ponte attuale: si è cioè costruito un ponte inadeguato (troppo basso), ricavando la sezione idraulica necessaria mediante scavo dell’alveo. In altre parole, si è preferito risparmiare soldi nell’immediato, a scapito della sicurezza futura o dei costi (notevolmente superiori) dei continui scavi che tale scelta ha reso necessari per mantenere adeguata la sezione.
Merita osservare che il mantenimento del profilo d’equilibrio da parte del fiume stesso sfata anche la diffusa e radicata convinzione popolare che i fiumi vadano regolarmente ‘puliti’: si tratta infatti di operazioni inutili (ed ecologicamente dannose) che diventano necessarie solo dove abbiamo commesso imprudenze ormai irreparabili (a meno che si accetti di sostenere costi stratosferici).
Ne è un esempio il tratto cittadino del Carrione, il cui alveo è stato occupato nel tempo dalla via Carriona e da edifici ed è attraversato da ponti troppo bassi. Qui, effettivamente, i costi di scavi ripetuti saranno comunque di gran lunga inferiori all’abbattimento di un’intera fila di edifici.
Negli altri casi non si dovrebbe sentir più parlare di pulizie dell’alveo, ma è doveroso adottare la politica lungimirante di lasciare più spazio ai corsi d’acqua, rinunciando a sfidare le dinamiche fluviali restringendo l’alveo o modificandone la quota (una sfida sempre perdente).
Memento: sicurezza impossibile senza sistemazione dei ravaneti
L’aspetto più preoccupante delle polemiche sul ponte e sui sedimenti è il rischio di far dimenticare che il Carrione scorre in un bacino montano del tutto anomalo.
Abbiamo visto come i fiumi si creino un proprio profilo d’equilibrio ridistribuendo dalle sorgenti alla foce i detriti provenienti dalla disgregazione naturale delle rocce montane. Nel bacino montano del Carrione, tuttavia, la principale forza disgregatrice delle rocce è l’uomo: i detriti abbandonati dalle cave di marmo (scaglie e terre), infatti, superano di gran lunga quelli prodotti dalla natura.
L’alveo del Carrione e dei suoi affluenti, pertanto, riceve –gradualmente o in maniera impulsiva (in occasione delle frane dei ravaneti indotte da forti piogge)– una quantità eccessiva di apporti solidi che, nel loro cammino verso il mare, sedimentano riducendo la sezione idraulica e accentuando così il rischio alluvionale. Non sarà quindi possibile raggiungere la sicurezza idraulica finché i ravaneti non saranno adeguatamente sistemati.
Un’altra questione da non dimenticare è che, dato l’eccessivo restringimento del Carrione tra muri spondali o argini, il tratto da Carrara alla foce non è capace di contenere la piena duecentennale; il masterplan ne prevede perciò l’adeguamento alla sola piena trentennale. Ciò comporta la necessità non solo di adeguare il bacino montano alla piena duecentennale, ma anche di accumulare in esso la differenza tra Q200 e Q30 che il tratto di valle non è in grado di far transitare senza esondare.
Sebbene lo studio Seminara avesse individuato a tal fine una quindicina di invasi temporanei, di fatto sarà possibile realizzarne solo 3 o 4 poiché gli altri sono troppo piccoli o poco efficaci o incompatibili con le strutture esistenti.
Per evitare una nuova inondazione di Carrara, Avenza e Marina resta dunque l’assoluta necessità di aumentare la capacità di ritenzione di notevoli volumi idrici nel bacino montano.
La salvezza sta nei ravaneti spugna. Perché il Comune non li vuole?
Si è già detto che i ravaneti accrescono il rischio alluvionale, soprattutto nel caso di frane (i cui detriti colmano gli alvei sottostanti). Al tempo stesso, tuttavia, i ravaneti (se stabili) assorbono grandi quantità di acque meteoriche, rallentandone notevolmente lo scorrimento a valle e riducendo in tal modo i picchi di piena.
Pertanto, se, nell’intento di ‘risanare’ il bacino montano, rimuovessimo tutti i ravaneti, aggraveremmo ulteriormente il rischio alluvionale. L’intero volume delle precipitazioni eccezionali, infatti, scorrendo sulla nuda roccia, liscia e con elevate pendenze, acquisterebbe grande velocità e si concentrerebbe su Carrara generando un picco di piena catastrofico.
La soluzione sta dunque nel potenziare le caratteristiche positive dei ravaneti (accumulo idrico e rallentamento dei deflussi) eliminandone però quelle negative (instabilità, con eccessivo apporto solido agli alvei).
Da queste considerazioni nasce la nostra proposta di un risanamento radicale dei ravaneti che prevede il loro smantellamento, l’allontanamento dei materiali fini che li predispongono a frane (terre e marmettola) e la loro ricostruzione con sole scaglie pulite, con opere di stabilizzazione.
Ovviamente sarà necessario vigilare ed impedire che, successivamente al risanamento, i conduttori di cava continuino nell’attuale pratica di abbandonare terre e marmettola come conseguenza di pratiche operative già ora oltre il limite del lecito.
Ne risulterebbero ‘ravaneti spugna’ che, oltre a ridurre il rischio alluvionale, comporterebbero vantaggi supplementari: fiumi e sorgenti finalmente puliti (non più torbidi da terre e marmettola), maggior ricarica della falda (con riduzione delle crisi idriche estive) e, infine, rilevante riduzione della necessità di rimuovere ripetutamente sedimenti in molti tratti del Carrione.
Convinti dell’efficacia e del valore strategico della nostra proposta, l’abbiamo spiegata al sindaco con dovizia di dettagli nel nostro primo incontro (Incontro Legambiente-Sindaco su cave e rischio alluvionale, 20/7/17) ma, evidentemente, non siamo stati abbastanza convincenti.
Eppure la serietà delle nostre argomentazioni non può essere messa in dubbio. Già nel marzo 2016 (nel nostro documento Carrione: rivedere i calcoli, intervenire sui ravaneti, ripristinare gli alvei soffocati da strade) chiedemmo alla Regione di rivedere i calcoli delle portate di piena, che ritenevano sovrastimate proprio perché non tenevano conto della permeabilità dei ravaneti.
La Regione, accogliendo il nostro invito, affidò all’università di Firenze la verifica dello studio idraulico e ne risultò una portata di piena a Carrara inferiore di ben 40 m3/s (Q30= 177, anziché 218 m3/s); per inciso, è proprio grazie a questo risultato che i ponti del centro città sono stati salvati dal rifacimento o sollevamento.
Questa autorevole conferma della capacità dei ravaneti di attenuare i picchi di piena, unita alla raccomandazione di asportare i materiali fini dallo strato superficiale dei ravaneti contenuta nella relazione Seminara (una soluzione che si avvicina molto alla nostra proposta dei ravaneti spugna), avrebbe dovuto indurre il comune a riconsiderare seriamente la nostra proposta dei ravaneti spugna per potenziare la riduzione del rischio alluvionale.
Purtroppo ciò non si è verificato, sebbene la realizzazione dei ravaneti spugna, non essendo tra gli interventi previsti dal masterplan, rientri nelle competenze comunali.
L’insensibilità del Comune al rischio alluvionale è peraltro confermata anche nei PABE, dai quali emerge la stridente contraddizione tra la piena consapevolezza del ruolo idrologico svolto dai ravaneti e l’assoluta inadeguatezza delle misure adottate (si veda il par. 7 delle nostre Osservazioni ai PABE. Tanti studi per nulla: un futuro uguale al passato, 16/9/19).
Conclusioni
Ci auguriamo che l’amministrazione comunale superi al più presto questa insensibilità, non solo perché incomprensibile e ingiustificata ma, soprattutto, perché essa rischia di costare molto cara ai carraresi. Senza ravaneti spugna, infatti, il centro città continuerà ad essere soggetto a nuove alluvioni: una responsabilità terribile, di cui nessuna amministrazione dovrebbe macchiarsi.
Abbiamo colto le polemiche sul nuovo ponte di Avenza come occasione per sfatare alcune convinzioni tanto erronee quanto diffuse, ma soprattutto, per richiamare l’attenzione su un intervento tanto indispensabile per la sicurezza idraulica quanto trascurato. Ci auguriamo che queste idee vengano raccolte e diventino un patrimonio culturale dell’intera comunità carrarese.
Carrara, 24 giugno 2020
Legambiente Carrara
Per saperne di più:
Carrione: rischio allevionale:
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Carrione, sicurezza e riqualificazione: un binomio inscindibile (Conferenza su alluvione: Relazione di Giuseppe Sansoni, 11/10/2003: PDF, 3,2 MB)
Fenomeni di instabilità sui ravaneti (Conferenza su alluvione: Relazione Giuseppe Bruschi, 11/10/2003: PDF, 1,1 MB)