Dimensione testo » A+ | A–

Cave sostenibili? Solo con misure radicali! Osservazioni al rapporto IRTA

Share
Print Friendly, PDF & Email

Ingenti quantità di terre sono abbandonate al monte. Si noti che anche i ravaneti apparentemente di scaglie sono spesso costituiti da terre, come mostrano i solchi d’erosione. Le scaglie, infatti, ne rivestono solo la superficie poiché le piogge normali riescono a dilavare solo le terre.

 

Premessa

 

A seguito dell’incontro del 15/4/19, i portatori d’interesse sono stati invitati a presentare osservazioni al Rapporto prodotto da IRTA-Leonardo, possibilmente senza limitarsi strettamente al rapporto stesso, ma suggerendo anche idee volte ad aumentare l’occupazione sia nel comparto marmifero sia sfruttando altre risorse territoriali (mare, escursionismo, turismo, cultura, ecc.).

È stata ad esempio prospettata l’eventualità di creare una serie di scenari –tra i quali scegliere i migliori da perseguire– e di individuare indicatori (che potremmo chiamare di ‘efficienza sociale’) da utilizzare per incentivare le aziende a comportamenti che abbiano ricadute positive sull’intera comunità.

Col presente contributo cercheremo di raccogliere l’invito, nei limiti delle nostre competenze e possibilità.

Sui tre indicatori sottoindicati, proposti nel rapporto preliminare, abbiamo già osservato nel contributo del 25/10/2018 che il raggiungimento di una effettiva sostenibilità non può accontentarsi di un modesto incremento dell’efficienza della filiera locale, ma richiede un suo rilevante incremento (riducendo l’export di blocchi all’estero) e che tale obiettivo sarebbe conseguibile adottando politiche che riconsegnino al Comune un ruolo regolatore centrale.
 

 
Ci è stato richiesto di tener conto, per il nostro contributo, solo del ‘Rapporto in breve’, poiché la versione del Rapporto del marzo 2019 non era definitiva, ma intermedia. Tuttavia il Rapporto breve, a differenza del primo, non esplicita gli indicatori e le proposte operative.

Pertanto, suddividiamo il presente contributo in due parti. Nella prima, rispondendo all’invito rivoltoci, avanziamo alcune proposte. Nella seconda, ipotizzando che alcuni degli indicatori presenti nel Rapporto di marzo possano essere ripresi nel futuro Rapporto definitivo, avanziamo osservazioni critiche su di essi nella convinzione che, anche qualora tali indicatori fossero stati abbandonati, le considerazioni svolte possano essere comunque di qualche utilità.

Teniamo a evidenziare che, nonostante le critiche a tali indicatori, siamo molto grati ai ricercatori di IRTA-Leonardo per lo sforzo compiuto e, soprattutto, per l’analisi delle dinamiche demografiche e occupazionali che, riportando lo stato dell’arte delle conoscenze in materia, è indispensabile a chiunque voglia avanzare proposte sul comparto marmifero con cognizione di causa.
 
 

 
  1ª PARTE: proposte

 

1.1     Un piano non può prescindere da un approccio pianificatorio

 

Considerato che il Rapporto è uno strumento di supporto ai piani attuativi dei bacini estrattivi (PABE), facciamo presente che abbiamo già portato alcuni contributi alla loro redazione: si vedano Piani attuativi dei bacini estrattivi: una proposta di buonsenso (quindi rivoluzionaria) 10/8/16, Gestire in sinergia cave, ambiente e rischio alluvionale (2° contributo alla VAS dei piani attuativi estrattivi) 24/9/16, Il bacino estrattivo di Torano. Spunti per una pianificazione integrata 3/5/18.

In essi si sottolineava come la redazione dei PABE fosse un’occasione unica per riportare ordine e rispetto della legalità nell’escavazione, dare concreta attuazione agli obiettivi, direttive e prescrizioni del PIT-Piano paesaggistico e rendere coerente l’applicazione delle varie normative di settore, con sinergie e senza antagonismi.

Teniamo a sottolineare che il PABE, oltre alla resa materiale e all’efficienza occupazionale, deve porsi l’obiettivo prioritario di riportare tutte le cave al pieno rispetto della legalità. Ciò comporta, innanzitutto, la necessità che le stesse autorizzazioni rilasciate alle cave contengano ferree prescrizioni in tal senso, diversamente da quanto accade oggi: tutela delle acque superficiali e sotterranee, abbandono di detriti, ecc.

Un primo suggerimento, in linea con ogni tipo di piano, è la realizzazione di carte tematiche che, nel caso specifico, potrebbero essere:

  • carta delle aree marmifere secondo classi di valore economico;
  • carta delle aree marmifere secondo classi di fratturazione del marmo.

La prima permetterebbe di escludere dalle aree estrattive quelle con marmo di basso valore di mercato, in quanto l’impatto dell’escavazione non sarebbe adeguatamente compensato dai modesti benefici economici conseguiti.

La seconda permetterebbe di escludere i giacimenti con elevata fratturazione, quindi con elevato impatto ambientale, date la bassa resa in blocchi e l’elevata produzione di detriti.

Come è evidenziato nel Rapporto IRTA, un approccio corretto alla sostenibilità deve contabilizzare i flussi di materia concentrando i propri sforzi sulla riduzione dei prelievi.

Un modo efficace di rappresentare questa contabilità è cartografare tutte le cave con simboli colorati secondo classi di resa materiale. Affinché sia davvero rappresentativa della realtà locale, la rappresentazione cartografica deve tener conto anche dei diffusi abusi e, in particolare, dell’abbandono dei detriti al monte. A puro titolo esemplificativo, proponiamo la scala cromatico-simbolica della Tab. 1, basata sulla percentuale di blocchi rispetto al totale del materiale transitato alla pesa (valori medi degli ultimi 5 anni).
 
Tab. 1. Proposta di simboli per la rappresentazione cartografica della resa materiale delle cave.

 
Tale carta mostrerebbe a colpo d’occhio le cave da mantenere e quelle da dismettere. Una proposta ragionevole per le misure pianificatorie che il PABE dovrebbe associare alla carta è riportata nella Tab. 2.
 
Tab. 2. Proposta di misure di piano in base alla resa materiale.

 
Onde evitare che questa proposta venga strumentalizzata, estrapolandone solo ciò che conviene agli imprenditori, ci corre l’obbligo di una avvertenza. Le cave che producono solo il 20-25% di blocchi (contrassegnate dal cerchietto giallo) non rispettano né il PRAER né la prima proposta del PRC (Pia­no Regionale Cave), che prevedeva una resa minima in blocchi del 30%, o ancora maggiore laddove il giacimento lo consentisse.

Avanzando l’eventualità che possano essere mantenute (purché il marmo estratto abbia un valore molto elevato), ci esponiamo a strumentalizzazioni e al tentativo di estendere la proposta a tutte le cave, a prescindere dal valore del marmo. Ribadiamo pertanto che questa eventualità può essere accettata solo per marmi di valore particolarmente elevato e ben stabilito e solo nel caso di accoglimento sostanziale dell’intero impianto delle misure proposte nella Tab. 2.

Questa avvertenza è doverosa per distinguerla nettamente dalla richiesta del Comune (già accolta nella proposta di PRC) di accontentarsi di una resa del 20% per tutte le cave e dalla proposta, per cave con marmi pregiati, di accontentarsi genericamente di rese ‘basse’ (evidentemente volta a garantire la continuità perfino alle cave con oltre il 90% di detriti). Si tratta di proposte alle quali siamo fermamente contrari poiché, anziché mirare ad aumentare l’efficienza materiale, aprono la strada a un’escavazione ancor più distruttiva e, perciò, all’acuirsi del conflitto sociale.

 

1.2     Misure di trasparenza

 

L’escavazione del marmo trova giustificazione solo se ha un rapporto costi/benefici favorevole (economico, occupazionale, ambientale) per l’intera cittadinanza. Affinché questa valutazione non sia lasciata alla discrezionalità di qualche funzionario, occorre mettere in grado tutti i cittadini di effettuare le proprie valutazioni: ciò richiede la piena possibilità di accesso a tutti i dati.

Oggi questa possibilità è negata: da 15 anni chiediamo al Comune i quantitativi estratti (blocchi, scaglie bianche, scaglie scure, terre, scogliere) da ciascuna cava, ma ci vengono consegnati privi del nome delle cave, onde impedirci di individuare quali siano virtuose e quali distruttive.

Si tratta di un grave vulnus non solo alla trasparenza, ma anche alla possibilità, per cittadini e associazioni, di presentare proposte pianificatorie nell’interesse della cittadinanza (come quella che, con molte difficoltà e alcune lacune e incertezze, a causa della mancanza di dati certi, abbiamo presentato per il bacino di Torano: Il bacino estrattivo di Torano. Spunti per una pianificazione integrata, 3/5/18).

Un’amministrazione che nasconde i dati ai cittadini non può pretendere la loro fiducia. Chiediamo pertanto che i PABE stabiliscano la piena trasparenza dei dati (col nome delle cave!) e che questi siano pubblicati annualmente sul sito del Comune.

 

1.3     Occupazione: serve un forte intervento regolatorio

 

In chiusura del nostro contributo del 25/10/2018 segnalavamo come il livello di sostenibilità del comparto marmifero fosse uguale a zero.

Ciò considerato, e visti gli elevati impatti dell’escavazione, la bassa occupazione nel comparto e i livelli di conflittualità sociale, non concordiamo con il Rapporto breve laddove raccomanda gradualità al decisore pubblico (in modo da lasciare agli operatori della filiera lapidea il tempo di adeguarsi e reindirizzare le proprie scelte), sottolinea che «qualsiasi intervento non deve costituire uno shock negativo per il sistema» e richiama il principio cardine della flessibilità.

Riteniamo, infatti, che l’atteggiamento degli imprenditori dell’escavazione e di Confindustria sia una parte sostanziale del problema in quanto, rimpiangendo i bei tempi del Far West, è refrattario a ogni regolamentazione e procede a colpi di ricatti occupazionali e di ricorsi giuridici. Basti il solo esempio del ricorso contro l’art. 58 bis (eloquentemente noto come ‘leggina salva cave’): anziché ringraziare la Regione per aver salvato dalla chiusura le cave che avevano scavato al di fuori dei confini autorizzati, sono ricorsi al TAR pretendendo di vedersi riconosciuto il diritto a scavare oltre i confini (si veda: Vertenza apuana. Le cave salvate dal 58bis ricorrono al TAR: vogliono il Far West, con lo sceriffo complice, 2/4/2019). Con questa imprenditoria non ci vuole alcuna gradualità: occorre liberarsene al più presto, con uno shock ‘positivo’ per il sistema!

Per questi motivi riteniamo inadeguato l’approccio minimalista, proposto nel Rapporto breve, di limitarsi a meccanismi automatici di premialità sui volumi autorizzati in base all’efficienza materiale e occupazionale di ciascuna cava. Tale approccio può anche essere preso in considerazione, ma solo dopo uno ‘shock positivo’ al sistema, conseguibile solo se il Comune decide di assumere un forte ruolo regolatore, volto a sostituire l’attuale imprenditoria con una ‘normale’ (o, perlomeno, a ricondurre al rispetto della legalità la classe imprenditoriale esistente) e a conseguire in tempi relativamente brevi un consistente incremento occupazionale.

Poiché l’occupazione nell’estrazione è solo una piccola parte di quella legata all’intera filiera corta e al suo indotto (come documentato nel Rapporto), riteniamo che, per conseguire un consistente incremento occupazionale, si debba puntare su un forte e rapido potenziamento della filiera corta, riducendo al minimo l’esportazione di blocchi grezzi (che comporta una devastazione ambientale sproporzionata rispetto alla modesta occupazione).

A tal fine ripresentiamo la proposta (già avanzata in: Cave: basta Far West. Serve una nuova imprenditoria, civile e moderna. Ecco come ottenerla, 15/2/2019) che il Comune può attuare introducendo nel regolamento degli agri marmiferi queste semplici disposizioni:

  • bandire subito, alla scadenza delle concessioni, le gare pubbliche per il loro rinnovo (senza applicare le folli proroghe fino a 25 anni previste dalla L.R. 35/15);
  • porre come requisito di partecipazione alla gara l’impegno a lavorare in filiera corta almeno il 50% dei blocchi e premiare chi si assume impegni maggiori;
  • prevedere una breve durata delle concessioni (dieci anni) e il rimborso al concessionario uscente degli eventuali costi non ammortizzati (per macchinari e opere);
  • introdurre la clausola sociale (obbligo per il concessionario subentrante di assumere i dipendenti di quello uscente);
  • introdurre tra le prescrizioni la cui violazione comporta la decadenza della concessione, misure davvero efficaci per tutelare le acque superficiali e sotterranee e per ridurre il rischio alluvionale.

Con queste misure, tutte nella disponibilità del Comune, si realizzerebbe in tempi ragionevoli una vera rivoluzione: forte incremento occupazionale nella filiera locale, assegnazione delle concessioni a imprenditori seri, rispettosi delle regole, consapevoli che non potranno più ricorrere al ricatto occupazionale e che, nel caso di inadempienze, saranno loro a doversene andare, ponendo fine a una anacronistica posizione di privilegio quasi a divinis, mentre i lavoratori saranno assunti dal nuovo concessionario.

È chiaro che questa strategia volta a ottenere un rapido e consistente incremento occupazionale è possibile solo se vi è una forte volontà politica di cui, al momento, non si vede traccia. D’altronde, senza questa volontà politica, qualunque suggerimento è destinato a cadere nel vuoto.
 
 

 
  2ª PARTE: osservazioni al rapporto del marzo 2019
 

 
 

2.1     Indicatori proposti dal Rapporto

 

Il Rapporto “definitivo” (in realtà intermedio) del marzo 2019 individua, quale indicatore da impiegare ai fini dell’obiettivo del 50%, il rapporto tra lavorazioni di qualità in filiera corta e il totale del materiale estratto (somma di “blocchi” e “detriti”).

Utilizzare solo il rapporto tra lavorazioni di qualità e blocchi estratti (la percentuale di blocchi sottoposti a lavorazioni di qualità in filiera corta), infatti, significherebbe rinunciare ad avere un indicatore dinamico capace di monitorare anche l’andamento dei detriti e dunque perdere di vista uno degli obiettivi primari, ovvero quello di una escavazione che nel suo complesso minimizzi gli scarti.

Il Rapporto propone perciò, come indicatore di efficienza materiale della filiera corta, L / ( M + S ) che, cambiando simbologia per renderla di più immediata comprensione, diventa:

L / ( B + D )

L = quantità di marmo lavorata in loco;

B = quantità di blocchi di marmo estratti;

D = quantità di detriti estratti.

In questo modo, se per l’impiego di nuove tecnologie o per l’abbandono di siti estrattivi molto inefficienti da un punto di vista materiale, la quantità di detriti si riducesse e le altre quantità rimanessero invariate, la percentuale di marmo lavorato in loco rispetto al totale del materiale estratto salirebbe e l’indicatore comunicherebbe il miglioramento avvenuto.

Il Rapporto rammenta che l’indicatore proposto continua a riferirsi alla mera efficienza e non agli impatti in termini assoluti. Infatti, se le quantità di L, B e D raddoppiassero, l’indicatore resterebbe invariato.

Considerata l’indisponibilità di dati attendibili sulle quantità lavorate in filiera corta, propone poi indicatori occupazionali, quali il rapporto tra addetti nel settore lapideo e la quantità di materia estratta (B+D). Ritiene dunque ragionevole adottare un insieme di indicatori.

Illustra infine una proposta praticabile di assegnare le autorizzazioni con una formula che, anno per anno, premia (con una maggiore quantità estraibile) la performance materiale dell’azienda e quella occupazionale (sia dell’azienda sia del territorio), adottando un insieme di indicatori (es. addetti/blocchi estratti, resa in blocchi, ecc.).

Nella formula entrerebbero diversi coefficienti, tra i quali i seguenti.

Coefficiente target di occupazione:

target occupazionale = (addetti · 1000 / materia estratta) / obiettivo occupazionale

dove gli addetti sono calcolati a diversi livelli (per la singola azienda d’estrazione e di eventuale lavorazione, per il Comune e per la Provincia).

Coefficiente target di resa estrattiva:

target resa = Blocchi estratti / Materia estratta / obiettivo di resa

Un altro possibile indicatore è il coefficiente Target di Filiera Corta (TFC), es. % blocchi venduta ad aziende del comprensorio.

 

2.2     Limiti dell’indicatore di efficienza materiale della filiera corta:
          L / (B + D)

 

L’indicatore (espresso in %) può essere appropriato per comparti produttivi relativamente omogenei ma, nella realtà carrarese, caratterizzata da un’estrema eterogeneità delle cave, presenta forti limiti.

Nella simulazione presentata nella Tab. 3, al fine di garantire l’obiettivo di lavorare in filiera corta almeno il 50% dei blocchi estratti, abbiamo mantenuto fisse le quantità di lavorati (50) e di blocchi estratti (100), variando invece progressivamente la quantità di detriti (da 1000 a 0).
 
Tab. 3. Simulazione dell’indicatore di efficienza materiale al variare della quantità di detriti, mantenendo fissa la percentuale di blocchi (50%) lavorata nella filiera locale. Nota: come suggerito dal Rapporto, non si indicano le unità di misura di L, B e D poiché possono essere rappresentate sia da tonnellate (per l’efficienza materiale), sia da euro (per l’efficienza economica).

Blocchi
in filiera
L
Blocchi
estratti
B
Detriti
 
D
Indicatore efficienza
L/(B+S)
(%)
Blocchi /
Tot. estratto
(%)
Blocchi
in filiera
L/B   (%)
50 100 1000 4,5 9,1 50,0
50 100 900 5,0 10,0 50,0
50 100 800 5,6 11,1 50,0
50 100 700 6,3 12,5 50,0
50 100 600 7,1 14,3 50,0
50 100 500 8,3 16,7 50,0
50 100 400 10,0 20,0 50,0
50 100 300 12,5 25,0 50,0
50 100 250 14,3 28,6 50,0
50 100 200 16,7 33,3 50,0
50 100 150 20,0 40,0 50,0
50 100 100 25,0 50,0 50,0
50 100 50 33,3 66,7 50,0
50 100 0 50,0 100,0 50,0

 

È chiaro che, se si intende rispettare il rapporto tra blocchi e detriti previsto dal PRAER (25% e 75%), il valore minimo dell’indicatore è 12,5 (riga gialla).

Aumentando le quantità di detriti (righe sovrastanti quella gialla), l’indicatore scende sotto il valore minimo, segnalando correttamente una riduzione dell’efficienza materiale, confermata dalla modesta produzione di blocchi rispetto al materiale estratto (dal 9 al 20%: cifre in rosso).

Tuttavia anche la cava che producesse 1000 di detriti potrebbe facilmente falsificare l’indicatore portandone a valle solo una parte e abbandonando la restante al monte. Le righe sottostanti quella gialla, infatti, mostrano che, portandone a valle da 250 a 0, l’indicatore registrerebbe un notevole aumento di efficienza, fino al 50%. In tal modo, l’indicatore si presterebbe alla beffa di premiare (per l’apparente elevata efficienza) la violazione della legalità e il danno ambientale arrecato.

Imponenti abbandoni di terre al monte avvengono impunemente già oggi (circa 500.000 t/anno). Li segnaliamo, inascoltati, da oltre 10 anni; ad esempio Cave, terre, detriti: ma è poi così difficile far rispettare le regole? 28/2/09; Smaltimento abusivo delle terre di cava: servono fatti, non proclami! 8/11/10; Smaltimento terre di cava: per smuovere il Comune ci vuole il TG, 29/11/11; Cave apuane: un decennio di illegalità, 1/6/16; Allarme terre di cava: il rischio alluvionale è aumentato! 26/7/18.

È facile immaginare quanto tali comportamenti si intensificherebbero se fossero addirittura premiati!

D’altronde, la Tab. 4 mostra che il valore minimo dell’indicatore di efficienza materiale (12,5) può essere raggiunto non solo da cave che lavorino in loco il 50% dei blocchi e rispettino il rapporto blocchi/detriti ≥ 25% e ≤ 75% (riga gialla), ma anche in altri due modi:

  • una riduzione dei blocchi lavorati in filiera corta, accompagnata da una riduzione dei detriti portati a valle, abbandonandoli cioè al monte (righe sovrastanti quella gialla);
  • un’escavazione distruttiva, con una percentuale di detriti fino all’87 %, purché accompagnata dall’incremento della lavorazione in filiera corta, fino al 100% (righe sottostanti quella gialla).

 
Tab. 4. Il valore minimo accettabile dell’indicatore di efficienza materiale può essere soddisfatto, non solo da comportamenti virtuosi, ma anche da cave con eccessiva produzione di detriti (lavorando in filiera corta oltre il 50% dei blocchi) o che abbandonano detriti al monte.

Blocchi
in filiera
L
Blocchi
estratti
B
Detriti

D

Indicatore
efficienza
L/(B+D) (%)
Blocchi/Tot.
estratto
(%)

Detriti/Tot.
estratto
(%)

Blocchi
in filiera
L/B (%)
12,5 100 0 12,5 100,0 0,0 12,5
13,75 100 10 12,5 90,9 9,1 13,8
15 100 20 12,5 83,3 16,7 15,0
16,25 100 30 12,5 76,9 23,1 16,3
17,5 100 40 12,5 71,4 28,6 17,5
18,75 100 50 12,5 66,7 33,3 18,8
20 100 60 12,5 62,5 37,5 20,0
21,25 100 70 12,5 58,8 41,2 21,3
22,5 100 80 12,5 55,6 44,4 22,5
23,75 100 90 12,5 52,6 47,4 23,8
25 100 100 12,5 50,0 50,0 25,0
37,5 100 200 12,5 33,3 66,7 37,5
50 100 300 12,5 25,0 75,0 50,0
62,5 100 400 12,5 20,0 80,0 62,5
75 100 500 12,5 16,7 83,3 75
87,5 100 600 12,5 14,3 85,7 87,5
100 100 700 12,5 12,5 87,5 100

 

Quanto detto evidenzia l’inadeguatezza dell’indicatore alla realtà delle cave carraresi. È evidente, infatti, che, se esiste la possibilità di manipolare a proprio vantaggio il valore dell’indicatore, questa sarà certamente utilizzata.

Considerazioni del tutto analoghe a quelle svolte in questo paragrafo valgono per l’indicatore di efficienza economica e per quello di efficienza occupazionale.

Il Rapporto evidenzia che tutti questi indicatori di efficienza mostrano una variabilità molto elevata e che i loro valori anomali (molto elevati o molti bassi) necessitano di un adeguato approfondimento.

In realtà, tenuto conto che al denominatore per il calcolo degli indicatori vi è il materiale totale estratto, le ragioni dell’elevata dispersione dei valori di efficienza non sono misteriose, ma stanno in massima parte nella duplice illegalità che denunciamo da anni e che, ciononostante, viene tuttora tollerata (e spesso addirittura autorizzata) dal Comune. I valori di efficienza (materiale o economica o occupazionale) molto elevati corrispondono infatti alle cave che portano a valle i blocchi e abbandonano i detriti al monte, mentre i valori particolarmente bassi corrispondono alle cave che sbriciolano la montagna producendo oltre il 90% di detriti.

 

 

2.3     Osservazioni generali al Rapporto:
          calcolare gli indicatori cava per cava

 

Come già chiarito nelle nostre osservazioni del 25/10/2018 il limite di fondo del Rapporto preliminare sta nel considerare l’insieme delle cave carraresi come un comparto relativamente omogeneo, mentre in realtà è caratterizzato da enormi differenze interne.

I dati ufficiali della pesa comunale, infatti, mostrano come solo un quarto delle cave rispetti il rapporto stabilito dal PRAER (blocchi ≥ 25%, detriti ≤ 75%). Gli altri tre quarti di cave sono fuorilegge perché producono sistematicamente quantità eccessive di detriti (fino a oltre il 90%) o perché, al contrario, producono apparentemente percentuali inverosimili di blocchi (fino al 100%), risultanti, di fatto, dall’abbandono di detriti al monte.

Sottolineavamo che un requisito fondamentale degli indicatori è rappresentare fedelmente la realtà (sia pure in maniera approssimata). Ne deriva che qualunque indicatore che consideri le cave come un intero comparto non può che dare una visione distorta della realtà.

Estremizzando, per mostrare il paradosso a cui può portare l’approccio adottato dal Rapporto, se metà delle cave estraesse solo detriti e l’altra metà portasse a valle solo blocchi, l’indicatore di efficienza materiale applicato all’intero comparto estrattivo potrebbe restituire l’immagine di un comparto virtuoso.

Pertanto, l’indicatore dipingerebbe come rosea una realtà costituita interamente da cave illegali e devastanti dal punto di vista ambientale: le une perché sbriciolano la montagna per ricavarne solo detriti e le altre perché la riducono a una discarica di detriti.

Di fronte a un quadro così eterogeneo, gli indicatori vanno calcolati cava per cava. D’altronde, non è un approccio indaginoso e complesso, dal momento che i dati delle quantità estratte (dettagliati per blocchi e per ogni tipologia di detriti) sono disponibili, annualmente, per ciascuna cava.

Carrara, 20 aprile 2019
Legambiente Carrara
 



Per saperne di più:

Sullo studio IRTA-Leonardo:

Piani attuativi bacini estrattivi: quali indicatori di sostenibilità?  (25/10/2018)

 Scarica il Rapporto preliminare PABE (Ott. 2018, 9 MB)

VIDEO Presentazione del Rapporto preliminare PABE: 1ª parte

VIDEO Presentazione del Rapporto preliminare PABE: 2ª parte

 

Share