Oggetto: Osservazioni al Piano regionale cave di cui all’articolo 6 della l.r. 35/2015, adottato con Deliberazione del Consiglio Regionale 31 luglio 2019, n. 61
Trasmettiamo le osservazioni di Legambiente al Piano Regionale Cave.
Esse constano di un unico documento suddiviso in n. 20 osservazioni.
L’occasione è gradita per porgere i miei più
Cordiali saluti,
Responsabile Nazionale Paesaggio Legambiente
Presidente Legambiente Toscana APS
Premessa
Legambiente esprime apprezzamenti per la struttura del PRC e il processo logico seguito per la sua stesura, che appaiono razionali e largamente condivisibili. Infatti:
- individua, come pilastri fondanti, gli obiettivi dell’approvvigionamento sostenibile e della tutela delle risorse minerarie, la sostenibilità ambientale, paesaggistica e territoriale e la sostenibilità economica e sociale;
- elabora la stima dei fabbisogni dei vari materiali, individua i giacimenti, i comprensori estrattivi (con i relativi obiettivi di produzione sostenibile) e definisce i criteri rivolti ai comuni per la localizzazione delle aree a destinazione estrattiva;
- prevede la massima valorizzazione della risorsa lapidea, individuando i quantitativi minimi da destinarsi esclusivamente alla trasformazione in blocchi (rese), riducendo i materiali di scarto e promuovendo le filiere produttive locali, al fine di incrementare il valore aggiunto e la sostenibilità sociale (occupazione);
- fornisce indirizzi e misure di mitigazione per le criticità ambientali e per la tutela della biodiversità;
- poggia su un quadro conoscitivo imponente e di elevato valore scientifico.
Legambiente tuttavia, oltre a una serie di carenze, individua scelte operative che, nel concreto, sono troppo timide, poco coerenti con gli obiettivi dichiarati o, addirittura, contrastanti con essi. Le presenti osservazioni, particolarmente orientate alle cave di materiali ornamentali, sono finalizzate a segnalare questi limiti e a proporre adeguate correzioni e integrazioni.
Incompletezza del quadro conoscitivo riguardo all’ecosystem valuation e ad attività economiche alternative all’industria estrattiva
Nell’individuazione dei Comprensori e dei relativo fabbisogni e Obiettivi di Produzione Sostenibile (OPS), non si è tenuto conto del bilancio ambientale complessivo dell’attività estrattiva rispetto al diminuito valore (anche economico) degli ecosistemi e dei correlati servizi ecosistemici, e dell’impronta ecologica delle attività stesse, applicando così una accezione molto parziale di sostenibilità, relativa solo al valore aggiunto prodotto dall’industria estrattiva ma non ai costi ambientali e agli impatti sui preziosi e irripetibili ecosistemi delle Apuane e di altre aree della Toscana sottoposte al monopolio economico dell’attività estrattiva.
La sostenibilità considerata nel PRC fa riferimento infatti solo a variabili economiche classiche e non viene applicato nessun approccio moderno di economia ambientale né appare adeguatamente considerata l’unicità dell’ambiente Apuo-Versiliese, hot spot di biodiversità all’incrocio di tre regioni biogeografiche (mediterranea, appenninica e ligure-provenzale), che presenta una ricchezza di specie elevata ma assai vulnerabile rispetto all’estensione e intensità delle attività estrattive presenti. Non appaiono parimenti considerati in maniera adeguata gli elevati valori di biodiversità delle aree della Val di Cornia e dei comuni di Monteverdi Marittimo e di Castagneto Carducci interessate da attività estrattive, e le relative compatibilità rispetto a modelli economici e culturali diversi.
La mancanza di una valutazione degli ecosistemi e dei loro servizi, rende incompleta anche la parte del Piano relativa alla valutazione delle criticità ambientali del settore estrattivo.
Nessuno studio né ipotesi progettuale è stata sviluppata poi, relativamente a economie alternative all’economia estrattiva, né ci sono studi sull’impatto dell’industria estrattiva sull’economia turistica nelle sue varie articolazioni che comprendono il turismo escursionistico e il turismo verde in genere.
Non si è tenuto conto delle specificità di alcune aree in cui una economia legata ai valori del territorio già esiste ed è in conflitto con le attività estrattive, come in alcune valli dell’Alta Versilia, della Val di Cornia e di altre aree interessate da attività estrattive.
Questi temi non hanno avuto peso adeguato nell’analisi multicriteriale, limitata ai soli aspetti dell’economia estrattiva.
Condividiamo i principi fondativi del modello toscano su cui si basano il PIT e il PRS, riepilogati a pag. 28 del documento “Iter del PRC”, tuttavia riteniamo che nelle aree interessate da attività estrattive, e in primis nell’area Apuo-Versiliese, la promozione del patrimonio territoriale sia fortemente subordinata alle esigenze produttive dell’industria estrattiva, che condiziona il territorio circostante ben oltre le superfici delle cave e dei bacini estrattivi.
La maggiore estensione di attività estrattive della Regione si trova in uno dei più significativi hot spot di biodiversità d’Europa e il PRC non risolve questa contraddizione né pone le basi per una inversione di tendenza. Analoghe contraddizioni si evidenziano in altre aree fortemente connotate dall’industria estrattiva.
Si richiede di integrare adeguatamente il Quadro conoscitivo con le considerazioni sopra descritte, soprattutto in virtù di un approccio scientifico realmente multidisciplinare e non asservito al mero calcolo economico.
Positiva considerazione del percorso partecipativo, da prendere a modello per gli atti di pianificazione successivi
Apprezziamo la modalità inclusiva e coerente con cui si è svolto il percorso partecipativo fino dalle prime fasi della redazione del Piano. Auspichiamo che questo modello e questo modus operandi informino tutti i successivi passaggi pianificatori sia della Regione che dei comuni, perché non si ripeta quanto avvenuto nei PABE di alcuni comuni, ad es. Minucciano e Vagli di Sotto, che hanno ignorato le associazioni ambientaliste quali destinatari delle comunicazioni di avvio di procedimento, rendendo molto difficile esercitare il ruolo di stakeholders.
Sostenibilità sociale (occupazione): non servono premialità, ma un forte approccio regolatorio
Dato l’elevato impatto ambientale dell’escavazione, la sua sostenibilità sociale richiede la massima distribuzione sociale della ricchezza prodotta, in gran parte traducibile nell’aumento dell’occupazione. Considerato che la fase di lavorazione dei materiali estratti impiega circa i due terzi degli addetti nel comparto marmifero strettamente inteso (estrazione, lavorazione, produzione di macchinari) e che a questi vanno aggiunti gli addetti nell’indotto (trasporti, commercio, servizi ecc.), è evidente che la lavorazione (lo sviluppo delle filiere locali) deve essere un obiettivo strategico da perseguire con la massima determinazione.
Su questo obiettivo le misure del PRC, accettando passivamente l’andamento del mercato lapideo (come indicato nella Nota metodologica del PR14-Scenari sulle quantità di estrazione) senza adottare misure per modificarlo, contrastano con gli obiettivi dichiarati.
In particolare, nella stima del fabbisogno del marmo, il PRC assume gli attuali livelli di export (blocchi compresi) come un dato di fatto, da riproporre sostanzialmente inalterato per il prossimo ventennio: si tratta di una scelta contrastante con l’obiettivo dichiarato dello sviluppo delle filiere locali (poiché questo richiede necessariamente la riduzione dell’export dei blocchi).
È infatti evidente che ogni blocco grezzo esportato produrrà all’estero la massima parte del valore aggiunto e dell’occupazione, lasciando in loco tutto l’impatto ambientale, solo una frazione minore della ricchezza (oltretutto concentrata nelle mani di pochi) e un’occupazione decrescente (dato l’aumento della produttività per addetto consentita dai macchinari impiegati). È quindi necessario che il PRC si ponga espressamente l’obiettivo di ridurre l’export di blocchi (tendenzialmente a zero) e adotti perciò misure forti e coerenti per conseguirlo (attraverso uno sviluppo poderoso delle filiere locali).
Alla luce di queste considerazioni risultano evidenti la debolezza e la contraddittorietà delle misure previste per attivare e consolidare le filiere produttive, vagamente demandate dal PRC alla possibilità, per la regione, di individuare negli atti di programmazione le priorità e le premialità, predisponendo appositi bandi. Ciò contrasta in modo veramente deludente con l’enfasi posta sull’importanza dello sviluppo delle filiere locali, peraltro sostenuta unanimemente da sindacati, forze politiche, associazioni e larghi strati di popolazione.
Con questa impostazione basata su premialità, la regione rinuncia di fatto ad esercitare pienamente il proprio potere regolatorio e demanda il reale sviluppo delle filiere alla eventuale convenienza dei singoli imprenditori.
Si tratta di una scelta analoga a quella adottata nella LR 35/15 (art. 38) in cui, alle cave che si impegnano a lavorare in filiera locale almeno il 50% dei blocchi, si concede la proroga dell’autorizzazione (senza gara pubblica) fino a 25 anni, assecondando in tal modo la rendita di posizione delle imprese attuali, a scapito delle migliori condizioni ottenibili con la gara.
A nostro parere, per il conseguimento di un rapido e consistente incremento della filiera e dell’occupazione, il PRC non può prescindere da un forte approccio regolatorio (auspicabilmente accompagnato da sinergiche modifiche alla LR 35/15) basato sull’adozione delle seguenti misure:
- bandire al più presto le gare per il rilascio delle concessioni (eliminando le proroghe previste dall’art. 38 della LR 35/15);
- inserire, come requisito di partecipazione alla gara, l’impegno a lavorare in filiera corta almeno il 50% dei blocchi, incrementando il punteggio di gara per chi si impegni a lavorare percentuali maggiori;
- concessioni di breve durata (10 anni), per favorire l’ingresso di imprenditori che offrano condizioni migliori alla comunità carrarese. La richiesta di concessioni di lunga durata avanzata dagli imprenditori attuali, motivata con la necessità di ammortizzare gli investimenti, è infatti pretestuosa (dettata dal tentativo di mantenere la loro rendita di posizione), visto che la legge regionale prevede già che il concessionario subentrante rimborsi a quello uscente il valore residuo dei macchinari e degli investimenti non ammortizzati;
- introdurre la “clausola sociale” (l’obbligo del concessionario entrante ad assumere i lavoratori di quello uscente).
Si fa notare che la gara e la breve durata delle concessioni, favorendo l’ingresso di imprenditori che offrono condizioni migliori e garantendo la continuità dell’occupazione, sarebbero anche strumenti formidabili di rafforzamento sindacale, poiché l’eventuale ricatto occupazionale si ribalterebbe sugli imprenditori stessi (sarebbero cioè loro ad andarsene, mentre i lavoratori sarebbero assunti dal concessionario subentrante).
Si chiede pertanto di sostituire nel PRC l’attuale timido approccio premiale con uno fortemente regolatorio, prevedendo misure efficaci o, almeno, la facoltà dei comuni di adottare, nel regolamento degli agri marmiferi, le misure sopra proposte.
Al proposito, merita precisare che l’efficienza economica che interessa veramente è quella del sistema territoriale, non quella dell’imprenditore di cava (per quest’ultimo, infatti, vendere i blocchi all’estero o alla filiera locale è indifferente).
Mancata conformità al PIT-PPR (limitazione della produzione di inerti)
La relazione di conformità al PIT-PPR omette la verifica (di conformità esterna verticale) di un aspetto di importanza fondamentale: la limitazione della produzione di inerti.
L’art. 20 del PIT-PPR (Norme per i bacini estrattivi delle Alpi Apuane), comma 1, lett. d), infatti, stabilisce che «l’attività estrattiva … può riguardare materiali per uso industriale solo se derivanti dalla produzione di materiali ornamentali e non può essere autorizzata per la produzione di inerti; tale produzione di inerti è da limitare quanto più possibile, al fine di valorizzare le risorse e minimizzare gli impatti paesaggistici». L’obiettivo, peraltro, è ribadito nell’All. 5 del PIT-PPR, comma 1, lett. a).
Il PRC, nonostante l’imponente quadro conoscitivo prodotto, non ha tratto le logiche conseguenze dalla serie storica (2005-2018) dei dati sulle quantità estratte da ciascuna cava. Per il comune di Carrara, questa dimostra che la resa minima in blocchi stabilita dal PRAER (25%) è stata sistematicamente violata dalla grande maggioranza delle cave (addirittura 25 cave su 80 hanno una resa media sull’intero periodo inferiore al 10%).
Questo riscontro avrebbe dovuto condurre a misure stringenti volte a limitare davvero quanto più possibile la produzione di detriti. L’art. 13 del PRC, al contrario, è chiaramente rivolto a garantire la prosecuzione dell’attività delle cave che hanno una resa inferiore a quella, già bassa, richiesta dal PRAER.
Partendo dal presupposto logico che nessun imprenditore è talmente stupido da frantumare i blocchi per ottenerne scaglie (il cui valore di mercato è largamente inferiore), la finalità di esigere una resa minima in blocchi è evidentemente quella di escludere l’escavazione dalle porzioni di giacimento molto fratturate che, pertanto, producono rese molto basse.
Poco importa, allora, che i commi 2 e 3 dell’art. 13 richiedano una resa in blocchi superiore al 30% o compresa tra il 25 e il 30%, se poi, per mancanza di coerenza interna, questo requisito è vanificato dai commi successivi.
Il comma 4, infatti, consente una resa del solo 20% per le imprese estrattive che attuino progetti tesi all’incremento dell’occupazione (ad es. un negozio di souvenir). Pur concordando pienamente sull’opportunità di premiare i progetti citati, riteniamo inammissibile il tipo di premio individuato poiché consiste nella violazione di un principio fondamentale proclamato dal PIT-PPR: valorizzare al massimo la risorsa marmo riducendo al minimo la produzione di detriti.
Sarebbe come se in una scuola (in cui si insegna ed esige il rispetto degli altri) si premiassero gli alunni con i migliori voti non con un libro, un viaggio-premio ecc., ma concedendo loro la libertà di compiere un’azione riprovevole, contraria al principio del rispetto (ad esempio, picchiare i loro compagni)!
Chiediamo pertanto il ritiro del comma 4 dell’art. 13, in quanto contrastante con la normativa sovraordinata, o, comunque, la sostituzione della premialità prevista con una che non confligga con i principi fondamentali del PIT-PPR (ad es. con una proroga dell’autorizzazione, un aumento delle quantità estraibili, una detassazione ecc.).
Il comma 6 è ancora più grave poiché, computando come resa in blocchi anche le trasformazioni industriali di detriti (scaglie, marmettola, terre) in prodotti sostitutivi dei materiali da taglio, abbatte anche il requisito di una resa superiore al 20% e apre di fatto all’autorizzazione di cave di soli detriti (purché vengano poi trasformati in conglomerati da taglio), violando così un principio fondamentale di tutta la precedente normativa in materia di cave. Crediamo che gli estensori del PRC abbiano il dovere di prestare più attenzione ai principi del PIT-PPR che alle richieste della lobby dell’escavazione.
Va infine considerato che i commi 7, 8 e 10 scomputano dal calcolo della resa in blocchi i detriti provenienti da lavori di scoperchiatura, messa in sicurezza, preparazione dei fronti e per la risistemazione ambientale. Ciò comporta, di fatto, un ulteriore abbassamento della resa in blocchi effettiva.
Non riusciamo a capacitarci di come gli effetti dell’art. 13, pur in evidente contrasto col principio di ridurre al minimo la produzione di detriti, non siano stati nemmeno presi in considerazione dalla Relazione di conformità del PRC al PIT-PPR.
Chiediamo pertanto la revisione della relazione di conformità e l’eliminazione dei commi 3, 4 e 6 dell’art. 13 del PRC.
Fabbisogni e obiettivi di produzione sostenibile: incongruenze
L’esame dei dati di produzione riportati nei documenti QC04-QC09E (obblighi informativi) e la comprensione del loro rapporto con la stima dei fabbisogni (contenuti nei documenti PR02 e PR14) risulta veramente faticoso (forse a causa di diverse aggregazioni di territori e di categorie dei materiali) e lascia molto disorientati.
Il documento PR14 (La costruzione di scenari sulle quantità di estrazione in Toscana), infatti, riporta, nella nota metodologica, che per i marmi del comprensorio Apuano, è stata presa come riferimento la produzione nel periodo 2013-2016 e ne è stato assunto un andamento costante per tutto il periodo di riferimento del PRC: ne risulta un fabbisogno di 41.561.650 m3 (in 20 anni).
Se tale è il fabbisogno, non si comprende perché nella Tab. 4 dell’allegato A alla Disciplina di piano (riassunta nelle righe seguenti) risulti per l’area Apuo-Versiliese un obiettivo di produzione sostenibile di 65.196.279 m3 (in 20 anni), cioè superiore del 57% al fabbisogno.
Carrara | Casola | Fivizzano | Massa | Minuc- ciano | Monti- gnoso | Pietra- santa | Sera- vezza | Stazzema | Vagli Sotto | m3 totali |
33.892.338 | 60.000 | 19.588.488 | 4.580.421 | 2.117.691 | 60.000 | 60.000 | 1.680.789 | 1.315.528 | 1.841.024 | 65.196.279 |
Nell’allegato A alla Disciplina di piano, peraltro, si riportano (nella Tab. 1) un fabbisogno di 47.696.793 m3 di materiali ornamentali per l’area apuana e un obiettivo di produzione sostenibile di 65.196.279 m3 (Tab. 4), superiore del 37% al fabbisogno.
Per verificare l’attendibilità di questi dati inaspettati, abbiamo utilizzato i volumi estratti nel quadriennio 2013-2016 nell’area Apuo-Versiliese (riportati nel Quadro Conoscitivo 05C): 1.671.462 m3/anno. Assumendone la costanza nel tempo (come indicato nel Quadro Programmatico 14), il fabbisogno nei 20 anni di durata del PRC risulta di 33.429.240 m3. Anche in questo caso, dunque, l’obiettivo di produzione ‘sostenibile’ (65.196.279 m3) sarebbe superiore al fabbisogno (stavolta di ben il 95%: quasi il doppio).
Abbiamo eseguito infine un’ultima verifica partendo dai volumi estratti nel solo comune di Carrara nel quadriennio 2013-2016, tratti dal QC05C (e congruenti con quelli in possesso di Legambiente, forniti dal comune di Carrara): 1.328.163 m3/anno, cui corrisponde un fabbisogno di 26.563.255 m3 in 20 anni. In questo caso l’obiettivo di produzione sostenibile per il comune di Carrara (33.892.338 m3) riportato nell’allegato A alla Disciplina di piano (Tab. 1), supera del 28% il fabbisogno.
I valori così diversi del rapporto tra Obiettivi di Produzione Sostenibile e Fabbisogni ci lasciano francamente frastornati anche perché, per il marmo apuano, come dichiarato nella nota metodologica del PR14, è stato assunto un fabbisogno invariato rispetto all’attuale (dunque per il marmo apuano, gli obiettivi di produzione sostenibile dovrebbero corrispondere al fabbisogno 2013-2016). Non riusciamo pertanto a comprendere perché gli obiettivi di produzione siano sistematicamente ben superiori ai fabbisogni. Il fatto che lo siano, comunque, fa pensare che il PRC si proponga deliberatamente e in maniera aprioristica un rilevante incremento dell’estrazione del marmo.
È veramente sorprendente, quanto deprecabile, che una scelta di tale portata non sia stata esplicitata con la massima chiarezza, né nella Relazione generale, né nella Disciplina di piano, né nella documentazione, pur enciclopedica, del PRC. Ne dobbiamo pertanto concludere che, a meno di nostri errori di comprensione, il PRC abbia intenzionalmente occultato, evitando di darne esplicite e adeguate motivazioni, la scelta di accentuare l’escavazione del marmo nell’intera area apuana.
L’incremento dell’estrazione del marmo apuano, sia esso intenzionale o no, è comunque in stridente contrasto con gli obiettivi generali del piano: approvvigionamento sostenibile e tutela delle risorse minerarie e sostenibilità ambientale, paesaggistica e territoriale.
Un approccio che non tiene conto della situazione specifica delle singole cave (si vedano le considerazioni del documento di Legambiente Carrara relativamente al rapporto IRTA sulla inopportunità di applicare parametri uguali per tutte le situazioni), e che dà per scontato che l’economia estrattiva debba continuare a svuotare le montagne ai ritmi attuali, anzi applicando un tasso di crescita, che ignora i limiti fisici della risorsa.
Nessun accenno alla considerazione dei costi ambientali della erosione di habitat in un hot spot di biodiversità di importanza (almeno) europea, nessuna considerazione sui servizi ecosistemici cui si rinuncerà per l’ampliamento delle attività di cava, né sul diminuito valore (anche economico) degli habitat stessi.
In ogni caso, un limite di fondo del PRC ci sembra quello di aver supinamente accettato l’andamento del mercato come una cornice ‘invariante’ entro la quale restringere la pianificazione, senza porsi l’obiettivo strategico di scardinare quella gabbia attraverso una drastica riduzione delle esportazioni di blocchi e l’adozione di misure veramente efficaci per conseguire uno sviluppo poderoso della lavorazione lapidea nelle filiere locali.
Ci preme far osservare che l’accoglimento delle nostre proposte presentate nella osservazione precedente (n. 3. Sostenibilità sociale) consentirebbe di conseguire, assieme a un rilevante incremento dell’occupazione e del valore aggiunto, anche una riduzione dei fabbisogni e degli obiettivi di produzione sostenibile e, di conseguenza, dell’impatto ambientale, paesaggistico e sociale. Su questi punti d’importanza strategica chiediamo pertanto una profonda revisione del PRC.
Individuazione dei giacimenti: viziata dalla scelta di mantenere le cave incompatibili
L’individuazione dei giacimenti è fondata su un’imponente quadro conoscitivo di pregevole livello scientifico e sull’analisi multicriteriale che, verificando la sussistenza di criteri escludenti e condizionanti, conduce a includere o escludere tra i giacimenti ciascuna area di risorsa.
Si tratta di un procedimento logico razionale del tutto condivisibile, ma profondamente inficiato dalla scelta politica di mantenere le cave esistenti, anche quando –in assenza di tale scelta– i criteri escludenti e condizionanti avrebbero portato alla loro esclusione dal giacimento. Il PRC conferma pertanto come risorse da sfruttare anche cave inserite in un contesto di per sé incompatibile (come fossero sostanzialmente ‘invarianti’). Riportiamo, a titolo d’esempio, il caso della cava Fossa Combratta (Carrara: codice risorsa 090450030120), illustrato nella Fig. 2.
Se la cava non fosse già esistente, la sua apertura non sarebbe consentita, a causa del criterio escludente E1 (vegetazione) e del criterio condizionante forte CF1 con livello di alta criticità (come riportato nel PR06A: Tav. 1a della risorsa 090450030120, file 09045003_09045010-0230). Questi motivi hanno giustamente indotto il PRC (nel documento PR06E, pag. 2, risorsa 090450030120) alla NON individuazione del giacimento nell’area di risorsa. Tuttavia, essendo la cava esistente e risultando area estrattiva nell’apposita scheda del documento QC01F (Aree Risorsa), il PRC ne ammette la prosecuzione dell’attività (nel giacimento 090450030120bis, cioè ristretto all’area interessata dalla cava). Pertanto, salvo diversa scelta del PABE, la cava si estenderà nel tempo all’area boscata circostante o proseguirà comunque a produrre danno ambientale.
A nostro parere il procedimento logico del PRC, preso atto della sussistenza del criterio escludente E1 (vegetazione) e del criterio condizionante forte CF1 che impongono l’esclusione del giacimento dalle aree di risorsa, avrebbe dovuto ammettere la prosecuzione dell’attività (nella ristretta area 090450030120bis) solo fino alla scadenza dell’autorizzazione, escludendo poi ogni attività estrattiva nel giacimento.
Il PRC, infatti, essendo demandato dalla LR 35/15 a ricercare una più chiara compatibilità tra attività estrattiva e tutela dell’ambiente e del territorio, non può limitarsi ad assicurare la compatibilità delle nuove attività estrattive, ma deve rimuovere anche le incompatibilità esistenti.
Si chiede pertanto un riesame dei giacimenti e delle aree di risorsa che si trovano in situazioni analoghe a quella qui esemplificata e l’introduzione di una norma che dismetta queste cave alla scadenza dell’attuale autorizzazione.
L’estrema importanza di questa norma non può certo sfuggire, sia per l’area esterna al Parco, sia, soprattutto, per il valore di indirizzo –pur non cogente– che avrebbe anche per le cave intercluse nel Parco delle Apuane (la cui pianificazione non è competenza del PRC, ma del Parco). È, infatti, auspicabile che un tale atto di indirizzo possa indurre il Parco a prendere atto dell’incompatibilità delle cave in esso intercluse e ad adottare programmi per la loro progressiva dismissione, accompagnati dalla promozione di attività alternative che forniscano occasioni di occupazione coerenti con la missione fondamentale del Parco stesso e con gli obiettivi dichiarati del PRC.
Individuazione dei Giacimenti: tener conto del grado di fratturazione
Per l’individuazione dei giacimenti all’interno delle aree di risorsa il PRC ricorre all’analisi multicriteriale, utilizzando come screening i criteri escludenti (vincoli di legge e di piani sovraordinati) e condizionanti (aree contigue, ZPS, geotopi, SIR, patrimonio speleologico, zone rispetto acque superficiali e sotterranee, siti UNESCO, sistemi carsici ipogei, ecosistemi forestali, beni paesaggistici, ecc.).
Riteniamo utile, per i materiali ornamentali, introdurre anche il criterio del grado di fratturazione della risorsa. È vero che questo aspetto è indirettamente considerato nelle prescrizioni per la valorizzazione della risorsa lapidea (art. 13: Quantitativi minimi da destinarsi alla trasformazione in blocchi), ma vi sono casi in cui è già ben noto che la resa in blocchi è talmente bassa da suggerire l’esclusione dell’intero giacimento dalle aree di risorsa, direttamente nel PRC. È il caso, ad esempio, dell’area di Ravaccione (15a, Bacino di Torano, Carrara) esposto nella Fig. 3 e nella Tab. 1.
Tab. 1. Resa in blocchi (% del materiale escavato) delle cave dell’alto bacino di Torano nel periodo 2005-2017. Fonte: Comune di Carrara (pesa comunale).
Cava | 2005 | 2006 | 2007 | 2008 | 2009 | 2010 | 2011 | 2012 | 2013 | 2014 | 2015 | 2016 | 2017 | Media Blocchi % |
Media Detriti % |
Canalbianco | 4,7 | 4,6 | 6,1 | 7,4 | 11,2 | 9,720 | 7,9 | 20,8 | 8,8 | 12,3 | 6,7 | 16,2 | 13,8 | 9,0 | 91,0 |
Rutola | 10,8 | 3,7 | 1,9 | 1,2 | 0,1 | 0,2 | 1,5 | 4,2 | 10,3 | 7,7 | 42,4* | 94,8* | 9,2 | 3,6 | 96,4 |
Amministraz. | 9,7 | 10,3 | 7,9 | 9,3 | 8,8 | 9,7 | 10,7 | 10,0 | 5,6 | 7,0 | 8,3 | 8,4 | 8,5 | 8,7 | 91,3 |
Tecchione | 11,7 | 6,7 | 6,7 | 9,3 | 9,4 | 15,6 | 10,5 | 10,4 | 12,0 | 11,3 | 12,3 | 20,0 | 19,7 | 11,4 | 88,6 |
Polvaccio | 9,6 | 10,9 | 14,8 | 15,1 | 11,5 | 9,6 | 8,1 | 7,1 | 6,2 | 3,9 | 11,1 | 4,7 | 4,4 | 9,3 | 91,7 |
Collestretto | 0,9 | 1,7 | 0,0 | 4,8 | 0,0 | 0,2 | 0,5 | 1,8 | 0 | 3,9 | 0,5 | 28,1 | 19,5 | 5,6 | 94,4 |
* queste anomale rese in blocchi sono solo apparenti, verosimilmente dovute all’abbandono (abusivo) di detriti al monte.
È del tutto evidente che le cave di questo sottobacino, producendo rese in blocchi estremamente basse e percentuali molto elevate di detriti (88,6%-96,4%), insistono su un substrato di marmo molto fratturato, inidoneo alla coltivazione dei materiali ornamentali. Sono cioè sostanzialmente cave di scaglie, che approvvigionano il vicino impianto dell’Omya, la multinazionale del carbonato di calcio (con la quale, peraltro, hanno cointeressenze proprietarie e/o contratti esclusivi di fornitura).
Pertanto, individuare questa area di risorsa come giacimento destinato alle attività estrattive contrasta in modo stridente con gli obiettivi dichiarati di evitare usi impropri delle risorse minerarie, non coerenti con la finalità di far fronte ai fabbisogni di materiali di cava (art. 3, comma 2, lett. d), garantire l’uso sostenibile della risorsa, valorizzare i materiali di cava e ridurre il materiale di scarto.
Tra l’altro, anche simbolicamente, è particolarmente scandaloso (e inficia la credibilità del PRC) che nel gruppo di cave che contrastano tali principi rientri proprio la cava più grande di tutte le Apuane per quantitativi escavati (cava Amministrazione: oltre 275.000 t/anno, di cui il 91,3% è rappresentato da detriti) (Fig. 4).
Si chiede pertanto di escludere dai giacimenti da destinare alle attività estrattive l’alto bacino di Torano (Ravaccione) sopra citato e di verificare l’eventuale esistenza di altre aree con caratteristiche analoghe.
In particolare, il Quadro programmatico 12 potrebbe essere arricchito con una carta delle rese in blocchi di ciascuna cava, basata sulla serie storica dei dati disponibili. Tali dati potrebbero essere utilizzati tra i criteri condizionanti nell’analisi multicriteriale per l’individuazione dei giacimenti.
Rese estrattive minime
Su questo punto il PRC era partito bene: coerentemente ai principi del piano (massima valorizzazione dei materiali ornamentali, riduzione del materiale di scarto, ricerca di compatibilità tra attività estrattiva e tutela dell’ambiente e del territorio, gestione efficiente e sostenibile della risorsa, riduzione del consumo della risorsa mineraria di nuova estrazione), infatti, aveva prescritto (art. 13) che le nuove autorizzazioni per le cave di marmo apuo-versiliesi sono consentite solo per rese in blocchi non inferiori al 30% (un requisito più esigente del 25% previsto in precedenza dal PRAER).
In seguito, però, su pressione dei comuni, ha fatto marcia indietro creando un testo intrinsecamente contraddittorio e contrario ai principi fondamentali dichiarati.
Che senso ha, infatti, prevedere che il piano operativo prescrive per le nuove autorizzazioni una resa non inferiore al 30% (art. 13, comma 2), se poi il comune, attraverso i PABE, può fissare rese comprese tra il 25 e il 30% (art. 13, comma 3)? Se questa è la volontà della Regione, sarebbe stato più serio e decoroso mantenere le previsioni del PRAER: è infatti particolarmente irritante veder proclamare la volontà di esigere una resa più elevata e poi rimangiarsela al comma successivo.
Ma il vero capolavoro di incoerenza sta nel premiare i progetti tesi all’incremento dell’occupazione (art. 13, comma 4) concedendo un’ulteriore riduzione della resa (al 20%). Un comportamento virtuoso (l’incremento dell’occupazione), infatti, può essere premiato in tanti modi (ad es. prorogando la durata dell’autorizzazione, concedendo un volume estraibile maggiore ecc.), ma certamente non consentendo un’escavazione più distruttiva, in plateale contrasto con i principi fondamentali di piano dichiarati! Chiediamo pertanto con estrema fermezza di eliminare le previsioni del comma 4.
Chiediamo inoltre di rivedere l’intero testo del PRC, rendendolo internamente coerente: se si introducono misure contrastanti con i principi fondamentali (es. comma 3 e 4), si abbia almeno l’onestà di rivedere anche i principi e gli obiettivi dichiarati (nella Relazione di piano e nella Disciplina di piano), adeguandoli all’effettiva portata delle norme. Riteniamo infatti intollerabile e offensiva nei riguardi dell’intelligenza dei cittadini l’ipocrisia di proclamare principi pienamente condivisibili, violandoli poi nel concreto delle norme.
Proprietà pubblica del marmo derivante da lavori di messa in sicurezza
Il comma 7 dell’art. 13 prevede che, per i lavori di messa in sicurezza prescritti dalle ASL, le volumetrie abbattute o escavate non concorrano né alla percentuale di resa né agli obiettivi di produzione sostenibile. Chiediamo che il comma sia completato, precisando che i materiali estratti in tali lavori sono di proprietà pubblica.
Lo scopo di tale precisazione è evitare il ricorso a progetti faraonici di escavazione mascherati da progetti di messa in sicurezza. Non si tratta, infatti, di un caso ipotetico: la cava Fossa Combratta (con una autorizzazione estrattiva per soli 1.370 m3), per rimuovere un ammasso roccioso instabile di soli 400 m3, ha recentemente presentato come messa in sicurezza il progetto di una vera e propria cava (con tanto di ripresa dall’alto e gradoni discendenti) che prevedeva l’estrazione di ben 56.000 m3! Il progetto è stato poi faticosamente respinto (purtroppo con una prolungata spaccatura protrattasi per diverse conferenze dei servizi), ma si tratta di un campanello d’allarme che non può essere ignorato. La proprietà pubblica del materiale estratto eliminerebbe sul nascere il ricorso a espedienti fraudolenti o interessati.
Risistemazione ambientale delle cave
Il PRC presta particolare attenzione alla risistemazione ambientale e al corretto inserimento paesaggistico delle cave (al termine dell’attività estrattiva o per fasi successive), finalizzati a riconsegnare un paesaggio in cui i segni dell’attività antropica siano in equilibrio sia con le identità culturali che con i valori naturali dei luoghi.
Pur condividendo in pieno tale finalità, teniamo a sottolineare i rischi che deriverebbero dall’adottare, per le cave di marmo, criteri analoghi a quelli appropriati per le cave di materiali per usi industriali e per costruzioni (rimodellamenti, riempimenti, rivegetazione ecc.).
Basta pensare all’attrattiva turistica delle cave di marmo per comprendere che, nel caso delle cave di marmo, mascherare con riempimenti e rivegetazione i segni lasciati dall’attività estrattiva (tecchie, gradoni, piazzali, gallerie, cave a fossa ecc.) significherebbe cancellare proprio gli elementi che caratterizzano l’identità culturale dei luoghi.
Per le cave di marmo, pertanto, la risistemazione ambientale deve limitarsi alla rimozione dei rifiuti e dei detriti e agli interventi di messa in sicurezza necessari a permettere il libero accesso ai visitatori.
Pertanto, per evitare interpretazioni del ripristino ambientale che produrrebbero un grave danno paesaggistico, è bene che il PRC faccia cenno a queste considerazioni ed, anzi, prescriva espressamente il divieto di cancellare i segni identitari del genius loci del paesaggio marmifero, onde evitare che il paesaggio spettacolare delle cave si riduca a un paesaggio degradato di discariche (Fig. 5).
Le indicazioni di questo paragrafo valgono, naturalmente, sia per la risistemazione delle cave al termine della loro attività, sia per quella delle cave dismesse.
Risistemazione ambientale dei ravaneti
Gli interventi sui ravaneti sono disciplinati dall’art. 23 (comma 3, lett. d) che demanda ai comuni, nell’ambito dell’adeguamento al POC, l’individuazione delle modalità di intervento finalizzato al loro recupero ambientale. Per i bacini marmiferi delle Apuane si demanda ai PABE l’individuazione dei casi in cui è consentita l’asportazione dei ravaneti (art. 25, comma 3). Riteniamo opportuno che, nel demandare ai comuni queste scelte, il PRC indichi alcuni indirizzi.
Va infatti considerato che i ravaneti esercitano effetti ambientali contrastanti. L’effetto positivo consiste nella riduzione del rischio alluvionale poiché i ravaneti, assorbendo le acque meteoriche e rilasciandole lentamente e con notevole ritardo, allungano i tempi di corrivazione e attenuano i picchi di piena.
I ravaneti esercitano però anche effetti negativi:
- aumento del rischio alluvionale per l’eccesso di apporti solidi agli alvei (graduale o massivo, in occasione di colate detritiche –favorite dal contenuto in materiali fini– conseguenti a precipitazioni intense) che ne riducono l’officiosità idraulica;
- inquinamento delle acque superficiali e sotterranee, per il loro rilevante contenuto in materiali fini (marmettola e terre), facilmente dilavabili dalle acque;
- degrado paesaggistico.
Le modalità di recupero ambientale e funzionale più adeguate variano pertanto secondo il contesto in cui sono inseriti. Nelle aree contigue o intercluse nel Parco, non essendovi grosse concentrazioni di cave, gli effetti sul rischio alluvionale non sono rilevanti; ciò considerato –e tenuto conto delle preminenti finalità di tutela ambientale e paesaggistica– il miglior recupero consiste nella completa rimozione dei ravaneti, prestando particolare cura all’allontanamento di marmettola e terre.
Nel bacino estrattivo di Carrara, invece, considerata la grande estensione e i notevoli spessori dei ravaneti, l’effetto idrologico esplicato è molto rilevante. Occorre pertanto sfruttarne la capacità di ridurre il rischio alluvionale, eliminando però gli effetti negativi. Ciò è possibile attuando la proposta di Legambiente di realizzare i ‘ravaneti spugna’: rimozione totale del ravaneto, allontanamento completo dei materiali fini, ricostruzione del ravaneto con sole scaglie pulite e stabilizzazione tale da sopportare anche le precipitazioni più intense (si veda, ad es.: Incontro Legambiente-Sindaco su cave e rischio alluvionale, 20/7/17).
Adottando per la stabilizzazione accorgimenti costruttivi adeguati (es. muri a secco e/o bastioni di contenimento in blocchi) si otterrebbe anche un recupero paesaggistico di particolare pregio. Si proporrebbe, infatti, ai visitatori una nuova immagine dello ‘spirito del luogo’ (genius loci), che comunicherebbe l’estrazione del marmo come opera titanica dell’uomo e, al tempo stesso, lo spirito artistico posto in ogni uso del marmo (detriti compresi). L’intento è il superamento dell’immagine di un genius loci rozzo e devastatore trasmessa dal degrado che caratterizza i ravaneti attuali (che non migliora certo l’attrattiva turistica).
Riteniamo pertanto opportuno che il PRC, laddove tratta gli interventi sui ravaneti, accenni alle diverse modalità d’azione adeguate al loro contesto ambientale e suggerisca, laddove pertinente, l’opportunità di conseguire contestualmente un recupero paesaggistico qualificato, la protezione delle acque superficiali e sotterranee, la riduzione del rischio alluvionale.
Tutela delle acque dall’inquinamento (marmettola)
Non sarà sfuggito al lettore attento che la ‘grande opera’ appena citata (la realizzazione dei ravaneti spugna, particolarmente importante per Carrara e, in minor misura, anche per Massa) sarebbe ben presto vanificata se non si adottassero misure efficaci a impedire nuovi apporti di marmettola e terre ai ravaneti.
In tal senso, l’art. 25 (commi 8 e 9) del PRC prevede, per le cave apuane, che i PABE prescrivano che i piani di coltivazione dimostrino che sia impedito l’inquinamento delle acque superficiali e sotterranee, con particolare riferimento alla marmettola. Particolare attenzione ai problemi legati alla marmettola si ritrova anche nel documento PR15 (Indirizzi e misure di mitigazione per le criticità ambientali.
Condividiamo appieno la prescrizione citata che, peraltro, sarebbe già dovuta necessariamente discendere da una procedura di VIA rispettosa dei dettami di legge. Temiamo però che anche questa prescrizione possa essere interpretata in senso generico. L’intorbidamento dei corsi d’acqua apuani e delle sorgenti dopo ogni pioggia, infatti, è la prova lampante dell’assoluta inadeguatezza delle prescrizioni contenute nelle autorizzazioni (equivalenti perciò, di fatto, a ‘licenze ad inquinare’).
Per evitare che, ancora una volta, anche i principi sacrosanti vengano elusi nella pratica, chiediamo che la prescrizione sia esplicitata precisando l’obbligo ferreo di mantenere costantemente e scrupolosamente pulite tutte le superfici di cava (comprese rampe) e, soprattutto, prevedendo sanzioni fortemente dissuasive per ogni inadempienza (quindi non sanzioni economiche, ma sospensioni dell’autorizzazione fino a completo adempimento e, per le recidive, ritiro definitivo dell’autorizzazione).
Per quanto riguarda i ravaneti (compresi quelli di supporto alle vie d’arroccamento), va tenuto conto che, data la loro elevata permeabilità, assorbono grandi quantità di acque meteoriche che dilavano la marmettola e le terre in essi contenuti. La frazione di acque che riemerge dal piede del ravaneto può essere intercettata e trattata per la rimozione dei materiali fini, ma solo utilizzando vasche di gran lunga più capienti di quelle attuali.
La frazione di acque che penetra nelle fessure carsiche del substrato coperto dal ravaneto, tuttavia, non è intercettabile: non è quindi possibile, allo stato attuale, evitare l’inquinamento delle acque sotterranee da parte delle acque percolate nei ravaneti. È questa una ragione in più per accogliere la nostra proposta di riconversione dei ravaneti in ravaneti spugna (ripuliti dai materiali fini): ai vantaggi già citati si aggiungerebbe quello di un maggior rimpinguamento degli acquiferi carsici (con acque pulite!) che contribuirebbe alla riduzione delle crisi da scarsità idrica estiva.
Chiediamo pertanto che il PRC prospetti ai comuni (nell’ambito dell’adeguamento del piano operativo: art. 23, comma 3, lett. g) l’opportunità di accogliere questa soluzione per il recupero ambientale dei ravaneti di Carrara e di Massa. Si tratta di una misura particolarmente importante, visto che si sta assistendo a una radicale trasformazione dei ravaneti: sempre più poveri di scaglie (poiché allontanate per la produzione di granulati e di carbonato) e sempre più ricchi di terre, fino a diventarne la componente quasi esclusiva.
Chiediamo inoltre che il PRC specifichi l’obbligo ad allontanare dalla cava tutti i derivati (in particolare le terre), precisando tuttavia che è facoltà del comune stabilire caso per caso che, in tutto o in parte, i derivati restano di proprietà comunale e indicarne le eventuali modalità di collocazione, per realizzare interventi di pubblica utilità (ad es. i ravaneti spugna).
Disattesa la tutela delle acque dalla marmettola
Il problema dell’inquinamento da marmettola delle sorgenti e dei corsi d’acqua è ampiamente noto e resterà irrisolto finché non sarà adottata l’unica misura efficace: mantenere costantemente una scrupolosa pulizia di tutte le superfici di cava.
Già nel nostro Dossier marmettola: l’inquinamento autorizzato inviato alla Regione l’1/6/16 lamentavamo che «sono le autorizzazioni stesse che, di fatto, rilasciano la licenza ad inquinare con marmettola!» e che l’efficacia dell’apparato normativo «è vanificata dal fatto che nessuna autorizzazione all’attività estrattiva contiene l’elementare prescrizione di non esporre marmettola e terre al dilavamento meteorico. L’inquinamento da marmettola non è quindi (solo) il frutto di violazioni delle prescrizioni: è consapevolmente accettato e implicitamente (seppur illegittimamente) contenuto nell’autorizzazione!».
Le attuali autorizzazioni, infatti, si limitano a prescrivere l’impiego di determinati accorgimenti (vasche di sedimentazione, gestione delle acque meteoriche dilavanti, raccolta delle acque di lavorazione al piede del taglio, pulizia periodica dei piazzali ecc.), senza esigere il raggiungimento di una data prestazione (es. vasche di sedimentazione che garantiscano il non superamento di una data soglia di torbidità in uscita, piazzali costantemente puliti come uno specchio, ecc.).
In ogni cava si assiste pertanto al paradosso di una situazione formalmente in piena regola (poiché si adottano tutti i dispositivi prescritti) ma che, avendo i piazzali colmi di marmettola, elude le finalità implicite negli accorgimenti adottati (Fig. 6).
[La foto B è un fotogramma tratto dal video propagandistico della cooperativa Cavatori di Canalgrande: https://www.youtube.com/watch?v=_1mHI_YTDBw, criticato da Legambiente in: Cavatori Canalgrande: il video della fierezza è un’autodenuncia].
Crediamo sinceramente che nessuno dei redattori del PRC riterrebbe accettabili situazioni come quelle mostrate nella Fig. 6 (purtroppo molto diffuse); eppure la genericità delle norme del PRC adottato sembra espressamente concepita per garantirne la prosecuzione!
Avevamo pertanto accolto con grande soddisfazione il comma 11 dell’art. 25 della proposta di PRC che prescriveva, per gli elementi di supporto al cantiere estrattivo quali rampe o strade, realizzati con materiale detritico di risulta, che «i piani di coltivazione» … «dimostrano che … sia impedito l’inquinamento del suolo e delle acque di superficie e sotterranee, con specifico riferimento alla marmettola prodotta dalle cave e a quella contenuta nei ravaneti sotto forma di polvere o di fango in quanto elemento contaminante del suolo, dei corsi d’acqua e delle falde».
Purtroppo, nel passaggio dalla proposta di PRC al PRC adottato, dal comma 11 dell’art. 25 (diventato comma 9) è stato eliminato l’intero periodo succitato (evidentemente su pressioni imprenditoriali), dimostrando che si preferisce consapevolmente accettare il proseguimento a tempo indefinito dell’inquinamento delle acque superficiali e sotterranee anziché arrecare agli imprenditori il fastidio della pulizia delle cave e i relativi costi.
Chiediamo pertanto la reintroduzione integrale del periodo eliminato dal comma 11 dell’art. 25 (diventato comma 9).
Monitoraggio delle produzioni
Il monitoraggio delle produzioni e, in particolare, delle rese in blocchi è un punto tanto importante quanto dolente: il requisito stabilito dal PRAER per il rilascio dell’autorizzazione all’escavazione (resa in blocchi non inferiore al 25% del materiale estratto) è stato infatti sistematicamente violato; a nulla è servito anche l’invio annuale alla Regione, da parte del Comune, della relazione attestante, per ogni cava, i quantitativi di ogni tipologia di materiale estratto.
Come abbiamo ripetutamente, quanto inutilmente, segnalato alla Regione, infatti, il 78% delle cave ha violato il PRAER senza che comune e regione battessero ciglio (si veda ad es. Cave apuane: un decennio di illegalità, 1/6/2016, da cui è tratta la Fig. 7). Alcune cave, addirittura, non hanno estratto nemmeno un blocco nel decennio 2005-2014, mentre altre hanno portato a valle solo blocchi (abbandonando i detriti al monte, in violazione delle prescrizioni dell’autorizzazione).
Da questa esperienza fallimentare discende la necessità di assicurarsi che il monitoraggio previsto dal PRC non si traduca in un analogo fallimento. Purtroppo le misure previste nel piano adottato non consentono alcun ottimismo.
Il PRC prevede (art. 14, commi 1 e 2) che il titolare dell’autorizzazione presenti annualmente al comune la relazione tecnica corredata dagli elaborati di rilievo del sito estrattivo, corredati dal rilievo tridimensionale in formato vettoriale interoperabile anche al fine di monitorare il raggiungimento della resa indicata nel progetto autorizzato.
Sebbene dagli elaborati di rilievo sia possibile calcolare la resa, il dato non viene richiesto. Chiediamo che la relazione tecnica contenga espressamente anche i quantitativi estratti nell’anno per ciascuna tipologia di materiale (come, peraltro, prevedeva il PRAER) e la resa in blocchi ottenuta.
Particolari preoccupazioni desta l’art. 14, comma 3, che assegna al comune il compito di verificare ogni 5 anni il raggiungimento delle rese; in caso di mancato raggiungimento, il comune richiederà gli accorgimenti per adeguare le produzioni entro l’anno successivo (comma 4) e, nel caso di nuovo mancato raggiungimento, il titolare dovrà presentare un progetto di variante finalizzata al ripristino per una durata non superiore a tre anni (comma 5).
Il dispositivo previsto per il monitoraggio delle rese è dunque palesemente (intenzionalmente?) inadeguato: anche una cava che violasse clamorosamente le rese fin dall’inizio, infatti, potrebbe contare comunque su nove anni di attività indisturbata.
Segnaliamo inoltre che il dispositivo è aggirabile in modo talmente facile da assicurare la prosecuzione della violazione per l’intera durata dell’autorizzazione: basta infatti (al sesto anno, quando il comune richiederà l’adeguamento alla resa prevista) abbandonare al monte una data quantità di detriti per ottenere una resa in blocchi soddisfacente (anche se è solo apparente e fraudolenta). Ciò garantirà altri 5 anni di escavazione, dopo di che basterà ripetere il trucco dell’abbandono di detriti.
La debolezza del dispositivo di monitoraggio previsto dal PRC, unito all’esperienza fallimentare del PRAER, impone pertanto modifiche all’art. 14:
- il rilievo annuale del sito previsto dai commi 1 e 2 sia esteso anche alle pertinenze della cava (aree impianti, ravaneti, strade d’arroccamento ecc.), sia ad alta risoluzione e sia accompagnato da una carta delle variazioni volumetriche (aree scavate e aree che hanno registrato nuovi apporti) e dal calcolo delle variazioni volumetriche nell’anno;
- il comune verifichi annualmente (anziché ogni 5 anni) sia l’attendibilità dei dati dichiarati sia il raggiungimento della resa richiedendo, in caso contrario, accorgimenti per adeguarla entro l’anno successivo e, in caso di mancato adeguamento, prescriva la cessazione dell’attività estrattiva e la risistemazione ambientale (rimozione dei rifiuti e residui e messa in sicurezza) nei tempi tecnici strettamente necessari.
Il monitoraggio della Regione dell’andamento delle attività estrattive (art. 6, comma 4), invece, è previsto annualmente attraverso una specifica banca dati e, con cadenza quinquennale, per la verifica della rispondenza delle volumetrie estratte rispetto al quadro previsionale (per valutare la necessità di adeguamenti tramite varianti al PRC).
Chiediamo di precisare che il monitoraggio della Regione non si limiti a verificare se i quantitativi estratti corrispondano a quelli previsti, ma utilizzi i dati annuali per verificare anche il rispetto delle rese di ciascuna cava e, nel caso del loro mancato raggiungimento, preveda azioni correttive tempestive e cogenti.
Considerata l’esperienza fallimentare del PRAER sopra segnalata, teniamo a sottolineare l’assoluta importanza che la verifica annuale delle rese (da parte del Comune e della Regione) sia eseguita per ciascuna cava, anziché limitarsi alla resa dell’intero comparto estrattivo. In caso contrario, infatti, estremizzando per rendere più chiaro il concetto, potrebbe verificarsi il paradosso del rispetto della resa dell’intero comparto anche qualora la totalità delle cave violasse le prescrizioni: ad esempio, metà delle cave estrae solo detriti e l’altra metà porta a valle solo i blocchi (abbandonando i detriti al monte). Non si tratta di un caso ipotetico: l’esperienza concreta dell’ultimo decennio non si allontana molto da questa situazione.
Un progetto speciale per il riuso di scorie di acciaieria e fanghi rossi
Nell’ottica di una lettura restrittiva della legge regionale si continua a considerare e computare come materiali utilizzabili al posto di materiale vergine, i residui delle attività di cava e di opere di demolizione e scavi nelle opere edilizie. Nel caso delle scorie delle acciaierie di Piombino e dei Gessi rossi di Scarlino, certamente realtà uniche, non viene neppure presa in considerazione la possibilità del riciclo di detti materiali a beneficio della salvaguardia delle colline e del paesaggio in genere. Pur nella consapevolezza che ad oggi le scorie di acciaieria ed i gessi rossi tal quali, risultano ancora rifiuti speciali, ed in quanto tali non possono essere considerate delle risorse riutilizzabili, nel PRC dovrebbe trovare spazio un impegno politico e tecnico della Regione nel finanziare progetti che possano trasformare tal rifiuti speciali in materie prime seconde nel breve periodo e di conseguenza a considerare il sito di Piombino e di Scarlino, dove sono stoccati milioni di mc di rifiuti speciali, come siti di approvvigionamento di materiali per utilizzi minori nell’ambito dell’edilizia in genere o per generare nuova economia in un ottica di riciclo di materia.
Osservazioni all’Analisi Multicriteriale relativa alle cave della Val di Cornia
Il PRC appena adottato, conferma di fatto tutte le attività estrattive in essere in Val di Cornia. Il PRC conferma la produzione di calcare per usi industriali ed edilizia dalle 3 grandi cave, di cui 2 ubicate nel Comune di Campiglia M.ma e una nel Comune di San Vincenzo. Contestualmente si individua un grande giacimento che determina la coalescenza di alcune cave di ornamentale all’interno del comune di Suvereto con aggiunta di una vasta superficie di collina e territorio circostante. Infine, nella parte alta del bacino idrografico del Fiume Cornia, nel Comune di Monterotondo M.mo si individuano con ampliamento, ben 3 siti di estrazione, tutti fonte di potenziale produzione di frazione fine nel fiume stesso capace di otturare a valle le zone di ricarica della falda per uso idropotabile di tutta la bassa Val di Cornia e la fornitura idrica per l’Isola d’Elba.
Il PRC colloca nello stesso comparto la cava Solvay (San Vincenzo) e M. Calvi (Campiglia M.ma) per la produzione di calcare industriale mentre la cava di M. Valerio (Campiglia M.ma) è classificata per la produzione di calcare per edilizia.
- Cava M. Calvi: per questa cava si osserva come il limite della risorsa trovi al proprio esterno elementi riconducibili a criteri escludenti E1 nella parte sud ovest per la presenza di impluvi tutelati, di criteri Condizionanti forti a carattere escludente oltre il limite nord-est, est e ovest, per la presenza di grotte di particolare valore naturalistico e storico culturale. Si tratta rispettivamente delle cavità ipogee classificate come Buca del Cavallo, la Bucona e la buca del rosso. Ancora oltre la cornice di questa risorsa di osservano criteri condizionanti forti dettati dalla presenza di bosco su ANPIL e SIC.
- Cava San Carlo: per la cava a servizio della Industria chimica Solvay di Rosignano M.mo, si osserva come il limite della risorsa nella porzione est, insista su alcuni criteri escludenti e condizionanti forti per la presenza di una cavità carsica (buca del confine) e la presenza di bosco, inserendosi per alcuni ettari all’interno di un’area protetta, il SIC di Monte Calvi. Il limite evidenziato dal PAERP e oggi confermato dal PRC collimano.
- Cava M. Valerio: il PCR prevede un ampliamento consistente del giacimento e della risorsa verso ovest. Appare quanto mai strano questo ampliamento se si rileva che la composizione geologica delle rocce affioranti ricadono in materiali poco interessanti sotto il profilo minerario.
Opposizione alle proposte dei confini dei Giacimenti della Val di Cornia
- Cava M. Calvi: per questa cava si osserva come la proposta di nuova perimetrazione del giacimento comporti una espansione di superficie in direzione nord-est sino a raggiungere la quota altimetrica di 600 m slm ed est determinando una fascia di ampliamento significativa. Nel primo caso tale ampliamento determina l’eliminazione di un geotopo, un importante e significativa cavità carsica, come la buca del cavallo e un ambito boscato, nonché la occupazione di un SIC ed ANPIL. In aggiunta si determina l’incremento della quota altimetrica di escavazione verso la vetta del Monte Calvi aumentando di fatto l’impatto paesaggistico dell’escavazione. Si ritiene l’ampliamento della zona estrattiva non opportuno per le peculiarità naturalistiche, paesaggistiche e storico culturali presenti.
- Cava San Carlo: la proposta di giacimento incrementa verso est la previsione del PAERP e della risorsa del PCR determinando di fatto un incremento della superficie estraibile a danno del bosco del SIC Monte Calvi. In aggiunta si determina la distruzione pressoché totale del sistema di cavità carsiche naturali e pertanto geotopi di valenza naturalistica, ma soprattutto si distrugge un sito di valenza storico culturale in quanto queste cavità carsiche non sono altro che le prime miniere del periodo etrusco e successivamente medioevale. In sostanza si creano le condizioni per distruggere il nucleo storico testimoniale dell’intero distretto minerario di San Silvestro oggi in parte tutelato dal parco adiacente. Per conoscere in maniera più approfondita questo sistema delle cavità ipogee e miniere etrusche, si rimanda alle specifiche pubblicazioni scientifiche condotte tra l’altro dal Museo di Scienze naturali di Livorno ed dal gruppo speleologico livornese.
L’area proposta come ampliamento della attività estrattiva si caratterizza per la concentrazione di differenti peculiarità, tutte di estremo valore, di tipo paesaggistico, storico, geologico, floristico e faunistico. Così come nel confinante versante campigliese anche in questa zona il particolare paesaggio geomorfologico del Monte Calvi costituisce il presupposto per la presenza di habitat di elevato interesse conservazionistico.
Prevalgono infatti due formazioni rocciose: il calcare e le rocce eruttive. Il calcare mesozoico puro affiora sulle porzioni sommitali del M. Calvi, conferendogli un caratteristico colore biancastro ed un aspetto montano, e dando luogo a numerosi fenomeni carsici epigei ed ipogei, quali cavità e pozzi. Le rocce eruttive sono rappresentate da porfiriti e graniti: a contatto con il calcare si sono depositati giacimenti minerari di rame, piombo argentifero e stagno, oggetto in passato di un intenso sfruttamento minerario. L’area comprende infatti un’area mineralogica sfruttata già in epoca etrusca di cui restano testimonianze nelle cave storiche e nel vicino e famoso villaggio e centro minerario della Rocca di San Silvestro.
Quest’ultimo villaggio domina sulla Valle dei Manienti oggetto dell’ampliamento della cava di San Carlo. Nella valle dei Manienti e nella confinante ANPIL (in Comune di Campiglia M.ma) lungo i filoni di roccia porfirica, a contatto con il calcare, si sono depositate le mineralizzazioni spesse talvolta centinaia di metri. L’esistenza di risorse minerarie così abbondanti ha condizionato in modo inequivocabile la disposizione e lo sviluppo degli insediamenti in quasi tutti i periodi, a partire sicuramente dall’età etrusca.
La zona in oggetto presenta alcune antiche coltivazioni e miniere, di elevato interesse storico ed archeologico, quali la Buca del Biserno (sottoposta a vincolo archeologico), la Buca del Burian, Buca di Fohn, Buca degli Spagnoli, Buca dei Topi e la Buca del Confine. Numerosissime le emergenze ipogee, distribuite in un vasto ambiente carsico, con cavità (Buca dei Grilli, Buca del Biserno, Buca del Muschio di Scala Santa, Buca delle Colonne, Buca della Scarpa, Buca Verde, ecc.), abissi (Abisso San Vincenzo), già inseriti nel catasto regionale delle grotte della Regione Toscana, oltre ad altre cavità segnalate dal Gruppo Speleologico Archeologico Livornese.
L’intero ex distretto minerario del campigliese rappresenta un ambiente unico non solo nel contesto nazionale; un luogo dove le tracce della coltivazione si perdono nelle migliaia di anni e dove si è conservato un paesaggio minerario che, come in un fotogramma, fissa per epoche diverse, la trasformazione dell’ambiente attraverso l’azione dell’uomo (vedasi Quad. Mus. St. Nat. Livorno, 26: 101- 116 (2015-2016) Il sistema minerario di età pre-industriale della Valle in Lungo (San Vincenzo – Livorno) Giovanna Cascone, Luca Tinagli).
Dal punto di vista naturalistico le informazioni derivanti dalla Scheda Natura 2000 del Sito di Importanza Comunitaria, i dati derivanti dal Progetto RENATO Repertorio Naturalistico Toscano e le informazioni derivanti dai sopralluoghi, testimoniano dell’alto valore naturalistico e conservazionistico dell’area. Nel contesto degli aspetti vegetazionali, una delle più importanti emergenze è rappresentata dalle garìghe a dominanza di ginepro ossicedro Juniperus oxycedrus e Globularia alypum, con notevole diffusione anche di ginepro fenicio Juniperus phoenicea, habitat di interesse comunitario e regionale (Boscaglie a dominanza di Juniperus sp.pl. cod. Natura 2000: 5210). Particolarmente estesi e di elevato interesse conservazionistico anche gli habitat Boschi mesofili a dominanza di Quercus ilex con Ostrya carpinifolia e /o Acer sp.pl. (Cod. Natura 2000: 9340) e Praterie aride seminaturali e facies arbustive dei substrati calcarei (Festuco-Brometea) (*stupenda fioritura di orchidee) (Cod. natura 2000: 6210), quest’ultimo classificato dalla Direttiva 92/43/CEE come prioritario.
L’area riveste una notevole importanza per l’elevata diversità floristica, che comprende anche numerose stazioni di specie endemiche, rare o di interesse fitogeografico, in parte localizzate sulle parti sommitali del M. Calvi: tra queste deve essere citata in particolare la bivonea del Savi Jonopsidium savianum, una delle poche specie di interesse comunitario presenti in Toscana, a costituire anche una delle fitocenosi del progetto RENATO. Tra le altre specie di flora di elevato interesse e perlopiù di interesse regionale, di cui alla LR 56/2000, sono da citare Crocus etruscus, Ranunculus garganicus, Iris lutescens, Hesperis laciniata, Biscutella pichiana e Ophrys crabronifera.
L’area è un’importante stazione anche per invertebrati quali Euchloetagis calvensis, e i lepidotteri Euplagia quadripunctata e Coenonympha corinna elbana, una farfalla endemica della Toscana. Nell’area sono presenti rana agile Rana dalmatina, rana appenninica Rana italica, endemica dell’Appennino, e il tarantolino Phyllodactilus europaeus, un piccolo rettile endemico dell’area mediterranea occidentale.
Tra gli uccelli nidifcanti di interesse comunitario merita segnalare la presenza di numerosi rapaci quali falco pecchiaiolo Pernis apivorus e biancone Circaetus gallicus, oltre a succiacapre Caprimulgus europaeus e tottavilla Lullula arborea. Particolare interesse riveste la presenza di bigia grossa Sylviahortensis e di due specie di averle Lanius collurio e Lanius senator. Nella seguente figura 8 si riporta l’attuale assetto del SIC-SIR Monte Calvi. Se si osserva la cava San Carlo si nota che la stessa già oggi determina una strozzatura dell’area protetta. Se si prende in considerazione la proposta del PCR che prevede un avanzamento verso est e quindi verso la cima del Monte Calvi, l’area SIC-SIR sarà di fatto tagliata in due porzioni una a nord e una a sud, venendo meno la sua funzione originaria da un punto naturalistico.
Per quanto sopra descritto si ritiene l’ampliamento della zona estrattiva non opportuno per le peculiarità naturalistiche, paesaggistiche e storico culturali presenti.
- Cava M. Valerio: il PCR prevede un ampliamento consistente del giacimento potenziale e della risorsa verso ovest. Appare quanto mai strano questo ampliamento in quanto la composizione geologica delle rocce affioranti ricadono in materiali poco interessanti sotto il profilo minerario. Si ritiene tale ampliamento della zona estrattiva non opportuno
- Monte Peloso (Comune di Suvereto): la proposta di creare un’unica area di giacimento quale sommatoria di 3 aree estrattive di calcare ornamentale è condivisibile nella logica di determinare nel territorio un ambito produttivo. Si ritiene opportuno sottolineare la necessità di evitare l’ampliamento nella parte sommitale di Monte Peloso al fine di non aggravare l’impatto visivo di queste attività estrattive.
- Casetta Rossi GIACIMENTO 09053027075001 (Comune di Monte Rotondo M.mo): questo giacimento così come individuato è già stato nel passato oggetto di coltivazione determinando problemi al letto di alveo del Fiume Cornia nella zona di ricarica dell’acquifero della pianura. Si ritiene il giacimento, sebbene di scarsa qualità, ampiamente esaurito pertanto non si ritiene necessario inserirlo come previsione se non a completamento dei ripristini ambientali post coltivazione che ancora sussistono nell’area determinando ancora oggi un impatto paesaggistico notevole in un’area che ha acquisito una grande valenza turistica di qualità. Si ritiene questo giacimento non opportuno.
- Calabria – Fornacelle GIACIMENTO 09053027074001 (Comune di Monte Rotondo M.mo): questo giacimento con buona probabilità di scarsa qualità vista la similitudine geologica con Casetta Rossi, risulta prossimo al Fiume Cornia, determinando, in caso di coltivazione, le stesse problematiche già descritte e vissute per Casetta Rossi. A nord di questo giacimento è ancora oggi presente un impianto di frantumazione che tanti problemi ha creato al Fiume Cornia per la ricaduta in alveo di frazione limosa che ha otturato a valle i punti di ricarica della falda ad usi anche idropotabili. Si ritiene questo giacimento non opportuno.
- Pian dei Massoni GIACIMENTO 09053027073001 (Comune di Monte Rotondo M.mo) : questo giacimento, risulta prossimo al Fiume Cornia, determinando, in caso di coltivazione, le stesse problematiche già descritte per Casetta Rossi. Si ritiene questo giacimento non opportuno.
Opposizione alle previsioni dei volumi estraibili dai Giacimenti della Val di Cornia
Ciò che il PRC prevede nell’ALL. A della Disciplina di Piano è un significativo aumento dei volumi di escavazione per il periodo temporale di 20 anni (2019-2038) ed in particolare:
- Per il distretto di Campiglia M.ma (M Calvi + Solvay) relativo ai calcari industriali oltre 21 milioni di mc
- Per i calcari per costruzione di M Valerio 7,2 milioni di mc
Sebbene i valori siano da intendersi come massimi coltivabili, si ritiene eccessivo il volume previsto di scavo. Infatti le cave di M Calvi e Solvay negli ultimi anni hanno coltivato in totale circa 500.000 mc/anno. Una tale produzione media annua determina un fabbisogno di 10 milioni di mc fino al 2038 a fronte dei 21 milioni in revisione nel PRC.
Lo stesso dicasi per la cava M. Valerio, che ha una produzione media annua di 250mila mc/anno, mentre la previsione di PRC risulta di 7,2 milioni in 20 anni quindi 2,2 milioni di mc in più del necessario.
Il quadro economico del paese e della Regione Toscana non sembra avere nel breve periodo trasformazioni tali da incrementare le produzioni medie degli ultimi anni, pertanto si ritiene che le produzioni siano calibrate alle attuali esigenze.
A dimostrazione della correttezza di queste affermazioni si precisa come la società esercente cava M. Calvi ha ottenuto un’autorizzazione alla coltivazione mediante una specifica variante al progetto proprio nel 2018 per un arco temporale di 10 anni di coltivazione con un complessivo di volumi autorizzati di 2,5 milioni di mc corrispondenti ad una esigenza più che ottimistica, di 250mila mc/anno. I volumi di coltivazione della variante sono i medesimi del vecchio progetto autorizzato.
Per quanto sopra si ritiene opportuno che i volumi di scavo previsti dal PRC siano ridotti ed opportunamente calibrati alle reali esigenze di produzione in virtù del quadro economico attuale e che una volta terminati gli attuali progetti autorizzati e messi a punto i dovuti ripristini ambientali, si possa dire fine alla produzione di calcare dall’alto morfologico di Monte Calvi e le sue pendici di elevato valore naturalistico, storico e paesaggistico.
Eliminazione della previsione delle aree estrattive di Monte Romitorino e Monte Romitorio, schede n. 0900490060100 (Cava Ortali) e n. 0900490060110 (Cava Calasorbi)
Individuazione dell’area: località monte di Romitorio e Romitorino comune di Castagneto Carducci identificate nella cartografia CRT: Foglio 305 San Vincenzo sezione 305080. Schede DCR 61/2019 N° 0900490060100 e n. 0900490060110. Identificata nella carta geologica della Toscana Foglio N°305 S. Vincenzo Sez. 305120 (Boll. Uff. Regione Toscana N°48 del 28.11.2007), Identificata nella carta del piano strutturale di Castagneto Carducci.
Premessa
Il complesso dei rilievi che appartengono alla dorsale occidentale del monte Coronato (m 545 slm) monte Romitorio (m 468,9slm) e monte Romitorino (m 410,2 slm) rappresentano, per il territorio ed il comune di Castagneto Carducci,una importante area naturalistica, geologica, idrogeologica e mineraria (Giannini E., 1955 boll. società Geologica Italiana vol. LXXIV Fasc. II 219-296 carta geologica dei monti di Campiglia).
Su questa area la Regione Toscana ha ubicato un giacimento di materiale calcareo ad uso pietra ornamentale con schede DCR 61/2019 N° 0900490060100 e N° 0900490060110 con possibilità di aperture di cave di estrazione materiali marmorei.
I rilievi si ergono maestosi e determinano un elemento primario nelle linee del paesaggio della valle delle Dispense e delle colline Metallifere costiere.
Questi hanno rappresentato, per il territorio e per la riserva faunistica dei Della Gherardesca, una unità morfologica importante per la sua orografia che si eleva, all’interno di un territorio con a Sud aree completamente degradate dall’attività estrattiva delle cave di San Carlo e Campiglia,ad ovest dall’azienda faunistica Il Paradiso ed Oasi Antonelli, ad est dalla dorsale dei rilievi di Sassetta e a nord dal parco archeologico della Torre di Donoratico e santa Maria (Scheda piano operativo PNt n°25/2019 )dove il comune di Castagneto Carducci negli anni 2000-2004ha investito ingenti risorse pubbliche per la valorizzazione del sito archeologico e dei rilievi limitrofi meridionali (G. Bianchi Università di Siena Dipartimento di archeologia: Il castello di Donoratico ed. All’insegna del Giglio 2004).
ATTI DI PIANIFICAZIONE DEL COMUNE DI CASTAGNETO CARDUCCI
Gli atti di pianificazione comunali si sono completati negli anni 2009 con la redazione e l’approvazione di un piano strutturale corredato del quadro conoscitivo e del relativo regolamento urbanistico, in cui si sono definite, per queste aree, la vocazione prevalentemente ambientale, con un indirizzo rivolto alla salvaguardia del Biotopo del Romitorino, delle sue garighe centenarie (Regione Toscana, 1985: Dip. agricoltura e foreste, Dip. assetto del territorio, carta uso del suolo- quadrante 119-III) e delle stesse aree di cava dismesse da circa 33 anni (attività di ricerca esauritasi 1976).
Una unità morfologica, quella del Coronato-Romitorino, all’interno dei monti di Campiglia rappresentata da un immenso patrimonio geologico intatto dove è possibile osservare la successione dei terreni Liasici con sequenza cronologica da 208 fino a 194,5 milioni di anni fa, mentre la successione completa dei terreni limitrofi è distinta fino a 65 milioni di anni fa (L. Trevisan E. Tongiorgi La Terra edizione UTET 1976; pag. 245).
La geomorfologia è costituita da paesaggi carsici (Calcari massici e stratificati) e paesaggi vulcanici (Rioliti di Donoratico) con al loro interno importanti tracce minerarie che hanno costituito le antiche miniere etrusche di Buche al Ferro (Regione Toscana Dipartimento Ambiente anno 1995 –Colline metallifere inventario del patrimonio minerario e mineralogico Scheda n° 50 Buche al Ferro monte Coronato Romitorino; Scheda n°51 La rocchetta, monte Verdello) e insediamenti medievali durante l’epoca dell’incastellamento dell’area con Rocchetta, Romitorino,Coronato e poggio alla Chiesa (Galgani G., Duemila anni di storia in Maremma..ed. Il Telegrafo 1973), (Casini A., Archeologia di un territorio minerario: i monti di Campiglia, supp. n°2 ai Quaderni museo st. nat. di Livorno 13 (1993):303-314) limitrofi alle aree interessate dall’attività estrattiva del piano (PRAE) della Regione Toscana.
Questi rilievi si elevano rapidamente dal bassopiano e dalle aree pedecollinari con quote massime rappresentate dal monte Calvi (m 646 slm).
È da qui che si dirama verso nord la dorsale principale dei monti di Castagneto con all’interno nessun elemento di disturbo o alterazione antropica e sono il polmone e la zona franca di salvaguardia delle oramai pendici occidentali e settentrionali che risentono di una intensa attività estrattiva.
Questa attività estrattiva, in particolare nelle aree contigue di monte Romitorino e Romitorio non sono mai state interessate da ripristini ambientali e la stessa valle è oramai diventata una discarica di materiali calcarei terrosi di scarto. Se consideriamo questo aspetto abbiamo valutato che lo scarto della produzione di blocchi marmorei era compresa da 70-80% e quindi fa capire la scarsa resa produttiva del giacimento a più riprese attivato e poi abbandonato.
La eventuale pressione del settore estrattivo di San Vincenzo su Castagneto C. potrebbe interessare irreparabilmente anche l’eventuale accorpamento della cava Calasorbi come osservabile nella scheda n°090490180260 della cava San Carlo (DCR 61/2019 elaborato 2° PIT) anche dovuto dallo sconfinamento della cava già nel comune di Castagneto Carducci.
È necessario che la Regione Toscana riveda l’ampliamento della cava Solvay che rappresenta un pericolo di sconfinamento e cosa ancora più grave andrebbe ad eliminare un reticolo idrografico importante della valle in Lungo verso la valle delle Rozze nel comune di Castagneto Carducci e del tessuto carsico per cui chiediamo di mantenere una fascia di rispetto di 50 metri per non pregiudicare l’assetto idrografico e la stabilità del versante settentrionale.
Già nelle precedenti pianificazioni (1994 e 2009) il comune di Castagneto aveva previsto la conservazione e la valorizzazione storica e naturalistica del parco archeologico della Torre di Donoratico e l’integrità dei rilievi dei monti della Gherardesca. Per questo motivo furono redatti elaborati tematici del PS che hanno evidenziato area SIC (Direttiva europea decreto ministero ambiente 3 settembre 2002 linee guida per la gestione dei natura 2000 pubblicato nella Gazzetta ufficiale n°224 del 24 settembre 2002 e con successivo decreto 24 maggio 2016 designazione di 17 zone speciali di conservazione ZSC della regione biogeografica continentale e 72 zone ZSC della regione Toscana pubblicato nella Gazzetta ufficiale della Repubblica n°139 Italiana N 16 giugno 2016 n°139), con riportato il Sito Importanza Comunitaria così descritto:
Denominazione Monte Calvi di Campiglia; Tipo B; Codice IT516000B; area Ha 1037
L’area ricade, come invarianti strutturali, in zone sottoposte a Vincolo idrogeologico (R.D.L N°3267 30/12/1923) ed in aree con Biotopi ai sensi della tav. 4 del PS del comune di Castagneto Carducci.
Anche se l’area non ricade nelle aree SIC 054 Monte Calvi riteniamo che esista una continuità morfologica evidente e troppo prossima al SIC per non considerare l’effetto impattante delle due cave inserite sul monte Romitorino che appartiene invece completamente al SIC, ricadendo anche nel vincolo delle aree boscate ai sensi del Codice dei Beni Culturali e del Paesaggio DLg 42/2004 e della legge forestale della Regione Toscana e sue modifiche (vedi parere negativo espresso Soprintendenza Archeologia, belle arti, e paesaggio delle provincie di Pisa e Livorno Ministero per i beni e le attività culturali; con nota del 11/06/2019 prot. N° 0235637). Quindi la cava ricade in aree boscate e nel vincolo idrogeologico
La storia scientifica e la geologia dei rilievi di Castagneto Carducci
Fin dal 1770 il Targioni Tozzetti distingueva nei suoi ‘Viaggi in Toscana’le principali caratteristiche ambientali (Targioni Tozzetti G., Relazione di alcuni viaggi fatti in diverse parti della Toscana IV, Firenze, 1770) mentre nel secolo seguente il fervore di studi nel campo delle scienze della terra portò tantissimi scienziati a percorrere gli itinerari geologici unici che vanno da Castagneto a Campiglia e che ancora oggi possiamo solo osservare intatti nel comune di Castagneto Carducci.
Questi pionieri della geologia: Paolo Savi (Savi P., Osservazioni geologiche sul Campigliese N. Giorn. Lett. 18 Pisa, 1829) Giuseppe Meneghini Pareto, Cocchi e Bombicci tra 1841 e il 1855 (Stella A., Dessau G., Boll. società Geologica Italiana vol. LXXIV Fasc. II pag 111-218, 1955) segnarono importanti progressi scientifici propri studiando i geotopi dei monti di Castagneto e Campiglia.
Ancora oggi queste aree integre rappresentano, per le università europee ed italiane, mete scientifiche importanti. Si capisce come lo studio di questa zona unica nel suo genere abbia avuto l’attenzione di geologi, mineralisti, naturalisti e storici fino al 1892 da Simonelli, De Stefani, Fucini e Levi fino più recentemente con gli scienziati Lotti, Aloisi, Rodolico fino a Ezio Giannini, con il bellissimo studio geologico e la relativa carta geologica. Un patrimonio geologico storico e naturale delle scienze che rappresenta un tesoro per le future generazioni che deve essere tramandato intatto.
Della catena metallifera come identificata questa parte geologica dei monti di Castagneto da parte dei vecchi geologi toscani con Leopoldo Pilla 1845 Paolo Savi nel 1829, Giuseppe Meneghini 1868, e Antonio D’Achiardi nel 1872 rappresenta tutt’oggi una pezzo del Preappennino toscano con una unicità che ne determina un ambiente idoneo per iniziative di pianificazione costituendo un tessuto di strutture attrezzate a parco per sviluppare un settore in via di espansione come il geoturismo (Garofalo M., Geoturismo … ed geoturismo, 2006).
Una unità idrogeologica essenziale del monte Coronato Romitorino che con le sue rocce permeabili ha determinato la presenza di un sottosuolo carsico (Cascone G., La zona speleologica del Massiccio del Monte Calvi … suppl. n°2 ai Quaderni mus. st. nat. di Livorno 13 (1993):183-212) ricco di acque termali ed idropotabili che permettono, grazie a luoghi preservati e naturalizzati, la ricarica ed il mantenimento della qualità geochimica del sistema termale di Venturina Sassetta Suvereto (Grassi S., Squarci P., Idrotermalismo dei monti di Campiglia e aree limitrofe supp.to 2 ai quaderni del Museo st. nat. di Livorno 13 (1993) :277-302).
Gli aspetti della flora e della fauna sono ampiamente documentati dalle strutture tecnico scientifiche dei Parchi Val di Cornia che di queste aree hanno descrittole caratteristiche ambientali della biodiversità rispetto ad altre aree contigue.
L’area identificata dalle schede DCR 61/2019 N° 0900490060100 e N° 0900490060110 andrebbe a distruggere, con l’estrazione di spessori e volumi notevoli di roccia calcarea massiccia, parte del versante settentrionale del Romitorino, annullando quei caratteri descritti nella premessa.
In sintesi:
1- Andrebbe a distruggere irreparabilmente un geotopo importante per la presenza di terreni della successione Toscana tipici dell’area e che hanno geodiversificato l’ambiente del monte Coronato-Romitorino.
2- Andrebbe a vulnerare ed intaccare il patrimonio idrico sotterraneo che rappresenta la ricarica del sistema Termale Campigliese peggiorando la qualità delle acque per infiltrazione d’inquinanti dovuti alle lavorazione dei blocchi marmorei (Idrocarburi, cromo, nitrati e sostanze organiche..)
3- Distruggerebbe il paesaggio visibile lungo la linea della dorsale che comprende la valle delle Dispense.
4- Andrebbe ad intaccare il biotopo presente con piante di gariga centenarie (Piano strutturale carta dei vincoli)
5- Andrebbe a eliminare completamente,con la realizzazione di strade di arroccamento e di trasporto,il manto boschivo che rappresenta, per i vari biotopi presenti un valore unico, con una superficie stimata di 40 ha.
6- Andrebbe ad aumentare le polveri sottili del centro urbano di San Vincenzo per il transito di Camion ed autoarticolati utilizzati per il trasporto dei blocchi di calcare
7- Andrebbe a produrre e modificare la qualità dell’area urbana dell’Acquaviva a causa di un aumento di scarichi fumari dei mezzi di transito.
8- Inoltre, cosa da non poco, i materiali estratti provenienti dalla formazione dei ‘Calcari massicci termometamorfici della Successione Toscana non hanno attitudini come Marmi anche per una qualità comune della pietra (Marmo bianco simile a quello di Carrara ma con caratteristiche estetiche mediocri) per la notevole fratturazione dovuta alla vicinanza di dislocazioni tettoniche con rigetti di 400 m determinate dalla faglia est–ovest lungo la valle delle Dispense e fratture principali che hanno fittamente interessato la massa calcarea.
Inoltre la massa calcarea non ha avuto fenomeni secondari di circolazione e deposito di materiale calcitico (CaCO3) che poteva anche rinsaldare la roccia, come invece, avvenuto nelle cave di marmo di Noisette Fleury a Suvereto.
9- La produzione di scarti notevoli e con una produzione di blocchi marmorei al di sotto della resa del 30% hanno determinato il continuo abbandono dell’attività estrattiva. Dimostrazione è l’attuale fronte di cava caratterizzato da fratture millimetriche e centimetriche che determinano nelle volate accumulate nel piazzale caratteristiche geomeccaniche scadenti, con la produzione di pochissimi blocchi marmorei .
10- Inoltre lo studio effettuato in passato dalle imprese che hanno fatto ricerche sistematiche e poi abbandonato le cave si basava anche sulla quantità del prodotto e dato che questo è in parte notevolmente fratturato come osservabile nella foto allegata e che si sviluppa ed interessa tutta l’area prevista dal PRAE, rende improduttiva l’apertura di cave di Marmo. Riteniamo che questa valutazione non sia mai stata rilevata negli studi a corredo del PRAE.
Questa caratteristica non permette la lavorazione dei blocchi nelle varie sedi di trasformazione in lastre commerciabili ed eventuali interventi di correzione aumenterebbero le spese di produzione.
Per questi motivi nel passato i permessi di ricerca rilasciati hanno dato sempre risultati negativi. Il paradosso sarebbe poi trasformare tali cave, per mantenere l’occupazione, in cava di pietrisco calcareo, che andrebbe certamente contro i canoni a monte di una corretta valutazione per l’apertura del giacimento estrattivo.
11 – La presenza di condotti carsici all’interno della cava in prossimità della faglia secondaria, determinerebbero con l’avanzamento della stessa la completa distruzione delle grotte presenti.
CONCLUSIONI
Per tutte le ragioni sopra descritte, riteniamo necessario che sia eliminata definitivamente la previsione dei giacimenti di cui alle schede DCR 61/2019 N° 0900490060100 e N° 0900490060110 e delle relative cave che modificherebbero, in modo irreparabile, la natura dei luoghi e rappresenterebbe per i residenti, sulla base degli atti della pianificazione locale, un utilizzo completamente diverso da quello previsto e atteso.
I residenti si aspettano che per queste aree sia previsto il recupero del patrimonio edile agro-forestale e pastorale e la valorizzazione ambientale paesaggistica, per la promozione di un parco naturale. Inoltre da circa un decennio gli imprenditori agricoli proprietari dei terreni agricoli hanno investito ingenti risorse private per la realizzazione di vigneti doc e delle relative cantine di produzione.
Oggi il territorio a Castagneto Carducci ha una vocazione agricola spinta di qualità con prodotti esportati anche all’estero e non certo una vocazione estrattiva marmorea.
Inoltre l’attività di cava comporterebbe, per l’asportazione di ingenti volumi di Calcare la mancanza di ricarica da parte delle piogge nella falda sottostante. Questo aspetto è stato dimostrato dagli studi CNR di Pisa effettuati con la realizzazione di un completo rilevamento idrogeologico e con la realizzazione dei relativi piezometri di controllo. Queste aree, a vocazione ambientale con bassissimo impatto antropico, rappresentano zone importanti per la ricarica del serbatoio idrotermale di Sassetta Castagneto Carducci.
Per tutte le motivazioni espresse che possono essere facilmente verificate attraverso anche il reperimenti di studi ufficiali come il Piano conoscitivo e regolamento urbanistico del piano strutturale del comune di Castagneto Carducci insieme alla delibere in atto che la Regione Toscana ha emanato per inserire parte del rilievo del Romitorio nelle aree SIC.
Eliminazione della previsione dell’ area estrattiva di Monte di Canneto, scheda n. 090300210370 (Cava Monte di Canneto)
Individuazione dell’area: DCP 54/2014 PAEP con scheda N°n°721 I 12. DCR n°61/2019 PRAE CON SCHEDA 090300210370 Comune di Monteverdi Marittimo Provincia di Pisa denominata CAVA MONTE DI CANNETO.
Località monte di Canneto comune di Monteverdi Marittimo identificate nella cartografia CRTFoglio 295 Pomarance sezione 295130 sezione 295140 CRT Foglio 306 sezione 306010 sezione 306020 CRT.
Identificata nella carta geologica della Toscana CRTFoglio 295 Pomarance sezione 295130 sezione 295140 CRT Foglio 306 sezione 306010 sezione 306020 CRT (Boll. Uff. Regione Toscana N°48 del 28.11.2007).
Premessa
Il monte di Canneto, con i suoi 550 m slm, rappresenta per il territorio ed il borgo omonimo una immensa riserva naturalistica, geologica, idrogeologica e mineraria. Su questa area la Regione Toscana ha ubicato un giacimento di materiale calcareo ad uso edile e stradale con scheda PRAEP 721 I 12 della DCR n°61 del 31 luglio 2019 con scheda N° 090300210370 con possibilità di aperture di cave di estrazione materiali calcarei.
Il rilievo di Canneto si erge maestoso e determina un elemento primario nelle linee del paesaggio della media valle del Cecina e del Cornia. Ha rappresentato, per il suo Borgo di Canneto nel comune di Monteverdi Marittimo, una unità morfologica importante per la sua indubbia orografia che si eleva all’interno di un territorio delimitato dalle riserve ambientali di Caselli e Monterufoli dove la Regione Toscana ha investito importanti risorse pubbliche per la loro valorizzazione ed il recupero degli immobili storici esistenti come ostelli per il turismo della Riserva naturale.
Una unità geologica mineraria che negli anni 30 con le gallerie della miniera di manganese di Canneto ha lasciato importanti segni di archeologia mineraria in fase di valorizzazione sia con il ministero ambiente con le giornate nazionali delle miniere del 2017 2018 2019 sia oggi con l’idea, in fase di progettazione di rappresentare anche un’opportunità turistica storica per la Comunità di Canneto. E’ in fase di ricerca di finanziamenti pubblici per la realizzazione di un museo GeoStorico ed un parco attrezzato per il turismo didattico e lento.
Una unità idrogeologica essenziale del monte di Canneto che con le sue rocce permeabili hanno determinato la presenza di numerose sorgenti idropotabili e di un acquifero medio profondo di acque incontaminate.
Gli aspetti della flora e della fauna sono ampiamente documentati dalle strutture tecnico scientifiche delle Riserve della Val di Cecina che di queste aree hanno descrittole caratteristiche ambientali della biodiversità del monte di Canneto e delle aree contigue.
DESCRIZIONE AREA CAVA E GIACIMENTO INSERITO PRAE TOSCANA.
L’area identificata, dai vari elaborati della scheda 090300210370 corredata di circa 11 elaborati sintetici e norme relative redatte dalla Regione Toscana a corredo del piano regionale delle attività estrattive, andrebbe a distruggere, con l’estrazione di spessori e volumi notevoli di roccia calcarea stratificata, circa un quinto della superficie totale del rilievo di Canneto, distruggendo irreversibilmente quei caratteri descritti nella premessa.
In sintesi:
1- Andrebbe a distruggere irreparabilmente un geotopo importante per la presenza di terreni di facies Ligure tipici dell’area e che hanno geodi versificato l’ambiente del monte di Canneto.
2- Andrebbe a distruggere il patrimonio idrico sotterraneo che rappresenta l’approvvigionamento idropotabile di ASA gestore del Servizio idrico integrato e la ricarica di sorgenti e falda idrica, peggiorando la qualità delle acque per infiltrazione d’inquinanti dovuti alle lavorazione degli inerti calcarei (Idrocarburi,cromo, nitrati e sostanze organiche..)
3- Distruggerebbe il paesaggio visibile lungo la linea della dorsale che comprende la valle del Massera a sud, la valle della Sterza ad ovest e la valle del Ritasso a nord
4- Andrebbe ad intaccare il parco geominerario in fase di progettazione e valorizzazione
5- Andrebbe a eliminare un manto boschivo che rappresenta l’unicità per i vari biotopi presenti
6- Andrebbe ad aumentare le polveri sottili del Borgo di Canneto per il transito di camion ed autoarticolati per il trasporto dei pietrischi calcarei
7- Andrebbe a produrre e modificare la qualità dell’area dell’urbanizzato di Canneto a causa di un aumento di scarichi fumari dei mezzi di lavoro e transito camion.
8- Inoltre, cosa da non poco, i materiali estratti provenienti dalla formazione dei ‘Calcari aCalpionella’ della facies Ligure con strati massimi di 60 cm di spessore intercalati a marne ed argilliti, male si adatterebbero ai lavori edili e stradali per l’alta usura e i bassi coefficienti di compressione che li limiterebbero ad usi meno importanti.
CONCLUSIONI
Per tutte le ragioni sopra descritte, riteniamo necessario che sia eliminata definitivamente la previsione di giacimento e della relativa cava previste nella scheda N° 090300210370 che modificherebbero, in modo irreparabile, la natura dei luoghi e rappresenterebbero per i residenti, un utilizzo completamente diverso da quello atteso e previsto negli atti pianificatori locali.
I residenti si aspettano che per queste aree sia previsto il recupero del patrimonio edile agro-forestale e pastorale e la valorizzazione ambientale paesaggistica. Inoltre da circa un decennio gli imprenditori agricoli proprietari dei terreni agricoli del Monte di Canneto hanno investito importanti risorse private per la realizzazione di vigneti doc e delle relative cantine di produzione. Oggi il territorio a Canneto ha una vocazione agricola spinta di qualità con prodotti esportati anche all’estero.
Inoltre l’attività di cava comporterebbe, per l’asportazione di ingenti volumi di Calcare la mancanza di ricarica da parte delle piogge nella falda sottostante. Questo aspetto è stato dimostrato dagli studi Getas-Petrogeo di Pisa nell’anno 1992-94 per conto del Comune di Monteverdi e del Consorzio risorse idriche della val di Cornia Cigri effettuati con la realizzazione di un completo rilevamento idrogeologico e con la realizzazione dei relativi piezometri di controllo e dalla pubblicazione CNR IGG di Pisa in occasione dello studio finanziato dalla Comunità Europea chiamato BOREMED. In queste aree idonee per presenza di acque incontaminate e protette dal tessuto ambientale e forestale, la Regione Toscana, con delibera siccità emergenza idrica nel 2007, ha permesso la realizzazione di pozzi idropotabili proprio nelle aree interessate oggi dall’area di cava.
Inoltre tale formazione geologica, interessata dall’attività estrattiva, andrebbe a depauperare le risorse di alimentazione del laghetto e delle numerose sorgenti del monte di Canneto che alimentano il borgo di Canneto. Le sorgenti sono DOCCI-MINIERA-MAZZAGAGLIA–FORNACELLE-SAN LUCIANO
Inoltre per l’attività estrattiva di cava, il ricorso a spari di mine, causerebbe dissesti nei poderi limitrofi e metterebbero a serio pericolo le tubazioni delle Centrali geotermiche ENEL e gli stessi impianti.
Le motivazioni espresse che possono essere facilmente verificate attraverso anche il reperimenti di studi ufficiali come il Piano Strutturale, il relativo quadro conoscitivo ed il regolamento urbanistico del comune di Monteverdi Marittimo, insieme alla delibere e finanziamenti in atto che la Regione Toscana ha deliberato insieme al piano d’ambito redatto da ASA gestore del servizio idrico per conto di AIT (AUTORITA’ IDRICA TOSCANA) e gli studi a corredo della progettazione ENEL centrali di: Mazzagaglia, Steccaia e San Luciano.
Firenze, 15 ottobre 2019
Legambiente Toscana APS
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