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Fossa Combratta: una cava da dismettere

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Comune di Carrara
–      Sindaco
–      Ass. Ambiente
–      Dir. Settore Marmo

 

Oggetto: Motivi ostativi alla ripresa estrattiva della cava 131-Fossa Combratta

 

Esaminata la documentazione progettuale del piano di messa in sicurezza e del piano di escavazione approvato, confermiamo che permangono valide le osservazioni avanzate da Legambiente il 18/11/2014: rinviando pertanto ad esse (allegate in coda al presente documento, come sua parte integrante), limitiamo questo intervento agli aspetti allora non trattati e a qualche precisazione.

 

La cava è isolata, estranea ai bacini estrattivi
 

È sufficiente uno sguardo ai bacini marmiferi per comprendere che la cava Fossa Combratta, seppure classificata nel bacino di Colonnata, è l’unica cava presente nell’alto e medio versante occidentale del M. Brugiana: è quindi, di fatto, un ‘corpo estraneo’ ai bacini estrattivi carraresi (Fig. 1).
 

Fig. 1. La cava Fossa Combratta, pur essendo formalmente inserita nel bacino estrattivo di Colonnata, è l’unica cava che insiste nell’alto versante occidentale del M. Brugiana, in piena area boscata: ciò la rende, di fatto, estranea al complesso delle circa 80 cave situate nei bacini estrattivi carraresi.

 
Pertanto, coerentemente alla razionalizzazione delle attività estrattive già in corso, con la fusione di cave vicine e la redazione di piani d’escavazione coordinati tra più cave (con vie d’arroccamento e servizi comuni), è del tutto ragionevole pensare che, nella redazione dei Piani Attuativi del Bacini Estrattivi (PABE), l’alto e medio versante occidentale della Brugiana saranno esclusi dalle aree estrattive.

Considerato che, come sotto accennato, l’escavazione è interdetta dall’ASL per i cinque anni necessari alla sua mezza in sicurezza, è necessario anticipare subito la decisione (che dovrà essere ufficializzata nel PABE) se mantenere o meno questa cava tra le aree estrattive. Autorizzare oggi i lavori di messa in sicurezza (che richiederanno 5 anni) per negarle poi l’autorizzazione al­l’esca­vazione, comporterebbe infatti un evidente danno economico alla stessa impresa.

A nostro parere, visto l’isolamento della cava dai reali bacini estrattivi, la razionalità e il semplice buonsenso suggeriscono la dismissione immediata e definitiva della cava.

 

Impatto paesaggistico: davvero irrilevante?
  

La relazione paesaggistica è un esercizio di tendenziosità espressiva, basato sull’omis­sione delle considerazioni scomode e sull’esaltazione di quelle comode.

Ad esempio, sebbene sia evidente che l’impatto paesaggistico (quasi irrilevante se la cava fosse inserita all’interno delle altre aree estrattive “industriali”) è fortemente accentuato dalla sua collocazione in un versante naturale interamente boscato, la relazione paesaggistica omette questa elementare considerazione, e si esprime in modo tale da comunicare il messaggio opposto: «Il cantiere estrattivo … si colloca in zona adeguatamente distante dal centro abitato e non è visibile da strade carrozzabili di uso pubblico». (Rel. paes., p. 2).

Analogamente, pur riportando necessariamente le criticità individuate dal PIT «Le attività estrattive e una discarica di cava poste in prossimità del crinale del M. Brugiana all’interno del bacino di Combratta interferiscono con un versante interno caratterizzato da un contesto naturale» e ai relativi obiettivi di qualità «Riqualificare le aree interessate da discariche di cava che costituiscono elementi di degrado paesaggistico», la relazione paesaggistica risponde che il «progetto proposto si allinea quindi coerentemente con gli obiettivi di qualità proposti dal P.I.T. vigente» poiché «il ravaneto esistente sarà ripulito dai detriti nella parte alta a contatto dell’area in coltivazione, lasciando progredire la parte già attualmente in via di rinaturalizzazione spontanea». (Rel. paes., p. 39-40).

In tal modo, si omette ogni considerazione sull’interferenza della cava col contesto naturale e si spaccia l’escavazione del marmo (uno sbasso del piazzale e una razionalizzazione della cava, che comportano necessariamente la rimozione di detriti) per ripulitura intenzionale della parte alta del ravaneto adiacente.

Patetiche quanto illuminanti, infine, le dichiarazioni miranti a minimizzare l’impatto paesaggistico magnificando l’escavazione: «l’aspetto particolare e panoramico del centro estrattivo è quello tipico dei bacini marmiferi storici, essi costituiscono un vero e proprio polo di attrazione turistico e culturale specifico nel settore geo-minerario, unico al mondo, ovvero patrimonio della collettività». E ancora: la cava situata in pieno bosco non sarebbe un ‘pugno nell’occhio’, ma «L’organizzazione del cantiere» … e i suoi servizi … «sono inseriti armoniosamente nel contesto paesaggistico tradizionale locale, come opera razionale dell’uomo coesistente con la natura…» (Rel. Tecn. p. 16-17).

 

Blocchi 0,63%, detriti 99,37%: è questo che vogliamo?
  

Nelle more dell’approvazione dei PABE, la ditta ha richiesto di estrarre 1370 m3, pari al 30% di quanto consentito nell’ultima autorizzazione. Il piano di coltivazione, già autorizzato per 3 anni, prevede di ricavare il 25-30% in blocchi (377 m3), producendo 993 m3 in detriti.

Tuttavia, a seguito del crollo di un ammasso roccioso nel luglio 2016 e della presenza di altre masse rocciose instabili, l’escavazione è stata inibita dall’ASL che ne ha condizionato la ripresa alla preventiva messa in sicurezza. A tal fine, la ditta ha presentato un piano di messa in sicurezza che prevede la realizzazione di viabilità per raggiungere la sommità della cava, seguita da disgaggi e sbassi fino alla completa rimozione delle rocce instabili; la durata prevista è di 5 anni, con l’aspor­tazione di 58.000 m3 (di detriti).

In sostanza, per ricavare 377 m3 di blocchi si abbatterebbero altri 58.993 m3 di detriti, aggravando l’impatto paesaggistico e prolungando la durata a 8 anni. Demolire fronti rocciosi ricavandone il 99,37% di detriti e solo lo 0,63% in blocchi non sembra proprio un buon affare, almeno per la comunità carrarese! È un altro buon motivo per dismettere definitivamente la cava.

 

Non perseverare con autorizzazioni illegittime
  

Si fa notare che l’autorizzazione del piano di coltivazione, già rilasciata, presenta vizi di illegittimità poiché, in violazione delle leggi sulle acque, prevede misure inadeguate alla loro tutela.

In particolare, l’autorizzazione equivale a una licenza ad inquinare sia le acque superficiali che quelle sotterranee, poiché:

  • non prescrive l’accurata pulizia delle superfici di cava;
  • consente il deposito temporaneo di detriti esposti al dilavamento meteorico (in astratto ammissibile, ma solo se non comportasse effetti negativi sull’ambiente);
  • consente l’utilizzo di detriti (anch’essi esposti al dilavamento meteorico) per la realizzazione di rampe, piazzali e riempimenti di cavità;
  • prevede la raccolta delle acque di prima pioggia solo per la minuscola area servizi (190 m2), lasciando che le acque meteoriche di dilavamento (AMD) scorrano liberamente sulle superfici di cava e, poi, lungo il versante;
  • considera erroneamente le terre e la marmettola disperse nella cava, nel ravaneto e lungo le vie d’arrocca­mento «sostanze non pericolose per l’ambiente, derivando dalla zona di coltivazione» e accetta dunque espressamente il loro trascinamento nei corsi d’acqua e nell’acquifero.

Si tratta di evidenti violazioni di legge che il comune, in quanto ente deputato al rilascio dell’auto­rizzazione nel rispetto della normativa, non può legittimamente compiere.

 

Non disinteressarsi dell’acquifero
  

La documentazione progettuale riporta la prova di immissione di spore di licopodio (come tracciante idrogeologico) nella cava e la loro ricerca (con esito negativo) nelle sorgenti Combratta e Vecchia.

Si tratta di un dato indubbiamente rassicurante. Tuttavia nessuna attenzione viene prestata alla salvaguardia dell’acquifero e della sua stigofauna: implicitamente cioè, le acque sotterranee, se non captate, non sono ritenute meritevoli di alcuna protezione dall’inquinamento.

Si ricorda che la legge protegge tutte le acque sotterranee, siano esse captate o no.

 

Non prendere in giro funzionari e cittadini
  

Abbiamo già evidenziato come, nonostante le relazioni d’obbligo sulla gestione delle acque, lo scarso interesse prestato alla loro concreta tutela sia evidente in tutto il piano d’escavazione.

Sarebbe stato pertanto più decoroso, almeno per decenza, evitare di proclamare il contrario con affermazioni che offendono l’intelligenza dei funzionari addetti all’esame della pratica. Come si può infatti scrivere  «in questa cava viene effettuato uno scrupoloso recupero delle acque di lavorazione e una scrupolosa pulizia giornaliera dei piazzali di cava» (Rel. monit. idrogeol., p. 7) e, addirittura nella stessa relazione, allegare foto che mostrano piazzali e rampe completamente invasi da marmettola e terre (Fig. 2)?
 

Fig. 2. Le condizioni del piazzale della cava Fossa Combratta, invaso da marmettola, descritto nella relazione sul monitoraggio idrogeologico come soggetto a una «scrupolosa pulizia giornaliera».

 

Sulla base dell’insieme delle considerazioni espresse, si chiede pertanto di non autorizzare il piano di messa in sicurezza e, comunque, di ritirare il piano di escavazione già autorizzato.

Distinti saluti.

Legambiente Carrara
Carrara, 27 giugno 2018

Si vedano (alle pag. 44-49) le osservazioni presentate nel novembre 2014.

 

Aggiornamenti
Come è andata a finire

Il Parco delle Apuane, con la determinazione del 15 marzo 2019, ha ufficializzato la posizione già espressa nelle conferenze dei servizi con tre no su: pronuncia di compatibilità ambientale, nulla osta e autorizzazione idrogeologica.

Tra le motivazioni: il progetto non è supportato da una relazione di stabilità; prevede tre anni di escavazione, con l’avvicinamento alle masse instabili, ma senza intervenire sulle stesse; non è sufficiente richiamarsi a una generica messa in sicurezza per giustificare un vero e proprio progetto di escavazione; la strada non è idonea al passaggio di mezzi pesanti.

 



Per saperne di più:

Su piano paesaggistico e piani attuativi bacini estrattivi:

Il bacino estrattivo di Torano: spunti per una pianificazione integrata  (3/5/2018)

Cava Faggeta: la riattivazione sarebbe illegittima  (29/3/2018)

Cava Faggeta: serve una moratoria sulla riattivazione delle cave dismesse  (19/3/2018)

Cave Bettogli-Calocara: non si rilascino autorizzazioni illegittime  (10/2/2017)

Gestire in sinergia cave, ambiente e rischio alluvionale (2° contributo alla VAS dei piani attuativi estrattivi)  (24/9/2016)

Piani attuativi dei bacini estrattivi: una proposta di buonsenso (quindi rivoluzionaria)  (10/8/2016)

La Regione alla prova dei fatti: osservazioni alla cava in galleria Calacata  (29/12/2015)

Esplosivo dossier sulle cave apuane: le osservazioni di Legambiente  (18/11/2014)

Osservazioni al piano paesaggistico: più paesaggio, più filiera, più occupazione, meno cave, meno impatto, meno rendita  (29/9/2014)

Sulle problematiche tra cave e inquinamento delle sorgenti e dei corsi d’acqua:

Audizione alla commissione marmo: le proposte di Legambiente  (20/11/2017)

Cave: importante esposto del Coordinamento Apuano  (17/11/2016)

Marmettola: dalle cave alle sorgenti  (VIDEO 9 min. 24/7/2016)

Dossier marmettola: l’inquinamento autorizzato  (1/6/2016)

La Regione protegga le sorgenti dalle cave di marmo (27/3/2014)

Gestire le cave rispettando l’ambiente e i cittadini: le proposte di Legambiente (11/1/2007)

Come le cave inquinano le sorgenti (conferenza, illustrata) (17/3/2006)

Inquinamento delle sorgenti. Mancano i filtri? No, manca la prevenzione! (4/12/2005)

Frigido: vent’anni di indagini chimiche, biologiche ed ecologiche  (Arpat, 2003)

Impatto ambientale dell’industria lapidea apuana (1991)

Impatto della marmettola sui corsi d’acqua apuani  (volume 1983)

 

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