Alla Quarta Commissione Consiliare – Consiglio Regionale della Toscana
P.C.
- Assessore al Governo del Territorio, infrastrutture e paesaggio della Regione Toscana
- Presidente della Seconda Commissione Consiliare – Consiglio Regionale della Toscana
- Direttore della Pianificazione & Controlli in materia di cave della Regione Toscana
Gent.mo Presidente, egregi Consiglieri,
con la presente siamo a trasmettere le osservazioni di Legambiente al Piano Regionale Cave.
Esse constano di:
- Un documento di considerazioni e riflessioni generali (di Galletti, Direttivo Legambiente Toscana);
- un documento sul Distretto Apuano e, in particolare, su quello di Carrara (di Legambiente Carrara);
- un documento su una possibile attività estrattiva in quel di Capolona (AR) (di Legambiente Arezzo).
L’occasione è gradita per porgere i miei più
Cordiali saluti,
Responsabile Nazionale Paesaggio Legambiente
Presidente Legambiente Toscana APS
1. Considerazioni e riflessioni generali: prime note relative al PRC
a cura di Carlo Galletti, Consiglio Direttivo di Legambiente Toscana, esperto di biodiversità
Il Piano evidenzia chiaramente il ruolo assunto dalla Regione nella pianificazione, e presenta vari elementi positivi di organizzazione e standardizzazione delle analisi e della disciplina prevista.
Il Quadro Conoscitivo è molto approfondito e accurato, salvo per le carenze, relative alla considerazione di alternative economiche e di valutazioni di economia ambientale e di impatto dell’industria estrattiva sugli ecosistemi, che segnalo nelle successive osservazioni.
Ho analizzato gli elaborati cartografici della varie sezioni per la Valdera e il Monte Pisano e ho constatato favorevolmente che le indicazioni di molti comuni (Vecchiano, Palaia, Chianni e altri) nel senso della tutela del paesaggio e delle superfici boscate sono state interamente recepite; resta qualche aspetto critico in Valdicecina (Pomarance) per la presenza di aree importanti, su cui dovremo vigilare nelle fasi successive.
In tutta la Regione sono ben evidenziati e rispettati i vincoli delle Aree Protette, Natura 2000 e altri vincoli ambientali e paesaggistici.
Il principale punto debole del PRC sembra essere, ancora una volta, l’area Apuo-Versiliese.
La governance prevista dal PRC ha indubbiamente diversi caratteri di discontinuità con il passato, evidenziati nella relazione generale di Piano, tuttavia questo avviene con maglie estremamente larghe, in particolare nella stima dei fabbisogni e degli obiettivi di produzione per comprensorio: guidano principalmente criteri economici (anche a causa delle previsioni dell’art. 7 della LR 35/2015 dove la sostenibilità ambientale purtroppo rimane sullo sfondo e costituisce un criterio subordinato agli aspetti economici di sfruttamento della risorsa) in continuità con il passato e senza avvertire il rischio che l’economia del marmo possa subire contraccolpi rapidi e pesanti dalla concorrenza internazionale, se non si creano condizioni per altri tipi di economia.
Non c’è neanche fra gli obiettivi, l’intenzione, almeno per le aree di maggior importanza ambientale che sono quelle comprese nel Parco delle Apuane, di avviare una riconversione dell’economia estrattiva e favorire altri tipi di economia, almeno laddove ci sono le condizioni (che non sono neanche indagate nei diversi territori).
In pratica il PRC rinvia di altri 20 anni l’avvio di una riconversione ecologica del settore. Ed è una conclusione che non possiamo in alcun modo accettare.
A – Osservazioni su aspetti strutturali del Piano comuni a più documenti
Osservazione A.1
L’insostenibile calcolo dei fabbisogni nell’area Apuo-Versiliese
È emblematico in questo senso il calcolo dei fabbisogni, contenuto nei documenti PR01 e PR14 (pag. 21) e ripreso dal PR02 – disciplina di Piano. Il calcolo è stato effettuato sulla base dei volumi estratti negli ultimi 4 anni applicando un tasso di crescita calcolato su base econometrica e stime delle esportazioni e considerando una resa del 25-30% su tutta l’area. Si considerano quindi sostenibili, per i prossimi 20 anni, altri 47.000.000 di metri cubi di estrazioni per pietre ornamentali.
Un approccio che applica una media che non tiene conto della situazione specifica delle singole cave (si vedano le considerazioni del documento di Legambiente Carrara relativamente al rapporto IRTA sulla inopportunità di applicare parametri uguali per tutte le situazioni), e che dà per scontato che l’economia estrattiva debba continuare a svuotare le montagne ai ritmi attuali, anzi applicando un tasso di crescita, ignorando i limiti fisici della risorsa.
Nessun accenno alla considerazione dei costi ambientali della erosione di habitat in un hot spot di biodiversità di importanza (almeno) europea, nessuna considerazione sui servizi ecosistemici cui si rinuncerà per l’ampliamento delle attività di cava, né sul diminuito valore (anche economico) degli habitat stessi.
Infine: mentre è da considerare positivo l’approccio complessivo del Piano che cerca di limitare il consumo di suolo, confinando le attività all’interno dei Bacini, difficilmente, se si postula un’attività estrattiva tendenzialmente senza fine, si riuscirà nel tempo a “difendere” tali confini, nonostante sfruttamenti in galleria e/o in profondità, perché senza prevedere una progressiva dismissione di almeno alcune delle attività, dato che la risorsa non si rigenera in alcun modo, la pressione per estendere le superfici da scavare non si fermerà.
Proposta: prevedere limitazioni rispetto al passato dei volumi estratti, applicando le metodologie e le proposte contenute nel documento di Legambiente Carrara sul rapporto IRTA.
Osservazione A.2
Necessità d’incrementare la non individuazione dei giacimenti
nelle aree di risorsa nell’area Apuo-Versiliese
Il numero di aree di non individuazione dei giacimenti per il territorio Apuo-Versiliese è inferiore a quello di altre parti della Toscana; in sostanza viene confermata la gran parte dei giacimenti esistenti, tranne rare eccezioni.
Proposta: una verifica puntuale della percentuale di materiale di scarto effettuata per singola cava, dovrebbe portare a non consentire l’estensione delle coltivazioni nelle cave che presentano percentuali di scarto superiori a una soglia predeterminata (80%?) e, se questa fosse la caratteristica comune a tutte le cave di un intero giacimento, questo dovrebbe portare a non confermare l’intero giacimento.
B – Osservazioni relative al documento “Iter del PRC”
Osservazione B.1:
incompletezza del quadro conoscitivo riguardo alle
attività economiche alternative all’industria estrattiva
Nell’iter del PRC, la documentazione è stata arricchita da tutta una serie di studi specifici importanti, che hanno definito un quadro conoscitivo articolato.
Tuttavia, nessuno studio né ipotesi progettuale è stata sviluppata su economie alternative all’economia estrattiva, da sviluppare almeno per l’area del Parco, né ci sono studi sull’impatto dell’industria estrattiva sull’economia turistica nelle sue varie articolazioni che comprendono il turismo escursionistico e il turismo verde in genere.
Non si è tenuto conto delle specificità di alcune aree in cui una economia legata ai valori del territorio già esiste ed è in conflitto con le attività estrattive, come in alcune valli dell’Alta Versilia.
Questi temi non hanno avuto peso adeguato nell’analisi multicriteriale, limitata ai soli aspetti dell’economia estrattiva.
Proposta: integrare il Quadro conoscitivo con le considerazioni sopra descritte.
Osservazione B.2:
incompletezza del quadro conoscitivo riguardo all’ecosystem valuation
Nell’individuazione dei Comprensori e dei relativo fabbisogni e Obiettivi di Produzione Sostenibile (OPS), non si è tenuto conto del bilancio ambientale complessivo dell’attività estrattiva rispetto al diminuito valore (anche economico) degli ecosistemi e dei correlati servizi ecosistemici, e dell’impronta ecologica delle attività stesse, applicando così una accezione molto parziale di sostenibilità, relativa solo al valore aggiunto prodotto dall’industria estrattiva ma non ai costi ambientali e agli impatti sui preziosi e irripetibili ecosistemi delle Apuane.
La sostenibilità considerata nel PRC fa riferimento solo a variabili economiche classiche e non viene applicato nessun approccio moderno di economia ambientale né appare adeguatamente considerata l’unicità dell’ambiente Apuo-Versiliese, hot spot di biodiversità all’incrocio di tre regioni biogeografiche (mediterranea, appenninica e ligure-provenzale), che presenta una ricchezza di specie elevata ma assai vulnerabile rispetto all’estensione e intensità delle attività estrattive presenti.
La mancanza di una valutazione degli ecosistemi e dei loro servizi, rende incompleta anche la parte del Piano relativa alla valutazione delle criticità ambientali del settore estrattivo.
Proposta: integrare il Quadro conoscitivo con le considerazioni sopra descritte, soprattutto in virtù di un approccio scientifico realmente multidisciplinare e non asservito al mero calcolo economico.
Osservazione B.3:
incompletezza del quadro conoscitivo riguardo alla aree contigue di cava
Pur condividendo il rinvio all’attività del Parco per la definizione delle aree contigue di cava, riteniamo necessario integrare il quadro conoscitivo almeno con indicazioni di minima e di massima delle aree previste, in mancanza delle quali risulta impossibile una valutazione dell’estensione complessiva delle attività estrattive e del relativo impatto.
Osservazione B.4:
subordinazione della promozione del
patrimonio territoriale all’industria estrattiva
Condividiamo i principi fondativi del modello toscano su cui si basano il PIT e il PRS, riepilogati a pag. 28 del documento “Iter del PRC”, tuttavia riteniamo che nell’area Apuo-Versiliese, la promozione del patrimonio territoriale sia fortemente subordinata alle esigenze produttive dell’industria estrattiva, che condiziona il territorio circostante ben oltre le superfici delle cave e dei bacini estrattivi.
La maggiore estensione di attività estrattive della Regione si trova in uno dei più significativi hot spot di biodiversità d’Europa e il PRC non risolve questa contraddizione né pone le basi per una inversione di tendenza.
Osservazione B.5:
positiva considerazione del percorso partecipativo,
da prendere a modello per gli atti di pianificazione successivi
Apprezziamo la modalità inclusiva e coerente con cui si è svolto il percorso partecipativo fino dalle prime fasi della redazione del Piano. Auspichiamo che questo modello e questo modus operandi informino tutti i successivi passaggi pianificatori sia della Regione che dei comuni, perché non si ripeta quanto avvenuto nei PABE di alcuni comuni, ad es. Minucciano e Vagli di Sotto, che hanno ignorato le associazioni ambientaliste quali destinatari delle comunicazioni di avvio di procedimento, rendendo molto difficile esercitare il ruolo di stakeholders.
Documenti esaminati nel dettaglio:
1. Illustrazione dell’iter del PRC
2. Relazione del Responsabile del Procedimento del PRC
3. Studio dell’IRTA sul distretto di Carrara.
4. PR01 – RELAZIONE GENERALE DI PIANO
5. PR14 – LA COSTRUZIONE DI SCENARI SULLE QUANTITA’ DI ESTRAZIONE IN TOSCANA
6. RAPPORTO DEL GARANTE DELLA PARTECIPAZIONE.
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2. Documento sul distretto apuano e,
in particolare, su quello di Carrara
a cura di Giuseppe Sansoni, Legambiente Carrara
1. Premessa
Legambiente esprime apprezzamenti per la struttura del PRC e il processo logico seguito per la sua stesura, che appaiono razionali e largamente condivisibili. Infatti:
- individua, come pilastri fondanti, gli obiettivi dell’approvvigionamento sostenibile e della tutela delle risorse minerarie, la sostenibilità ambientale, paesaggistica e territoriale e la sostenibilità economica e sociale;
- elabora la stima dei fabbisogni dei vari materiali, individua i giacimenti, i comprensori estrattivi (con i relativi obiettivi di produzione sostenibile) e definisce i criteri rivolti ai comuni per la localizzazione delle aree a destinazione estrattiva;
- prevede la massima valorizzazione della risorsa lapidea, individuando i quantitativi minimi da destinarsi esclusivamente alla trasformazione in blocchi (rese), riducendo i materiali di scarto e promuovendo le filiere produttive locali, al fine di incrementare il valore aggiunto e la sostenibilità sociale (occupazione);
- fornisce indirizzi e misure di mitigazione per le criticità ambientali e per la tutela della biodiversità;
- poggia su un quadro conoscitivo imponente e di elevato valore scientifico.
Legambiente tuttavia, oltre a una serie di carenze, individua scelte operative che, nel concreto, sono troppo timide, poco coerenti con gli obiettivi dichiarati o, addirittura, contrastanti con essi. Le presenti osservazioni, particolarmente orientate alle cave di materiali ornamentali, sono finalizzate a segnalare questi limiti e a proporre adeguate correzioni e integrazioni.
2. Sostenibilità sociale (occupazione):
non servono premialità, ma un forte approccio regolatorio
Dato l’elevato impatto ambientale dell’escavazione, la sua sostenibilità sociale richiede la massima distribuzione sociale della ricchezza prodotta, in gran parte traducibile nell’aumento dell’occupazione. Considerato che la fase di lavorazione dei materiali estratti impiega circa i due terzi degli addetti nel comparto marmifero strettamente inteso (estrazione, lavorazione, produzione di macchinari) e che a questi vanno aggiunti gli addetti nell’indotto (trasporti, commercio, servizi ecc.), è evidente che la lavorazione (lo sviluppo delle filiere locali) deve essere un obiettivo strategico da perseguire con la massima determinazione.
Su questo obiettivo le misure del PRC, accettando passivamente l’andamento del mercato lapideo (come indicato nella Nota metodologica del PR14-Scenari sulle quantità di estrazione) senza adottare misure per modificarlo, contrastano con gli obiettivi dichiarati.
In particolare, nella stima del fabbisogno del marmo, il PRC assume gli attuali livelli di export (blocchi compresi) come un dato di fatto, da riproporre sostanzialmente inalterato per il prossimo ventennio: si tratta di una scelta contrastante con l’obiettivo dichiarato dello sviluppo delle filiere locali (poiché questo richiede necessariamente la riduzione dell’export dei blocchi).
È infatti evidente che ogni blocco grezzo esportato produrrà all’estero la massima parte del valore aggiunto e dell’occupazione, lasciando in loco tutto l’impatto ambientale, solo una frazione minore della ricchezza (oltretutto concentrata nelle mani di pochi) e un’occupazione decrescente (dato l’aumento della produttività per addetto consentita dai macchinari impiegati). È quindi necessario che il PRC si ponga espressamente l’obiettivo di ridurre l’export di blocchi (tendenzialmente a zero) e adotti perciò misure forti e coerenti per conseguirlo (attraverso uno sviluppo poderoso delle filiere locali).
Alla luce di queste considerazioni risultano evidenti la debolezza e la contraddittorietà delle misure previste per attivare e consolidare le filiere produttive, vagamente demandate dal PRC alla possibilità, per la regione, di individuare negli atti di programmazione le priorità e le premialità, predisponendo appositi bandi. Ciò contrasta in modo veramente deludente con l’enfasi posta sull’importanza dello sviluppo delle filiere locali, peraltro sostenuta unanimemente da sindacati, forze politiche, associazioni e larghi strati di popolazione.
Con questa impostazione basata su premialità, la regione rinuncia di fatto ad esercitare pienamente il proprio potere regolatorio e demanda il reale sviluppo delle filiere alla eventuale convenienza dei singoli imprenditori.
Si tratta di una scelta analoga a quella adottata nella LR 35/15 (art. 38) in cui, alle cave che si impegnano a lavorare in filiera locale almeno il 50% dei blocchi, si concede la proroga dell’autorizzazione (senza gara pubblica) fino a 25 anni, assecondando in tal modo la rendita di posizione delle imprese attuali, a scapito delle migliori condizioni ottenibili con la gara.
A nostro parere, per il conseguimento di un rapido e consistente incremento della filiera e dell’occupazione, il PRC non può prescindere da un forte approccio regolatorio (auspicabilmente accompagnato da sinergiche modifiche alla LR 35/15) basato sull’adozione delle seguenti misure:
- bandire al più presto le gare per il rilascio delle concessioni (eliminando le proroghe previste dall’art. 38 della LR 35/15);
- inserire, come requisito di partecipazione alla gara, l’impegno a lavorare in filiera corta almeno il 50% dei blocchi, incrementando il punteggio di gara per chi si impegni a lavorare percentuali maggiori;
- concessioni di breve durata (10 anni), per favorire l’ingresso di imprenditori che offrano condizioni migliori alla comunità carrarese. La richiesta di concessioni di lunga durata avanzata dagli imprenditori attuali, motivata con la necessità di ammortizzare gli investimenti, è infatti pretestuosa (dettata dal tentativo di mantenere la loro rendita di posizione), visto che la legge regionale prevede già che il concessionario subentrante rimborsi a quello uscente il valore residuo dei macchinari e degli investimenti non ammortizzati;
- introdurre la “clausola sociale” (l’obbligo del concessionario entrante ad assumere i lavoratori di quello uscente).
Si fa notare che la gara e la breve durata delle concessioni, favorendo l’ingresso di imprenditori che offrono condizioni migliori e garantendo la continuità dell’occupazione, sarebbero anche strumenti formidabili di rafforzamento sindacale, poiché l’eventuale ricatto occupazionale si ribalterebbe sugli imprenditori stessi (sarebbero cioè loro ad andarsene, mentre i lavoratori sarebbero assunti dal concessionario subentrante).
Si chiede pertanto di sostituire nel PRC l’attuale il timido approccio premiale con uno fortemente regolatorio, prevedendo misure efficaci o, almeno, la facoltà dei comuni di adottare, nel regolamento degli agri marmiferi, le misure sopra proposte.
Al proposito, merita precisare che l’efficienza economica che interessa veramente è quella del sistema territoriale, non quella dell’imprenditore di cava (per quest’ultimo, infatti, vendere i blocchi all’estero o alla filiera locale è indifferente).
3. Fabbisogni e obiettivi di produzione sostenibile: incongruenze
L’esame dei dati di produzione riportati nei documenti QC04-QC09E (obblighi informativi) e la comprensione del loro rapporto con la stima dei fabbisogni (contenuti nei documenti PR02 e PR14) risulta veramente faticoso (forse a causa di diverse aggregazioni di territori e di categorie dei materiali) e lascia molto disorientati.
Il documento PR14 (La costruzione di scenari sulle quantità di estrazione in Toscana), infatti, riporta, nella nota metodologica, che per i marmi del comprensorio Apuano, è stata presa come riferimento la produzione nel periodo 2013-2016 e ne è stato assunto un andamento costante per tutto il periodo di riferimento del PRC: ne risulta un fabbisogno di 41.561.650 m3 (in 20 anni).
Se tale è il fabbisogno, non si comprende perché nella Tab. 4 dell’allegato A alla Disciplina di piano (riassunta nelle righe seguenti) risulti per l’area Apuo-Versiliese un obiettivo di produzione sostenibile di 65.196.279 m3 (in 20 anni), cioè superiore del 57% al fabbisogno.
Carrara | Casola | Fivizzano | Massa | Minuc- ciano | Monti- gnoso | Pietra- santa | Sera- vezza | Stazzema | Vagli Sotto | m3 totali |
33.892.338 | 60.000 | 19.588.488 | 4.580.421 | 2.117.691 | 60.000 | 60.000 | 1.680.789 | 1.315.528 | 1.841.024 | 65.196.279 |
Nell’allegato A alla Disciplina di piano, peraltro, si riportano (nella Tab. 1) un fabbisogno di 47.696.793 m3 di materiali ornamentali per l’area apuana e un obiettivo di produzione sostenibile di 65.196.279 m3 (Tab. 4), superiore del 37% al fabbisogno.
Per verificare l’attendibilità di questi dati inaspettati, abbiamo utilizzato i volumi estratti nel quadriennio 2013-2016 nell’area Apuo-Versiliese (riportati nel Quadro Conoscitivo 05C): 1.671.462 m3/anno. Assumendone la costanza nel tempo (come indicato nel Quadro Programmatico 14), il fabbisogno nei 20 anni di durata del PRC risulta di 33.429.240 m3. Anche in questo caso, dunque, l’obiettivo di produzione ‘sostenibile’ (65.196.279 m3) sarebbe superiore al fabbisogno (stavolta di di ben il 95%: quasi il doppio).
Abbiamo eseguito infine un’ultima verifica partendo dai volumi estratti nel solo comune di Carrara nel quadriennio 2013-2016, tratti dal QC05C (e congruenti con quelli in possesso di Legambiente, forniti dal comune di Carrara): 1.328.163 m3/anno, cui corrisponde un fabbisogno di 26.563.255 m3 in 20 anni. In questo caso l’obiettivo di produzione sostenibile per il comune di Carrara (33.892.338 m3) riportato nell’allegato A alla Disciplina di piano (Tab. 1), supera del 28% il fabbisogno.
I valori così diversi del rapporto tra Obiettivi di Produzione Sostenibile e Fabbisogni ci lasciano francamente frastornati anche perché, per il marmo apuano, come dichiarato nella nota metodologica del PR14, è stato assunto un fabbisogno invariato rispetto all’attuale (dunque per il marmo apuano, gli obiettivi di produzione sostenibile dovrebbero corrispondere al fabbisogno 2013-2016). Non riusciamo pertanto a comprendere perché gli obiettivi di produzione siano sistematicamente ben superiori ai fabbisogni. Il fatto che lo siano, comunque, fa pensare che il PRC si proponga deliberatamente e in maniera aprioristica un rilevante incremento dell’estrazione del marmo.
È veramente sorprendente, quanto deprecabile, che una scelta di tale portata non sia stata esplicitata con la massima chiarezza, né nella Relazione generale, né nella Disciplina di piano, né nella documentazione, pur enciclopedica, del PRC. Ne dobbiamo pertanto concludere che, a meno di nostri errori di comprensione, il PRC abbia intenzionalmente occultato, evitando di darne esplicite e adeguate motivazioni, la scelta di accentuare l’escavazione del marmo nell’intera area apuana.
L’incremento dell’estrazione del marmo apuano, sia esso intenzionale o no, è comunque in stridente contrasto con gli obiettivi generali del piano: approvvigionamento sostenibile e tutela delle risorse minerarie e sostenibilità ambientale, paesaggistica e territoriale.
In ogni caso, un limite di fondo del PRC ci sembra quello di aver supinamente accettato l’andamento del mercato come una cornice ‘invariante’ entro la quale restringere la pianificazione, senza porsi l’obiettivo strategico di scardinare quella gabbia attraverso una drastica riduzione delle esportazioni di blocchi e l’adozione di misure veramente efficaci per conseguire uno sviluppo poderoso della lavorazione lapidea nelle filiere locali.
Ci preme far osservare che l’accoglimento delle nostre proposte presentate nel paragrafo precedente (2. Sostenibilità sociale) consentirebbe di conseguire, assieme a un rilevante incremento dell’occupazione e del valore aggiunto, anche una riduzione dei fabbisogni e degli obiettivi di produzione sostenibile e, di conseguenza, dell’impatto ambientale, paesaggistico e sociale. Su questi punti d’importanza strategica chiediamo pertanto una profonda revisione del PRC.
4. Individuazione dei giacimenti:
viziata dalla scelta di mantenere le cave incompatibili
L’individuazione dei giacimenti è fondata su un’imponente quadro conoscitivo di pregevole livello scientifico e sull’analisi multicriteriale che, verificando la sussistenza di criteri escludenti e condizionanti, conduce a includere o escludere tra i giacimenti ciascuna area di risorsa.
Si tratta di un procedimento logico razionale del tutto condivisibile, ma profondamente inficiato dalla scelta politica di mantenere le cave esistenti, anche quando –in assenza di tale scelta– i criteri escludenti e condizionanti avrebbero portato alla loro esclusione dal giacimento. Il PRC conferma pertanto come risorse da sfruttare anche cave inserite in un contesto di per sé incompatibile (come fossero sostanzialmente ‘invarianti’). Riportiamo, a titolo d’esempio, il caso della cava Fossa Combratta (Carrara: codice risorsa 090450030120), illustrato nella Fig. 1.
Se la cava non fosse già esistente, la sua apertura non sarebbe consentita, a causa del criterio escludente E1 (vegetazione) e del criterio condizionante forte CF1 con livello di alta criticità (come riportato nel PR06A: Tav. 1a della risorsa 090450030120, file 09045003_09045010-0230). Questi motivi hanno giustamente indotto il PRC (nel documento PR06E, pag. 2, risorsa 090450030120) alla NON individuazione del giacimento nell’area di risorsa. Tuttavia, essendo la cava esistente e risultando area estrattiva nell’apposita scheda del documento QC01F (Aree Risorsa), il PRC ne ammette la prosecuzione dell’attività (nel giacimento 090450030120bis, cioè ristretto all’area interessata dalla cava). Pertanto, salvo diversa scelta del PABE, la cava si estenderà nel tempo all’area boscata circostante o proseguirà comunque a produrre danno ambientale.
A nostro parere il procedimento logico del PRC, preso atto della sussistenza del criterio escludente E1 (vegetazione) e del criterio condizionante forte CF1 che impongono l’esclusione del giacimento dalle aree di risorsa, avrebbe dovuto ammettere la prosecuzione dell’attività (nella ristretta area 090450030120bis) solo fino alla scadenza dell’autorizzazione, escludendo poi ogni attività estrattiva nel giacimento.
Il PRC, infatti, essendo demandato dalla LR 35/15 a ricercare una più chiara compatibilità tra attività estrattiva e tutela dell’ambiente e del territorio, non può limitarsi ad assicurare la compatibilità delle nuove attività estrattive, ma deve rimuovere anche le incompatibilità esistenti. Si chiede pertanto un riesame dei giacimenti e delle aree di risorsa che si trovano in situazioni analoghe a quella qui esemplificata e l’introduzione di una norma che dismetta queste cave alla scadenza dell’attuale autorizzazione.
L’estrema importanza di questa norma non può certo sfuggire, sia per l’area esterna al Parco, sia, soprattutto, per il valore di indirizzo –pur non cogente– che avrebbe anche per le cave intercluse nel Parco delle Apuane (la cui pianificazione non è competenza del PRC, ma del Parco). È, infatti, auspicabile che un tale atto di indirizzo possa indurre il Parco a prendere atto dell’incompatibilità delle cave in esso intercluse e ad adottare programmi per la loro progressiva dismissione, accompagnati dalla promozione di attività alternative che forniscano occasioni di occupazione coerenti con la missione fondamentale del Parco stesso e con gli obiettivi dichiarati del PRC.
5. Individuazione dei Giacimenti: tener conto del grado di fratturazione
Per l’individuazione dei giacimenti all’interno delle aree di risorsa il PRC ricorre all’analisi multicriteriale, utilizzando come screening i criteri escludenti (vincoli di legge e di piani sovraordinati) e condizionanti (aree contigue, ZPS, geotopi, SIR, patrimonio speleologico, zone rispetto acque superficiali e sotterranee, siti UNESCO, sistemi carsici ipogei, ecosistemi forestali, beni paesaggistici, ecc.).
Riteniamo utile, per i materiali ornamentali, introdurre anche il criterio del grado di fratturazione della risorsa. È vero che questo aspetto è indirettamente considerato nelle prescrizioni per la valorizzazione della risorsa lapidea (art. 13: Quantitativi minimi da destinarsi alla trasformazione in blocchi), ma vi sono casi in cui è già ben noto che la resa in blocchi è talmente bassa da suggerire l’esclusione dell’intero giacimento dalle aree di risorsa, direttamente nel PRC. È il caso, ad esempio, dell’area di Ravaccione (15a, Bacino di Torano, Carrara) esposto nella Fig. 2 e nella Tab. 1.
Tab. 1. Resa in blocchi (% del materiale escavato) delle cave dell’alto bacino di Torano nel periodo 2005-2017. Fonte: Comune di Carrara (pesa comunale).
Cava | 2005 | 2006 | 2007 | 2008 | 2009 | 2010 | 2011 | 2012 | 2013 | 2014 | 2015 | 2016 | 2017 | Media Blocchi % |
Media Detriti % |
Canalbianco | 4,7 | 4,6 | 6,1 | 7,4 | 11,2 | 9,720 | 7,9 | 20,8 | 8,8 | 12,3 | 6,7 | 16,2 | 13,8 | 9,0 | 91,0 |
Rutola | 10,8 | 3,7 | 1,9 | 1,2 | 0,1 | 0,2 | 1,5 | 4,2 | 10,3 | 7,7 | 42,4* | 94,8* | 9,2 | 3,6 | 96,4 |
Amministrazione | 9,7 | 10,3 | 7,9 | 9,3 | 8,8 | 9,7 | 10,7 | 10,0 | 5,6 | 7,0 | 8,3 | 8,4 | 8,5 | 8,7 | 91,3 |
Tecchione | 11,7 | 6,7 | 6,7 | 9,3 | 9,4 | 15,6 | 10,5 | 10,4 | 12,0 | 11,3 | 12,3 | 20,0 | 19,7 | 11,4 | 88,6 |
Polvaccio | 9,6 | 10,9 | 14,8 | 15,1 | 11,5 | 9,6 | 8,1 | 7,1 | 6,2 | 3,9 | 11,1 | 4,7 | 4,4 | 9,3 | 91,7 |
Collestretto | 0,9 | 1,7 | 0,0 | 4,8 | 0,0 | 0,2 | 0,5 | 1,8 | 0 | 3,9 | 0,5 | 28,1 | 19,5 | 5,6 | 94,4 |
* queste anomale rese in blocchi sono solo apparenti, verosimilmente dovute all’abbandono (abusivo) di detriti al monte.
È del tutto evidente che le cave di questo sottobacino, producendo rese in blocchi estremamente basse e percentuali molto elevate di detriti (88,6%-96,4%), insistono su un substrato di marmo molto fratturato, inidoneo alla coltivazione dei materiali ornamentali. Sono cioè sostanzialmente cave di scaglie, che approvvigionano il vicino impianto dell’Omya, la multinazionale del carbonato di calcio (con la quale, peraltro, hanno cointeressenze proprietarie e/o contratti esclusivi di fornitura).
Pertanto, individuare questa area di risorsa come giacimento destinato alle attività estrattive contrasta in modo stridente con gli obiettivi dichiarati di evitare usi impropri delle risorse minerarie, non coerenti con la finalità di far fronte ai fabbisogni di materiali di cava (art. 3, comma 2, lett. d), garantire l’uso sostenibile della risorsa, valorizzare i materiali di cava e ridurre il materiale di scarto.
Tra l’altro, anche simbolicamente, è particolarmente scandaloso (e inficia la credibilità del PRC) che nel gruppo di cave che contrastano tali principi rientri proprio la cava più grande di tutte le Apuane per quantitativi escavati (cava Amministrazione: oltre 275.000 t/anno, di cui il 91,3% è rappresentato da detriti) (Fig. 3).
Si chiede pertanto di escludere dai giacimenti da destinare alle attività estrattive l’alto bacino di Torano (Ravaccione) sopra citato e di verificare l’eventuale esistenza di altre aree con caratteristiche analoghe.
In particolare, il Quadro programmatico 12 potrebbe essere arricchito con una carta delle rese in blocchi di ciascuna cava, basata sulla serie storica dei dati disponibili. Tali dati potrebbero essere utilizzati tra i criteri condizionanti nell’analisi multicriteriale per l’individuazione dei giacimenti.
6. Rese estrattive minime
Su questo punto il PRC era partito bene: coerentemente ai principi del piano (massima valorizzazione dei materiali ornamentali, riduzione del materiale di scarto, ricerca di compatibilità tra attività estrattiva e tutela dell’ambiente e del territorio, gestione efficiente e sostenibile della risorsa, riduzione del consumo della risorsa mineraria di nuova estrazione), infatti, aveva prescritto (art. 13) che le nuove autorizzazioni per le cave di marmo apuo-versiliesi sono consentite solo per rese in blocchi non inferiori al 30% (un requisito più esigente del 25% previsto in precedenza dal PRAER).
In seguito, però, su pressione dei comuni, ha fatto marcia indietro creando un testo intrinsecamente contraddittorio e contrario ai principi fondamentali dichiarati.
Che senso ha, infatti, prevedere che il piano operativo prescrive per le nuove autorizzazioni una resa non inferiore al 30% (art. 13, comma 2), se poi il comune, attraverso i PABE, può fissare rese comprese tra il 25 e il 30% (art. 13, comma 3)? Se questa è la volontà della Regione, sarebbe stato più serio e decoroso mantenere le previsioni del PRAER: è infatti particolarmente irritante veder proclamare la volontà di esigere una resa più elevata e poi rimangiarsela al comma successivo.
Ma il vero capolavoro di incoerenza sta nel premiare i progetti tesi all’incremento dell’occupazione (art. 13, comma 4) concedendo un’ulteriore riduzione della resa (al 20%). Un comportamento virtuoso (l’incremento dell’occupazione), infatti, può essere premiato in tanti modi (ad es. prorogando la durata dell’autorizzazione, concedendo un volume estraibile maggiore ecc.), ma certamente non consentendo un’escavazione più distruttiva, in plateale contrasto con i principi fondamentali di piano dichiarati! Chiediamo pertanto con estrema fermezza di eliminare le previsioni del comma 4.
Chiediamo inoltre di rivedere l’intero testo del PRC, rendendolo internamente coerente: se si introducono misure contrastanti con i principi fondamentali (es. comma 3 e 4), si abbia almeno l’onestà di rivedere anche i principi e gli obiettivi dichiarati (nella Relazione di piano e nella Disciplina di piano), adeguandoli all’effettiva portata delle norme. Riteniamo infatti intollerabile e offensiva nei riguardi dell’intelligenza dei cittadini l’ipocrisia di proclamare principi pienamente condivisibili, violandoli poi nel concreto delle norme.
7. Proprietà pubblica del marmo derivante da lavori di messa in sicurezza
Il comma 7 dell’art. 13 prevede che, per i lavori di messa in sicurezza prescritti dalle ASL, le volumetrie abbattute o escavate non concorrano né alla percentuale di resa né agli obiettivi di produzione sostenibile. Chiediamo che il comma sia completato, precisando che i materiali estratti in tali lavori sono di proprietà pubblica.
Lo scopo di tale precisazione è evitare il ricorso a progetti faraonici di escavazione mascherati da progetti di messa in sicurezza. Non si tratta, infatti, di un caso ipotetico: la cava Fossa Combratta (con una autorizzazione estrattiva per soli 1.370 m3), per rimuovere un ammasso roccioso instabile di soli 400 m3, ha recentemente presentato come messa in sicurezza il progetto di una vera e propria cava (con tanto di ripresa dall’alto e gradoni discendenti) che prevedeva l’estrazione di ben 56.000 m3! Il progetto è stato poi faticosamente respinto (purtroppo con una prolungata spaccatura protrattasi per diverse conferenze dei servizi), ma si tratta di un campanello d’allarme che non può essere ignorato. La proprietà pubblica del materiale estratto eliminerebbe sul nascere il ricorso a espedienti fraudolenti o interessati.
8. Risistemazione ambientale delle cave
Il PRC presta particolare attenzione alla risistemazione ambientale e al corretto inserimento paesaggistico delle cave (al termine dell’attività estrattiva o per fasi successive), finalizzati a riconsegnare un paesaggio in cui i segni dell’attività antropica siano in equilibrio sia con le identità culturali che con i valori naturali dei luoghi.
Pur condividendo in pieno tale finalità, teniamo a sottolineare i rischi che deriverebbero dall’adottare, per le cave di marmo, criteri analoghi a quelli appropriati per le cave di materiali per usi industriali e per costruzioni (rimodellamenti, riempimenti, rivegetazione ecc.).
Basta pensare all’attrattiva turistica delle cave di marmo per comprendere che, nel caso delle cave di marmo, mascherare con riempimenti e rivegetazione i segni lasciati dall’attività estrattiva (tecchie, gradoni, piazzali, gallerie, cave a fossa ecc.) significherebbe cancellare proprio gli elementi che caratterizzano l’identità culturale dei luoghi.
Per le cave di marmo, pertanto, la risistemazione ambientale deve limitarsi alla rimozione dei rifiuti e dei detriti e agli interventi di messa in sicurezza necessari a permettere il libero accesso ai visitatori.
Pertanto, per evitare interpretazioni del ripristino ambientale che produrrebbero un grave danno paesaggistico, è bene che il PRC faccia cenno a queste considerazioni ed, anzi, prescriva espressamente il divieto di cancellare i segni identitari del genius loci del paesaggio marmifero, onde evitare che il paesaggio spettacolare delle cave si riduca a un paesaggio degradato di discariche (Fig. 4).
Le indicazioni di questo paragrafo valgono, naturalmente, sia per la risistemazione delle cave al termine della loro attività, sia per quella delle cave dismesse.
9. Risistemazione ambientale dei ravaneti
Gli interventi sui ravaneti sono disciplinati dall’art. 23 (comma 3, lett. d) che demanda ai comuni, nell’ambito dell’adeguamento al POC, l’individuazione delle modalità di intervento finalizzato al loro recupero ambientale. Per i bacini marmiferi delle Apuane si demanda ai PABE l’individuazione dei casi in cui è consentita l’asportazione dei ravaneti (art. 25, comma 3). Riteniamo opportuno che, nel demandare ai comuni queste scelte, il PRC indichi alcuni indirizzi.
Va infatti considerato che i ravaneti esercitano effetti ambientali contrastanti. L’effetto positivo consiste nella riduzione del rischio alluvionale poiché i ravaneti, assorbendo le acque meteoriche e rilasciandole lentamente e con notevole ritardo, allungano i tempi di corrivazione e attenuano i picchi di piena.
I ravaneti esercitano però anche effetti negativi:
- aumento del rischio alluvionale per l’eccesso di apporti solidi agli alvei (graduale o massivo, in occasione di colate detritiche –favorite dal contenuto in materiali fini– conseguenti a precipitazioni intense) che ne riducono l’officiosità idraulica;
- inquinamento delle acque superficiali e sotterranee, per il loro rilevante contenuto in materiali fini (marmettola e terre), facilmente dilavabili dalle acque;
- degrado paesaggistico.
Le modalità di recupero ambientale e funzionale più adeguate variano pertanto secondo il contesto in cui sono inseriti. Nelle aree contigue o intercluse nel Parco, non essendovi grosse concentrazioni di cave, gli effetti sul rischio alluvionale non sono rilevanti; ciò considerato –e tenuto conto delle preminenti finalità di tutela ambientale e paesaggistica– il miglior recupero consiste nella completa rimozione dei ravaneti, prestando particolare cura all’allontanamento di marmettola e terre.
Nel bacino estrattivo di Carrara, invece, considerata la grande estensione e i notevoli spessori dei ravaneti, l’effetto idrologico esplicato è molto rilevante. Occorre pertanto sfruttarne la capacità di ridurre il rischio alluvionale, eliminando però gli effetti negativi. Ciò è possibile attuando la proposta di Legambiente di realizzare i ‘ravaneti spugna’: rimozione totale del ravaneto, allontanamento completo dei materiali fini, ricostruzione del ravaneto con sole scaglie pulite e stabilizzazione tale da sopportare anche le precipitazioni più intense (si veda, ad es.: Incontro Legambiente-Sindaco su cave e rischio alluvionale, 20/7/17).
Adottando per la stabilizzazione accorgimenti costruttivi adeguati (es. muri a secco e/o bastioni di contenimento in blocchi) si otterrebbe anche un recupero paesaggistico di particolare pregio. Si proporrebbe, infatti, ai visitatori una nuova immagine dello ‘spirito del luogo’ (genius loci), che comunicherebbe l’estrazione del marmo come opera titanica dell’uomo e, al tempo stesso, lo spirito artistico posto in ogni uso del marmo (detriti compresi). L’intento è il superamento dell’immagine di un genius loci rozzo e devastatore trasmessa dal degrado che caratterizza i ravaneti attuali (che non migliora certo l’attrattiva turistica).
Riteniamo pertanto opportuno che il PRC, laddove tratta gli interventi sui ravaneti, accenni alle diverse modalità d’azione adeguate al loro contesto ambientale e suggerisca, laddove pertinente, l’opportunità di conseguire contestualmente un recupero paesaggistico qualificato, la protezione delle acque superficiali e sotterranee, la riduzione del rischio alluvionale.
10. Tutela delle acque dall’inquinamento (marmettola)
Non sarà sfuggito al lettore attento che la ‘grande opera’ appena citata (la realizzazione dei ravaneti spugna, particolarmente importante per Carrara e, in minor misura, anche per Massa) sarebbe ben presto vanificata se non si adottassero misure efficaci a impedire nuovi apporti di marmettola e terre ai ravaneti.
In tal senso, l’art. 25 (commi 8 e 9) del PRC prevede, per le cave apuane, che i PABE prescrivano che i piani di coltivazione dimostrino che sia impedito l’inquinamento delle acque superficiali e sotterranee, con particolare riferimento alla marmettola. Particolare attenzione ai problemi legati alla marmettola si ritrova anche nel documento PR15 (Indirizzi e misure di mitigazione per le criticità ambientali.
Condividiamo appieno la prescrizione citata che, peraltro, sarebbe già dovuta necessariamente discendere da una procedura di VIA rispettosa dei dettami di legge. Temiamo però che anche questa prescrizione possa essere interpretata in senso generico. L’intorbidamento dei corsi d’acqua apuani e delle sorgenti dopo ogni pioggia, infatti, è la prova lampante dell’assoluta inadeguatezza delle prescrizioni contenute nelle autorizzazioni (equivalenti perciò, di fatto, a ‘licenze ad inquinare’).
Per evitare che, ancora una volta, anche i principi sacrosanti vengano elusi nella pratica, chiediamo che la prescrizione sia esplicitata precisando l’obbligo ferreo di mantenere costantemente e scrupolosamente pulite tutte le superfici di cava (comprese rampe) e, soprattutto, prevedendo sanzioni fortemente dissuasive per ogni inadempienza (quindi non sanzioni economiche, ma sospensioni dell’autorizzazione fino a completo adempimento e, per le recidive, ritiro definitivo dell’autorizzazione).
Per quanto riguarda i ravaneti (compresi quelli di supporto alle vie d’arroccamento), va tenuto conto che, data la loro elevata permeabilità, assorbono grandi quantità di acque meteoriche che dilavano la marmettola e le terre in essi contenuti. La frazione di acque che riemerge dal piede del ravaneto può essere intercettata e trattata per la rimozione dei materiali fini, ma solo utilizzando vasche di gran lunga più capienti di quelle attuali.
La frazione di acque che penetra nelle fessure carsiche del substrato coperto dal ravaneto, tuttavia, non è intercettabile: non è quindi possibile, allo stato attuale, evitare l’inquinamento delle acque sotterranee da parte delle acque percolate nei ravaneti. È questa una ragione in più per accogliere la nostra proposta di riconversione dei ravaneti in ravaneti spugna (ripuliti dai materiali fini): ai vantaggi già citati si aggiungerebbe quello di un maggior rimpinguamento degli acquiferi carsici (con acque pulite!) che contribuirebbe alla riduzione delle crisi da scarsità idrica estiva.
Chiediamo pertanto che il PRC prospetti ai comuni (nell’ambito dell’adeguamento del piano operativo: art. 23, comma 3, lett. g) l’opportunità di accogliere questa soluzione per il recupero ambientale dei ravaneti di Carrara e di Massa. Si tratta di una misura particolarmente importante, visto che si sta assistendo a una radicale trasformazione dei ravaneti: sempre più poveri di scaglie (poiché allontanate per la produzione di granulati e di carbonato) e sempre più ricchi di terre, fino a diventarne la componente quasi esclusiva.
Chiediamo inoltre che il PRC specifichi l’obbligo ad allontanare dalla cava tutti i derivati (in particolare le terre), precisando tuttavia che è facoltà del comune stabilire caso per caso che, in tutto o in parte, i derivati restano di proprietà comunale e indicarne le eventuali modalità di collocazione, per realizzare interventi di pubblica utilità (ad es. i ravaneti spugna).
11. Monitoraggio delle produzioni
Il monitoraggio delle produzioni e, in particolare, delle rese in blocchi è un punto tanto importante quanto dolente: il requisito stabilito dal PRAER per il rilascio dell’autorizzazione all’escavazione (resa in blocchi non inferiore al 25% del materiale estratto) è stato infatti sistematicamente violato; a nulla è servito anche l’invio annuale alla Regione, da parte del Comune, della relazione attestante, per ogni cava, i quantitativi di ogni tipologia di materiale estratto.
Come abbiamo ripetutamente, quanto inutilmente, segnalato alla Regione, infatti, il 78% delle cave ha violato il PRAER senza che comune e regione battessero ciglio (si veda ad es. Cave apuane: un decennio di illegalità, 1/6/2016, da cui è tratta la Fig. 5). Alcune cave, addirittura, non hanno estratto nemmeno un blocco nel decennio 2005-2014, mentre altre hanno portato a valle solo blocchi (abbandonando i detriti al monte, in violazione delle prescrizioni dell’autorizzazione).
Da questa esperienza fallimentare discende la necessità di assicurarsi che il monitoraggio previsto dal PRC non si traduca in un analogo fallimento. Purtroppo le misure previste nel piano adottato non consentono alcun ottimismo.
Il PRC prevede (art. 14, commi 1 e 2) che il titolare dell’autorizzazione presenti annualmente al comune la relazione tecnica corredata dagli elaborati di rilievo del sito estrattivo, corredati dal rilievo tridimensionale in formato vettoriale interoperabile anche al fine di monitorare il raggiungimento della resa indicata nel progetto autorizzato.
Sebbene dagli elaborati di rilievo sia possibile calcolare la resa, il dato non viene richiesto. Chiediamo che la relazione tecnica contenga espressamente anche i quantitativi estratti nell’anno per ciascuna tipologia di materiale (come, peraltro, prevedeva il PRAER) e la resa in blocchi ottenuta.
Particolari preoccupazioni desta l’art. 14, comma 3, che assegna al comune il compito di verificare ogni 5 anni il raggiungimento delle rese; in caso di mancato raggiungimento, il comune richiederà gli accorgimenti per adeguare le produzioni entro l’anno successivo (comma 4) e, nel caso di nuovo mancato raggiungimento, il titolare dovrà presentare un progetto di variante finalizzata al ripristino per una durata non superiore a tre anni (comma 5).
Il dispositivo previsto per il monitoraggio delle rese è dunque palesemente (intenzionalmente?) inadeguato: anche una cava che violasse clamorosamente le rese fin dall’inizio, infatti, potrebbe contare comunque su nove anni di attività indisturbata.
Segnaliamo inoltre che il dispositivo è aggirabile in modo talmente facile da assicurare la prosecuzione della violazione per l’intera durata dell’autorizzazione: basta infatti (al sesto anno, quando il comune richiederà l’adeguamento alla resa prevista) abbandonare al monte una data quantità di detriti per ottenere una resa in blocchi soddisfacente (anche se è solo apparente e fraudolenta). Ciò garantirà altri 5 anni di escavazione, dopo di che basterà ripetere il trucco dell’abbandono di detriti.
La debolezza del dispositivo di monitoraggio previsto dal PRC, unito all’esperienza fallimentare del PRAER, impone pertanto modifiche all’art. 14:
- il rilievo annuale del sito previsto dai commi 1 e 2 sia esteso anche alle pertinenze della cava (aree impianti, ravaneti, strade d’arroccamento ecc.), sia ad alta risoluzione e sia accompagnato da una carta delle variazioni volumetriche (aree scavate e aree che hanno registrato nuovi apporti) e dal calcolo delle variazioni volumetriche nell’anno;
- il comune verifichi annualmente (anziché ogni 5 anni) sia l’attendibilità dei dati dichiarati sia il raggiungimento della resa richiedendo, in caso contrario, accorgimenti per adeguarla entro l’anno successivo e, in caso di mancato adeguamento, prescriva la cessazione dell’attività estrattiva e la risistemazione ambientale (rimozione dei rifiuti e residui e messa in sicurezza) nei tempi tecnici strettamente necessari.
Il monitoraggio della Regione dell’andamento delle attività estrattive (art. 6, comma 4), invece, è previsto annualmente attraverso una specifica banca dati e, con cadenza quinquennale, per la verifica della rispondenza delle volumetrie estratte rispetto al quadro previsionale (per valutare la necessità di adeguamenti tramite varianti al PRC).
Chiediamo di precisare che il monitoraggio della Regione non si limiti a verificare se i quantitativi estratti corrispondano a quelli previsti, ma utilizzi i dati annuali per verificare anche il rispetto delle rese di ciascuna cava e, nel caso del loro mancato raggiungimento, preveda azioni correttive tempestive e cogenti.
Considerata l’esperienza fallimentare del PRAER sopra segnalata, teniamo a sottolineare l’assoluta importanza che la verifica annuale delle rese (da parte del Comune e della Regione) sia eseguita per ciascuna cava, anziché limitarsi alla resa dell’intero comparto estrattivo. In caso contrario, infatti, estremizzando per rendere più chiaro il concetto, potrebbe verificarsi il paradosso del rispetto della resa dell’intero comparto anche qualora la totalità delle cave violasse le prescrizioni: ad esempio, metà delle cave estrae solo detriti e l’altra metà porta a valle solo i blocchi (abbandonando i detriti al monte). Non si tratta di un caso ipotetico: l’esperienza concreta dell’ultimo decennio non si allontana molto da questa situazione.
3. Osservazione sulla proposta di inserimento
di un’area estrattiva nella Valle delle Piagge,
loc. Vignoli nel comune di Capolona (AR)
a cura del Circolo Legambiente Laura Conti, Arezzo
Legambiente esprime forte preoccupazione per la richiesta avanzata dal Comune di Capolona di un’area estrattiva nella Valle delle Piagge in località Vignoli, per gli impatti agro-ambientali, economici e paesistici irreversibili che tale intervento comporterebbe.
Sette-cinque ettari, mezzo milione di metri cubi di inerte da costruzione, contro un po’ di entrate per il bilancio comunale, tre anni di “disagi”, viabilità locale e provinciale pesantemente intasata da decine di autocarri al giorno, lunghe digressioni verso Laterina e Ponticino causa i due ponti sull’Arno (Buon Riposo e Ponte Buriano) inutilizzabili dal traffico pesante.
Compromissione irreversibile del bel paesaggio agrario, compromissione dell’agro-ecosistema, compromissione della idrologia sotterranea e superficiale, depauperamento ecologico-ambientale, consumo di una risorsa non rinnovabile qual è il “materasso alluvionale” plio-pleistocenico del paleo Arno.
Questi ed altri sono i rischi che la pericolosa proposta, avanzata del comune di Capolona, comporta per il sistema paesistico-ambientale delle colline che degradano verso l’Arno in località le Piagge, poco lontano dalla riserva naturale di Ponte a Buriano.
L’area di Vignoli, attualmente non è inserita nel piano cave Regionale (PRAER – né risorsa né giacimento) e Provinciale (PRAEP né risorsa né giacimento), ma è stata proposta alla Regione, direttamente dal Comune, su richiesta di soggetti privati, come indicato nella delibera n.8 del 21/01/2019.
Il Comune di Arezzo, confinante a pochi metri, ha già detto con nettezza, che la viabilità attuale (“strada storica non modificabile”) non è in grado di sostenere i “carichi connessi alla attività di cava” e che la attività proposta risulta fortemente impattante in un contesto ambientale di pregio.
L’area si trova al margine sud occidentale dell’ambito Casentino-Valtiberina, del piano di indirizzo territoriale con valenza di piano paesistico, al confine con gli ambiti Arezzo-Valdichiana e Valdarno Superiore. L’area è meritevole di conservazione, nei suoi assetti attuali: bel paesaggio agrario, buona qualità agro-ecosistemica, non interessata da abbandono e ricolonizzazione arbustiva, costituita invece da coltivi inframezzati da formazioni ripariali di piccoli corpi idrici (affluenti di destra dell’Arno), già inserito nel primo sistema delle aree protette della Toscana (LR 52/82); viene definita nel PIT, come “area di connettività della rete ecologica, da riqualificare”.
Il bel paesaggio agrario è una risorsa ambientale ma anche economica; la “Tuscany” è anche un “brand” che, assieme alle eccellenze del vitivinicolo, vende in tutto il mondo e garantisce economia locale.
L’area, dalle caratteristiche geomorfologiche straordinarie, dolcemente declinante sull’Arno, si presenta come un vero “balcone” verso la Piana d’Arezzo.
È anche ricca di emergenze storiche ed archeologiche: la Cassia Vetus ed il medievale Ponte a Buriano, Pieve a Sietina, le cave di argilla e le fornaci di Marco Perennio (la terra sigillata esportata in tutto l’Impero): Cincelli-centum cellae.
Affatto secondari, sono gli aspetti idrologici ed idrogeologici, l’area infatti, assicura un buon assorbimento dei deflussi superficiali e i banchi di materiale alluvionale costituiscono un ottimo sistema depurativo del ciclo naturale delle acque.
Le motivazioni addotte dal Comune di Capolona per l’inserimento negli strumenti di pianificazione fanno riferimento esclusivamente alla richiesta di un privato, ed alla assenza negli strumenti urbanistici comunali di invarianti strutturali o altri vincoli di natura ostativa, oltre che alla assenza di zone d’interesse archeologico tutelate ai sensi dell’art. 142 comma 1 d.Lgs 42/2004.
Il Comune definisce inoltre l’area in oggetto come fortemente antropizzata a seguito delle azioni messe in atto nei periodi passati per l’ottenimento di terreno coltivabile ad oggi utilizzato come seminativo”!
La definizione dell’area in oggetto quale “area fortemente antropizzata” è, a nostro avviso, usata impropriamente per motivare l’idoneità dei luoghi alla loro trasformazione, poiché è assolutamente evidente che le uniche trasformazioni antropiche, a cui si può fare riferimento in questi luoghi, sono esclusivamente quelle che costituiscono la tessitura agraria del sistema collinare e che compongono il disegno del suolo e del paesaggio agrario.
Si ricorda che l’area in oggetto è individuata nel PAERP vigente tra quelle incompatibili con l’attività estrattiva per la presenza di invarianti strutturali e condizionamenti territoriali ostativi.
Si evidenzia inoltre che, in riferimento al fabbisogno di materiali in base al quale lo stesso PAERP è stato progettato e dimensionato, sono già previsti altri siti estrattivi ricadenti nei comuni limitrofi a quello di Capolona; non ci risulta sia stata verificata preventivamente l’indisponibilità o l’esaurimento della risorsa, condizione preliminare all’inserimento di una nuova area estrattiva nel Piano.
La richiesta avanzata dal Comune di Capolona risulta anche in contrasto con i principi sul consumo di suolo della Legge di governo del Territorio, che in ogni caso prevede che le trasformazioni che comportino impegno di suolo non edificato, necessitano di una preventiva verifica di sostenibilità per ambiti sovracomunali.
In definitiva Legambiente si oppone con decisione al depauperamento dell’ambiente, del paesaggio, degli ecosistemi che la cava Vignoli rappresenterebbe e ribadisce che il paesaggio è un valore in sé e per sé, costituzionalmente tutelato, e un motore di attività economiche sostenibili e durature nel tempo: turismo, agricoltura di qualità ecc.
Autorizzare un’attività estrattiva nell’area delle Piagge significherebbe aprire una vera e propria voragine; dai cinque-sette ettari, le cave si potrebbero facilmente estendere per analogia a tutto il sistema collinare Cincelli-Meliciano-Pieve S.Giovanni- Cafaggio ecc.
Si fa presente, inoltre, che qualunque attività di ripristino non permetterebbe di ricostituire le caratteristiche originarie dell’area ed in particolare l’attuale qualità agro-ambientale del territorio in oggetto.
Legambiente chiede pertanto che il Comune di Capolona ritiri la delibera n.8 del 21/01/2019 e la richiesta d’inserimento nel PRC fatta in fase di concertazione ai sensi dell’art. 3 LR 1/2015, che la Provincia di Arezzo assuma una posizione contraria all’inserimento dell’area in oggetto negli strumenti di pianificazione delle attività estrattive e che la Regione Toscana, nella proposta di adozione del PRC, elimini su quest’area l’individuazione di “giacimenti potenziali”.
Infine, si ricorda che nell’ottica dell’economia circolare gli eventuali fabbisogni possono essere soddisfatti attraverso il riciclo dei materiali da costruzione e demolizione. Anche ad Arezzo, infatti, ci sono aziende di ex cavatori che da anni si sono proficuamente indirizzate alla produzione di riciclato per aggregati e calcestruzzi.
S’invitano pertanto le amministrazioni locali e gli imprenditori privati a promuovere e intraprendere la strada virtuosa del riciclo.
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