L’aumento delle terre portate al piano nel primo trimestre 2019 ha scatenato una corsa ad attribuirsene il merito tra Comune e Assindustria. La cosa non può che destare sconcerto, dal momento che questo risultato non è frutto dei controlli vantati dal Comune, né di un soprassalto di legalità da parte degli industriali, bensì di una momentanea convenienza economica, legata alla vendita delle terre per il porto di Savona.
Che le terre abbandonate al monte siano fonte di rischio alluvionale e di inquinamento dei corsi d’acqua e delle sorgenti (è di ieri il divieto di usare l’acqua a Bedizzano) è ormai un dato acquisito; eppure negli ultimi 10 anni sono stati abbandonati al monte oltre 5 milioni di tonnellate di terre, anziché smaltirli correttamente (si veda il grafico a fine articolo).
Se si trattasse davvero di un’inversione di rotta, ne saremmo molto contenti; il Comune può dimostrarlo facendo rispettare alle aziende, fin da subito, l’obbligo di rimuovere tutte le terre abbandonate al monte.
Quanto ad Assindustria, è apprezzabile sapere che anche gli imprenditori lapidei locali hanno compreso l’importanza dell’economia circolare, ma preoccupa la logica cui si ispirano: oggi allontaniamo le terre perché ci conviene; prima non conveniva, quindi restavano al monte. E se domani non dovesse convenire più, torneranno ad abbandonarle?
Imprenditori e Comune (e in generale la politica) devono dare garanzia che questo non potrà più accadere: le terre, in quanto scarti di lavorazione, sono a tutti gli effetti un rifiuto: ben vengano dunque le possibilità di recupero, purché sostenibili ambientalmente; ma, se il recupero non è possibile, questi scarti, quindi rifiuti, devono essere smaltiti da chi li produce, indipendentemente dal fatto che l’impresa ne tragga profitto.
Ad esempio, un’impresa edile, che ha costruito un palazzo, smaltisce i rifiuti prodotti, ovviamente a sue spese, perché è un suo preciso obbligo di legge. Nessuno, crediamo, accetterebbe che mattoni, travi e altri materiali di scarto restassero abbandonati sulla pubblica via perché all’impresario costa smaltirli e, quando ciò accade, ci indigniamo. Lo stesso dovrebbe valere per le cave: che gli industriali ci guadagnino o meno, devono portar via tutti gli scarti prodotti, senza abbandonarli al monte.
C’è insomma bisogno di un cambiamento radicale della cultura dell’impresa, del governo e anche del senso di legalità. Il tema infatti non dovrebbe essere “di chi è il merito (di chi è la colpa)” ma “come fare rispettare leggi e regolamenti d’ora in avanti”.
Da questo punto di vista non convince neppure la presa di posizione del PD che, nell’attribuire il merito dell’incremento delle terre portate a valle agli imprenditori, a seguito dell’accordo col Porto di Genova, non accenna minimamente ad un mea culpa per quanto tollerato negli anni in cui amministrava la città e non contiene nessuna proposta seria per il futuro, perché il profitto delle imprese non sia mai più preminente rispetto alla tutela dell’ambiente e della sicurezza dei cittadini.
Siamo lieti, dunque, che gli imprenditori del lapideo abbiano trovato modo di guadagnare sulle terre; se un domani non sarà più così, pazienza. Smaltiranno i loro scarti di lavorazione, così come fanno tutte le altre aziende che lo ritengono, giustamente, un loro dovere e non un “grazioso favore” da concedere sulla base delle proprie convenienze economiche.
Carrara, 25 aprile 2019
Legambiente Carrara
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