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Fossa Combratta: rispettare le leggi e prevenire l’uso strumentale della sicurezza

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Fig. 1. Per rimuovere un ammasso instabile di 400 m3 il progetto presentato (a sinistra) prevede una cava da 58.000 m3! Il progetto rimodulato (a destra) si limiterebbe a scavare 26.600 m3, senza però rimuovere l’ammasso: una vera beffa!

 
 

Le osservazioni già presentate

 

Legambiente ha già presentato dettagliate osservazioni formali al progetto rimodulato (Cava Fossa Combratta: il progetto ridimensionato? È solo un’aggravante! 7/12/2018), riguardanti principalmente:

  • l’elevato impatto paesaggistico, derivante dal contrasto evidente tra la cava e il versante boscato in cui è inserita, peraltro nettamente distinto dal bacino industriale di Colonnata;
  • l’evidente sproporzione tra i quantitativi assentibili dal PIT-Piano Paesaggistico Regionale (1.370 m3) e il progetto di messa in sicurezza, sia di quello rimodulato a 26.600 m3, sia, a maggior ragione, di quello da 58.000 m3 che, in sostanza, prevede l’estrazione di tanti blocchi quanti, al ritmo precedente, ne sarebbero stati estratti in un intero secolo;
  • l’illogicità rappresentata dal progetto rimodulato che, pur fondandosi asseritamente su ragioni di sicurezza e di riduzione dell’impatto, di fatto garantirebbe solo gli interessi estrattivi della ditta (eludendo quantomeno lo spirito del PIT-PPR) senza eliminare (e nemmeno ridurre) il rischio rappresentato dall’ammasso instabile;
  • il pericoloso precedente che tale autorizzazione rappresenterebbe per altre cave, che potrebbero sfruttare strumentalmente provvedimenti di sicurezza come grimaldello per eludere i vincoli di legge;
  • infine, pur riconoscendo che tale considerazione esula –nella forma ma non nella sostanza– dal procedimento in corso, abbiamo anche evidenziato l’opportunità, nell’ambito del redigendo piano attuativo di bacino estrattivo, di escludere l’intero versante dalle aree estrattive, riconoscendo la situazione di fatto e gli intenti pubblicamente espressi dal sindaco e dal consiglio comunale.

In questa sede, pertanto, rinviando al precedente contributo, da considerarsi parte integrante del presente, vorremmo esporre le principali ragioni di carattere procedurale che avrebbero dovuto condurre a respingere il progetto fin dal suo nascere, senza alcuna necessità di giungere al sintetico contraddittorio.

 

Perché proseguire l’iter del progetto in assenza di una relazione fondamentale?

 

Tenuto conto che il progetto nasce a seguito di un provvedimento dell’AUSL che richiedeva la messa in sicurezza di un ammasso roccioso instabile, è quanto meno singolare la mancanza –fra gli atti del procedimento– di una relazione tecnica che studi specificamente la stabilità dell’ammasso e indichi le modalità più appropriate per rimuoverlo o stabilizzarlo.

In effetti, la relazione sembrerebbe esistere (poiché è citata in altri documenti) ma non risulta allegata alla documentazione progettuale. Tale mancanza può essere spiegata in due modi: o perché la si ritenesse superflua o, in alternativa, poiché “controproducente” all’approvazione del progetto. In questo secondo caso sarebbe legittimo il sospetto fosse stata intenzionalmente espunta dagli atti del procedimento, magari perché sarebbe emersa la possibilità di una rimozione locale dell’am­masso, presentando invece (a questo punto pretestuosamente), come intervento di messa in sicurezza, il progetto di una grande cava. Sembra deporre per questa ipotesi il fatto che, nella citazione presente negli atti depositati, si dice che la relazione mancante riguarda proprio «la definizione degli interventi di messa in sicurezza a livello locale».

Ci chiediamo se l’aver proseguito nell’iter autorizzatorio in assenza della relazione fondamentale, sulla quale dovrebbe basarsi la corretta individuazione degli interventi da attuare, sia effettivamente regolare sotto il profilo procedurale, e non rappresentasse invece un valido motivo di diniego alle richieste dell’impresa. Nel caso, chiediamo se, di tutti gli enti partecipanti, nessuno abbia avanzato obiezioni rispetto a questo fatto, che a noi appare come un vulnus alla regolarità della procedura.

Per il rispetto e la fiducia che nutriamo nei confronti delle istituzioni, siamo portati ad escludere che la mancata richiesta d’integrazione sia stata consapevole e intenzionale. Ciò ci porta però a ritenere che gli enti competenti a formulare pareri abbiano effettuato una lettura veramente superficiale della documentazione: se così fosse, saremmo di fronte ad una colpevole negligenza, tanto più grave se si considerano le conseguenze (ambientali, economiche, legali) che ne possono derivare.

 

Perché approvare una Relazione paesaggistica non rispondente ai requisiti di legge?

 

Le stesse riserve sulla diligenza dell’istruttoria svolta prima di questa fase di pubblico contraddittorio dobbiamo esprimerle anche in riferimento al rilascio dell’autorizzazione paesaggistica da parte della commissione comunale, sebbene il PIT-PPR (Allegato 5, comma 10) preveda la «positiva valutazione paesaggistica regionale».

In ogni caso, anche qualora fosse ammissibile la valutazione comunale, va considerato che l’Alle­gato 4 al PIT-PPR (“Linee guida per la valutazione paesaggistica delle attività estrattive”) precisa nel dettaglio gli elementi che la valutazione paesaggistica deve verificare, tra i quali: a) la corretta valutazione del contesto paesaggistico dell’intervento (sia dal punto di vista funzionale che percettivo); b) la completezza e l’adeguatezza dello “Studio delle componenti del paesaggio” (struttura idro-geomorfologica, struttura ecosistemica, struttura antropica, studio dell’intervisibilità, caratteri di degrado e criticità); c) la corretta individuazione degli effetti paesaggistici; d) la corretta individuazione degli effetti cumulativi sul paesaggio; e) le motivazioni delle soluzioni progettuali proposte in riferimento alle caratteristiche del contesto desunte dallo studio delle componenti del paesaggio.

A fronte di tali dettagliate linee guida, ci chiediamo come possa essere stata accettata e, addirittura, approvata, una Relazione paesaggistica che non soddisfa nessuno dei requisiti richiesti. Tale relazione, infatti, restringendo l’esame visivo alla sola area di cava (senza considerare il versante interamente boscato in cui essa è inserita), non prende minimamente in considerazione il contesto in cui essa insiste: in poche parole, non è una relazione paesaggistica!

Questo mancato soddisfacimento dei requisiti del PIT-PPR non avrebbe dovuto emergere nel corso di un accurato iter procedurale? Non rappresenta anch’esso un doveroso motivo di diniego al progetto? Nessun ente ha avanzato obiezioni?

Peraltro, anche le argomentazioni di carattere paesaggistico presenti nello studio di impatto ambientale (SIA) sono inconsistenti, per il motivo esattamente opposto: per avere, cioè, allargato eccessivamente e strumentalmente l’area di interesse. La cava è stata infatti considerata come se fosse pienamente collocata nel bacino estrattivo industriale di Colonnata anziché in un versante boscato nettamente distinto da esso. Il SIA ha potuto così affermare che la cava è inserita «nel contesto paesaggistico carrarese in cui il paesaggio di cava è divenuto parte integrante del paesaggio storicamente antropizzato della montagna che sovrasta il centro di Carrara». È ammissibile un tale stravolgimento della realtà?

 

Il progetto rimodulato: viziato da illogicità manifesta

 

Abbiamo già avuto modo di evidenziare la scarsa diligenza nel valutare il cosiddetto “progetto rimodulato”, presentato come riduzione dell’impatto del progetto precedente e come limitato agli interventi necessari alla messa in sicurezza generale.

È del tutto evidente che questo progetto, diciamo “di subordine”, prevedendo di fatto solo la nuova cava senza rimuovere l’ammasso roccioso instabile, è solo un’aggravante del precedente, palesemente illogico e contraddittorio sul piano strettamente amministrativo, e pertanto meritevole di respingimento senza neppure la necessità di ricorrere al sintetico contraddittorio.

Ci sfuggono poi i motivi –e vorremmo avere in questa sede un pubblico chiarimento– per cui tale proposta risulta esser stata avanzata non dalla ditta, ma da due enti pubblici (settore marmo comunale e ingegneria mineraria dell’AUSL) che, invece, avrebbero dovuto invitare l’impresa a riformulare la proposta progettuale, sollecitandola a individuare le soluzioni progettuali idonee a risolvere le criticità segnalate in ordine alla sicurezza dei fronti, ed esprimendo su tali soluzioni il proprio parere relativamente all’adeguatezza e alla congruità dello “strumento” individuato.

 

La sicurezza può essere usata per scardinare l’impianto del PIT-PPR?

 

Teniamo infine a evidenziare un grave rischio che emerge dalla vicenda della cava Fossa Combratta: il rischio che un codicillo del PIT-PPR possa essere usato strumentalmente per scardinare l’intero impianto normativo regionale.

L’Allegato 5 comma 10 del PIT-PPR pone infatti una serie di vincoli agli ampliamenti delle attività estrattive assentibili in attesa dell’approvazione dei piani attuativi dei bacini estrattivi (PABE), condizionandoli al rispetto congiunto di diversi requisiti: a) ampliamento non superiore al 30% del volume consentito dall’autorizzazione vigente; b) all’interno del perimetro già autorizzato; c) scadenza dell’autorizzazione entro tre anni dall’entrata in vigore del PIT-PPR (quindi 2018); d) qualora il quantitativo assentito sia già stato esaurito; e) l’ampliamento può essere concesso una sola volta.

Da tale impianto normativo è evidente la ferma volontà del legislatore regionale di limitare strettamente i quantitativi estraibili nelle more dell’approvazione dei PABE.

Come sopra accennato, il progetto presentato utilizza l’art. 17 comma 16 della Disciplina di piano (che fa salve le varianti imposte da provvedimenti di sicurezza), prevedendo, però, l’escavazione di un quantitativo che, al ritmo estrattivo precedente, avrebbe richiesto un intero secolo, contraddicendo in tal modo platealmente la volontà espressa dal legislatore regionale, nonché i requisiti di proporzionalità, non contraddittorietà, logicità, coerenza che i progetti e i relativi provvedimenti amministrativi sono tenuti a rispettare.

L’approvazione del progetto implicherebbe pertanto dare il via libera all’uso strumentale dei provvedimenti di sicurezza per farsi approvare progetti per quantitativi ben oltre i volumi realmente necessari alla messa in sicurezza. Nella ferma convinzione che non fosse questo l’intento del legislatore regionale, riteniamo questa un’altra valida ragione che avrebbe dovuto condurre a respingere il progetto, senza la necessità di ricorrere al sintetico contraddittorio.

Ai responsabili degli enti chiediamo se non ritengano che, stando così le cose, il rilascio dell’autorizzazione non possa poi aprire la strada ad un uso strumentale del tema della sicurezza e della salute dei lavoratori e delle comunità. Combratta non è l’unico segnale, in questo senso. Basta leggere le cronache di questi giorni e la vicenda dei Bettogli.

Sicurezza e salute, dei lavoratori e di un intera comunità, sono temi troppo importanti per essere sacrificati sull’altare del ricatto occupazionale.

Carrara, 13 dicembre 2018
Legambiente Carrara
 

Aggiornamenti
Come è andata a finire

Il Parco delle Apuane, con la determinazione del 15 marzo 2019, ha ufficializzato la posizione già espressa nelle conferenze dei servizi con tre no su: pronuncia di compatibilità ambientale, nulla osta e autorizzazione idrogeologica.

Tra le motivazioni: il progetto non è supportato da una relazione di stabilità; prevede tre anni di escavazione, con l’avvicinamento alle masse instabili, ma senza intervenire sulle stesse; non è sufficiente richiamarsi a una generica messa in sicurezza per giustificare un vero e proprio progetto di escavazione; la strada non è idonea al passaggio di mezzi pesanti.

 



Per saperne di più:

Su Fossa Combratta e Bettogli:

Cava Fossa Combratta: il progetto ridimensionato? È solo un’aggravante!  (7/12/2018)

La vera favola di cava Combratta  (23/11/2018)

Giù le mani dalla cima del Monte Betogli  (21/11/2018)

Cava Fossa Combratta: la vera posta in gioco dietro il pretestuoso alibi della sicurezza  (15/9/2018)

Cava Fossa Combratta: appello alle Istituzioni interessate  (31/8/2018)

Cava Fossa Combratta: non diventi la pietra dello scandalo  (7/8/2018)

Fossa Combratta: una cava da dismettere  (27/6/2018)

 

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