Tre anni dopo:
sintesi delle nostre proposte
Cercheremo di fare questa sintesi andando oltre il pur imprescindibile approccio idraulico, integrandolo in un approccio urbanistico-territoriale all’interno di una visione complessiva del futuro uso del territorio.
La strategia di riferimento con la quale confrontarci è inevitabilmente quella del masterplan, illustrata nello studio Seminara, di seguito sintetizzato.
1. Il Masterplan
(studio Seminara)
Il tratto di valle è talmente ristretto che non è possibile farvi transitare la piena duecentennale (Q200): si ripiega pertanto sull’obiettivo di adeguarlo alla trentennale (Q30) sistemando gli argini, scavando l’alveo, eliminando strettoie e passerelle. Questa scelta di fondo comporta la necessità di trattenere nel bacino montano la differenza tra Q200 e Q30.
Nel tratto urbano, da Vezzala alla Lugnola, la situazione è veramente drammatica: oggi possono transitare solo 60-90 m3/s, mentre la Q30 è 220 m3/s e la Q200 è addirittura 320 m3/s. Considerato che l’alveo è soffocato tra gli edifici e la via Carriona, il massimo che si può fare, con un modesto scavo e intervenendo (con demolizione o innalzamento) sulle strozzature rappresentate dal ponte e mulino Forti e dal ponte della Bugia, è far passare 140 m3/s.
I restanti 80 m3/s della piena trentennale non è possibile farli transitare da Carrara: da qui l’idea di dirottarli a valle della città, sottraendoli al ramo di Torano (presso il cimitero) e scaricandoli sul ramo di Gragnana (presso il ponte Fabbricotti), attraverso un’apposita galleria. In questo modo il centro urbano sarebbe in sicurezza per le piene trentennali.
Per le Q200 restano altri 100 m3/s da trattenere nel bacino montano. In quest’ultimo occorre quindi realizzare invasi (mediante sbarramenti), eliminare strettoie, ripristinare gli alvei occupati da strade e sistemare i ravaneti.
I principali interventi strutturali previsti nel bacino montano sono dunque la galleria di bypass Torano-Gragnana e 16 invasi montani temporanei (che si ridurranno a meno di una decina poiché alcuni sono piccoli e/o poco efficienti).
Sottolinea, piuttosto, che la costruzione degli sbarramenti è condizionata alla PREVENTIVA sistemazione del bacino montano, senza la quale sarebbero compromesse anche la stabilità e la funzionalità degli interventi realizzati più a valle (su ponti, argini, ecc.).
Segnala pertanto la necessità di:
- rendere sostenibile la coltivazione delle cave (evitando gli apporti di fanghi sui versanti);
- rimuovere marmettola e terre dallo strato superficiale dei ravaneti e stabilizzarli;
- ripristinare il reticolo idrografico montano sepolto dai ravaneti, ampliare gli alvei, ricrearli spostando le strade che li occupano, delocalizzare segherie e manufatti che ostacolano i deflussi.
2. Masterplan:
studio del tubo?
Condividiamo solo in parte questa critica: se è vero, infatti, che i corsi d’acqua non possono essere concepiti solo come tubi, è altrettanto vero che, se vogliamo evitare alluvioni, devono funzionare ANCHE come tubi. Non si tratta dunque di contrapporre il soddisfacimento dei requisiti idraulici alla tutela del patrimonio storico-architettonico, degli ecosistemi fluviali e delle sorgenti, ma di fare ogni sforzo per soddisfare TUTTI i requisiti.
Se dunque non possiamo ignorare la gravità del rischio alluvionale (soprattutto nel centro storico), con atteggiamento costruttivo dobbiamo prendere atto dei dati idraulici (previa loro verifica) e individuare ogni possibile soluzione per salvare (se possibile) i ponti storici e, più in generale, per conseguire la riqualificazione fluviale e quella urbanistica dell’intero territorio, dai monti al mare.
3. Il punto delle idee
3.1 Portate di piena:
rivedere i calcoli
In primo luogo ci siamo posti l’obiettivo di verificare l’attendibilità delle portate di piena fornite dal modello idraulico MOBIDIC (e utilizzate da Seminara, come espressamente previsto dall’incarico assegnatogli). In effetti, dopo uno studio attento, ci siamo resi conto che queste portate sono di dubbia attendibilità.
Dal confronto dei dati dello studio Viti (2004) con quelli MOBIDIC (2014) emerge che MOBIDIC prevede piene sensibilmente più basse nei bacini non marmiferi (Can. di Gragnana e torrenti minori) e molto più elevate nei bacini marmiferi: in particolare, nel centro storico MOBIDIC prevede una piena duecentennale di ben 320 m3/s (contro i 230 dello studio Viti).
Approfondendo l’analisi abbiamo scoperto che il modello idraulico è stato alimentato con dati errati (tratti da uno studio SoilData e dip. ingegneria Univ. Di Firenze, 2014). In particolare, i ravaneti sono stati considerati con capacità idrica zero, cioè impermeabili come le aree urbanizzate, mentre i nudi versanti rocciosi sarebbero capaci di assorbire 100-200 mm di acqua: un assurdo logico!
L’individuazione di questo errore è un contributo importante: significa infatti che le portate di piena che sollecitano il centro storico, pur restando molto elevate, non sono così mostruose come quelle previste dallo studio MOBIDIC. Sarà dunque possibile rimodulare gli interventi previsti o, a parità di essi, conseguire una maggior riduzione del rischio alluvionale.
3.2. Trattenere acque al monte:
i ravaneti-spugna
Si tratta di una scelta ragionevole, poiché –nell’attuale situazione d’emergenza– consente di sistemare il tratto vallivo con interventi relativamente modesti, conseguendo così in tempi brevi e con costi contenuti la protezione dalle piene trentennali.
Fedeli alla nostra logica di proposte costruttive, ci siamo chiesti se non sia possibile trattenere nel bacino montano una quantità di acque ancora maggiore. Da qui è scaturita l’idea dei ravaneti-spugna.
I ravaneti attuali, oltre a causare degrado paesaggistico e inquinamento dei fiumi e delle sorgenti, aumentano il rischio idraulico: contengono infatti grandi quantità di marmettola e terre che, occludendo gli interstizi tra le scaglie, rendono i ravaneti meno permeabili e più suscettibili a frane: le terre inzuppate, infatti, fluidificano e agiscono da lubrificante generando così colate detritiche che colmano gli alvei sottostanti riducendone la capacità idraulica.
A tale fine bisogna smantellare integralmente i ravaneti (fino al substrato roccioso), ripulirli dalle terre e ricostruirli con le sole scaglie (stabilizzandoli anche nei confronti di eventi idrologici estremi).
I ravaneti, così ripuliti, si comporterebbero come grandi spugne che assorbono le acque meteoriche e le rilasciano poi lentamente, riducendo notevolmente i picchi di piena.
Nonostante i tempi e i costi (da addebitare alle cave), questa “grande opera” potrebbe dare un contributo rilevante alla riduzione del rischio alluvionale. Per questo, abbiamo chiesto al sindaco di sollecitare la Regione perché affidi un incarico che ne studi l’efficacia.
Affinché non sia vanificato, l’intervento di ripulitura dei ravaneti deve essere accompagnato, da un’ordinanza “cave pulite come uno specchio”: pulizia rigorosa di tutte le superfici di cava con stoccaggio dei materiali fini (terre e marmettola) unicamente in contenitori a tenuta stagna.
Con questa “grande opera” di ripulitura dei ravaneti (oltre ad un consistente aumento dell’occupazione al monte) si raggiunge l’obiettivo di rallentare i deflussi nella fase iniziale, ritardandone quindi il tragitto lungo i versanti, cioè prima che le acque raggiungano l’alveo dei torrenti. Non resta dunque che rallentare la loro velocità anche nel tragitto dai torrenti montani a Carrara.
3.3. Ripristinare gli alvei montani:
larghi, scabri e sinuosi
Se, infatti, l’acqua di una precipitazione intensa sul bacino montano scorre velocemente, rag-giungerà in breve tempo Carrara dove darà luogo ad un picco di piena catastrofico.
Se invece la velocità di deflusso è più lenta, la stessa quantità di acqua si distribuirà su un arco temporale maggiore: il picco di piena arriverà a Carrara con maggior ritardo e, soprattutto, essendo più ridotto, transiterà senza esondare.
Anche questi recenti interventi di accelerazione dei deflussi (canalizzando i corsi d’acqua) lo testimoniano.
In questo schizzo, ad es., vediamo che in un tratto di 1 km c’è un dislivello di 100 m, con una pendenza, quindi, del 10 %.
Sostituendo lo stretto canale in cemento con l’originario alveo sinuoso, ne raddoppiamo la lunghezza. Poiché il dislivello resta lo stesso, si dimezza in tal modo la pendenza (5 %) e si rallenta la corrente.
Resta da chiedersi se il rallentamento ottenibile è rilevante o trascurabile.
- con l’alveo stretto e liscio (in cemento), la velocità è elevata (oltre 13 m/s)
- allargando l’alveo, si dimezza la velocità (7 m/s)
- se si elimina il cemento e si rinaturalizza l’alveo conferendogli scabrezza (con ciottoli e vegetazione riparia), si scende a 3 m/s
- infine, rendendo l’alveo sinuoso, si scende a 2 m/s.
Come risultato complessivo, passando dal canale in cemento (stretto, rettilineo e liscio) all’alveo naturale (largo, sinuoso e dotato di scabrezza) si ottiene una riduzione della velocità di ben 6-7 volte. È quindi un’ottima ragione idraulica (oltreché ecologica) per smantellare i canali in cemento e ripristinare gli alvei naturali montani.
3.4. Ripristinare gli alvei montani
ora occupati da strade
Alle Canalie, ad esempio, la strada è stata costruita occupando l’alveo e restringendolo in uno spazio angusto. Come si è appena visto, il restringimento dell’alveo provoca l’accelerazione dei deflussi e, di conseguenza, l’aumento del rischio alluvionale a valle.
Salendo più a monte, la situazione peggiora ulteriormente poiché le strade occupano addirittura l’intero alveo originario. Le acque piovane, scorrendo direttamente sull’asfalto, prendono la rincorsa e giungono rapidamente a Carrara.
Occupando gli alvei con le strade, i bacini montani sono stati trasformati in una vera e propria “fabbrica del rischio alluvionale” che sembra pensata proprio per far convergere rapidamente le precipitazioni a Carrara, sottoponendola a picchi di piena esasperati.
Estendendo questi interventi a tutto il bacino montano, è possibile ottenere un’ulteriore sensibile riduzione del rischio alluvionale (assieme alla riqualificazione naturalistica dei corsi d’acqua).
3.5. Sfasare i picchi di piena?
Un’idea per ridurre il picco di piena a Carrara è rallentare i deflussi su alcuni affluenti (idrogrammi gialli) e accelerarli in altri. Lo scopo è ottenere a Carrara due onde di piena sfasate nel tempo: transitando l’una dopo l’altra, se ne evita la sommatoria.
Dal punto di vista idraulico, l’idea è indubbiamente interessante, ma presenta serie controindicazioni ambientali. Per accelerare i deflussi in un dato bacino, infatti, bisognerebbe artificializzarne radicalmente tutti i corsi d’acqua (costringendoli in canali stretti e profondi in cemento); i versanti montani dovrebbero essere denudati rimuovendo completamente i ravaneti (per eliminare l’effetto spugna); il rapido allontanamento delle acque ne ridurrebbe l’infiltrazione, riducendo l’alimentazione dell’acquifero e accentuando così le crisi idriche estive.
L’idea è quindi riportata a puro titolo d’inventario, come esempio di intervento potenzialmente efficace per ridurre il rischio alluvionale, ma da scartare per il suo impatto ambientale inaccettabile.
3.6. Ampliare e rinaturalizzare l’intera asta fluviale
Come già detto, attuando gli interventi prospettati nel masterplan si otterrebbe una consistente riduzione del rischio alluvionale: gli alvei si comporterebbero come tubi con una sezione adeguata al transito della piena trentennale (mentre la differenza tra questa e la duecentennale sarebbe trattenuta a monte).
Dal punto di vista idraulico, assicurarsi che i corsi d’acqua si comportino da buoni tubi costituisce un importante traguardo, anche se non va dimenticato che, dato il loro dimensionamento, calibrato di stretta misura per far transitare le sole acque, la loro efficienza richiederebbe una continua manutenzione delle opere e dell’alveo (rimozione dei depositi, taglio della vegetazione, ecc.).
Dal punto di vista urbanistico, tuttavia, ciò è assolutamente insufficiente. Un fiume dall’aspetto desolante (rettificato, con sezione rettangolare, letto spianato, sponde verticali in cemento e privo di vegetazione), infatti, sarebbe visto dai cittadini come un luogo da evitare. Al contrario, un ecosistema fluviale ben funzionante, dal gradevole aspetto naturale (sinuoso, con buche, raschi, correntini, cascatelle, vegetazione riparia, acque limpide, pesci, uccelli), sarebbe visto come un ambiente da amare: un formidabile attrattore per le sue valenze ricreative.
Pertanto, mentre diamo opportunamente la priorità al conseguimento del risultato idraulico (mettendo al primo posto la sicurezza dei cittadini), dobbiamo individuare fin d’ora gli interventi per la successiva riqualificazione che restituisca ai carraresi un vero fiume, anziché solo un tubo.
Le proposte finora avanzate vanno proprio in tale direzione: conseguire una maggiore riduzione del rischio alluvionale contestualmente alla riqualificazione fluviale e ambientale. Allo stesso fine sono orientate le idee descritte di seguito.
Questa proposta non confligge con il progetto idraulico del masterplan; anzi, ne sarebbe un auspicabile completamento, poiché accrescerebbe notevolmente il livello di sicurezza.
Siamo certi che gli stessi ingegneri idraulici sarebbero ben felici di proporre e progettare una simile riqualificazione fluviale. Basti pensare alle taglienti critiche presenti nella relazione Seminara nei confronti dell’urbanizzazione incontrollata del nostro territorio (e delle attività estrattive insostenibili), definita «esempio paradigmatico di assenza di cultura del rischio nel nostro Paese».
Se dunque i consulenti idraulici non hanno proposto la soluzione di un radicale ampliamento dell’alveo è semplicemente perché conoscono bene i loro interlocutori: sanno, cioè, per consolidata esperienza, che la richiesta sistematica degli amministratori locali è quella di “guadagnare spazio” per l’urbanizzazione (sottraendolo al fiume), non di restituire spazio al fiume. Perciò, ben consapevoli, si sono rassegnati a dichiarare che «appaiono non sostenibili socialmente e/o economicamente soluzioni volte alla restituzione all’alveo di parti significative degli spazi che gli sono stati sottratti nel corso dei secoli». Sarebbero però certamente pronti a cambiare idea se l’esplicita richiesta di restituire ampi spazi al Carrione provenisse proprio dall’amministrazione comunale.
Sarebbe ingenuo nasconderci i costi e le difficoltà della riqualificazione in grande stile che proponiamo, ma si tratta di una sfida che la nuova amministrazione e i carraresi tutti potrebbero accettare, realizzandone fin d’ora un primo breve tratto, magari partendo proprio dalla foce.
3.7. Accesso camionabile al porto:
allargare foce, rimuovere piloni
Va considerato che il nuovo accesso portuale previsto dal 1° lotto del Water Front è una vera e propria sfida alla prudenza. Infatti, oltre a due rotonde, prevede il mantenimento:
- dell’attuale foce stretta (30 m)
- del ponte di viale Da Verrazzano, col suo pilone in alveo
- e del ponte ferroviario, anch’esso col suo pilone in alveo.
Per rendere ancora più problematico il deflusso a mare delle piene, il Water Front prevede anche l’aggravamento delle criticità esistenti, aggiungendo:
- un nuovo pennello per prolungare la foce in mare, che ostacolerebbe lo sbocco della piena, costringendola a dover superare la pressione idrostatica esercitata dalla massa d’acqua contenuta nel nuovo canale a mare;
- una larga tombatura di tale canale per realizzare, in mare, il nuovo ponte camionabile.
Per conseguire contestualmente una maggior efficienza idraulica dello sbocco a mare e la riqualificazione ecologico-paesaggistica dell’area, la realizzazione del nuovo ponte sarebbe associata a un notevole allargamento della foce (dagli attuali 30 m a 120 m), con creazione di un’area umida golenale e di un’area verde, in continuità con il parco lineare costiero di cui parleremo tra poco.
La proposta è ancora a livello di idea progettuale, ma è più che sufficiente per comprenderne i grandi vantaggi (idraulici e ambientali) rispetto a quanto previsto dal primo lotto del water front.
3.8. Il parco lineare costiero
Si tratterebbe di trasferire dal demanio portuale al demanio marittimo (ed eventualmente da quest’ultimo in concessione gratuita al patrimonio comunale) l’area tra la foce del Carrione e quella del Lavello (il piazzale ex simposio), realizzandovi un parco lineare costiero, con scalinata d’accesso, sedute, siepi, punti ombra, percorsi, rivegetazione, postazioni pescatori, ecc. L’area, così riqualificata e restituita ai cittadini e ai turisti, diverrebbe particolarmente attrattiva per lo svago.
4. Non solo idraulica:
rispettare gli ecosistemi fluviali!
Gli interventi previsti per la sistemazione del Carrione, presentati al pubblico dal prof. Seminara, hanno sollevato accese critiche, soprattutto per la previsione di abbattere o rialzare alcuni ponti nel centro urbano, considerata irrispettosa dei valori storico-architettonici ai quali i carraresi sono particolarmente affezionati.
A nostro parere, un altro profondo limite del masterplan del Carrione è avere trascurato totalmente il valore ecologico-naturalistico (nonché paesaggistico-urbanistico) del nostro reticolo idrografico. Si tratta, purtroppo, di un limite culturale largamente radicato, se pensiamo che la richiesta più insistente di larghi strati di popolazione non riguarda certo la rinaturalizzazione dell’alveo ma, al contrario, il mantenimento di un alveo ben scavato e “pulito” (cioè completamente devegetato!).
La richiesta delle “pulizie fluviali”, peraltro, è il frutto di un pregiudizio tanto radicato quanto ottuso. Nell’alluvione del 2003, ad esempio, i cumuli di tronchi e ramaglie che hanno ostruito quasi tutti i ponti non provenivano, se non in minima parte, dalla vegetazione riparia, il cui sviluppo era molto limitato poiché solo 4 anni prima erano stati rimossi sedimenti e vegetazione lungo tutta l’asta del Carrione, dalla sorgente alla foce. I cumuli vegetali provenivano dunque dagli alberi trascinati in alveo dalle frane (oltre 500 nel 2003), frane che, va ricordato, sono sempre associate alle piene eccezionali!
Contro le frane, ovviamente, le pulizie fluviali sono del tutto impotenti: se anche togliessimo dai corsi d’acqua perfino l’ultimo filo d’erba, non servirebbe a nulla, a meno che non si disboscassero tutti i versanti collinari e montani (seguendo la “geniale” proposta di Bush di radere al suolo i boschi per prevenire gli incendi). Peccato, però, che senza copertura boschiva franerebbero interi versanti, gli alvei si riempirebbero di terre e rocce e Carrara farebbe la fine di Sarno, sepolta da una colata di fango.
Sottolineiamo pertanto l’importanza di rivegetare e rinaturalizzare l’intero reticolo idrografico del Carrione, dai monti al mare, con l’unica esclusione del tratto di attraversamento della città, in cui è improponibile per l’estrema criticità della situazione idraulica.
4. Non solo idraulica:
riappropriarsi del futuro!
Sarebbe tuttavia fuorviante e poco produttivo contrapporre l’approccio ecologico o urbanistico a quello idraulico. È infatti più costruttivo ringraziare tutti per il contributo alla città: i progettisti idraulici, per averci reso consapevoli dei livelli di rischio alluvionale presenti in ogni singolo tratto e per il quadro organico e razionale delle soluzioni proposte; i cittadini e le associazioni, per aver evidenziato l’esigenza di tutelare altri valori (in particolare quelli storico-architettonici) e di ripristinare quelli ecologici e fruitivi, andati progressivamente distrutti nel corso di decenni di urbanizzazione selvaggia e irresponsabile.
In quest’ottica costruttiva, abbiamo avanzato alcune idee, mai contrapposte agli obiettivi idraulici (spesso, anzi, per incrementarne l’efficacia), ma volte a conseguire contestualmente altri vantaggi: ripristino dei corsi d’acqua montani (larghi, sinuosi, rinaturalizzati), protezione dall’intorbidamento di fiumi e sorgenti, incremento quali/quantitativo dell’approvvigionamento idrico, ecc.
Non ci nascondiamo le grandi difficoltà d’attuazione di alcune proposte, sicuramente molto ambiziose, come il generoso allargamento di tutta l’asta del Carrione da Carrara al mare, la rimozione delle strade di fondovalle per ripristinare alvei naturali, la conversione degli attuali ravaneti fonte di rischio in preziosi ravaneti-spugna. Sappiamo bene che occorreranno tempo e soldi.
L’importante, però, è compiere una scelta strategica di lungo respiro e, coerentemente, muovere fin d’ora anche solo piccoli passi in questa direzione. Proprio per questo chiediamo all’amministrazione comunale di realizzare al più presto anche un piccolissimo lotto di questi interventi strategici: è fondamentale, infatti, dare un segnale inequivocabile che restituisca speranza alla nostra comunità e futuro al nostro territorio.
Ma, soprattutto, considerato lo stretto legame tra la sistemazione idraulica del Carrione –oggi, di fatto, interamente delegata alla Regione– e l’assetto futuro del territorio, chiediamo all’amministrazione di rivendicare la pianificazione strategica dell’intero territorio. Ben venga, infatti, il contributo tecnico e finanziario della Regione, ma il futuro del nostro territorio deve restare saldamente nelle nostre mani, non può essere delegato a nessuno!
In questa carrellata di idee ci siamo volutamente attenuti al livello delle grandi opzioni strategiche, senza scendere nel dettaglio dei singoli interventi puntuali previsti. È ovvio, tuttavia, che ciascuno di questi può dare il suo concreto contributo alla riduzione del rischio alluvionale: sarebbe perciò un segnale molto apprezzato la tempestiva emanazione, da parte dell’amministrazione, di ordinanze di rimozione delle passerelle private, eliminando così quelle strozzature idrauliche che sono state indi-viduate come rilevanti fattori di rischio localizzato.
Per saperne di più:
Sulle alluvioni locali:
Rischio alluvionale: affrontiamolo con i ravaneti-spugna (14/9/2017)
Incontro Legambiente-sindaco su cave e rischio alluvionale (18/7/2017)
Masterplan del Carrione: il sindaco rema contro? (9/11/2016)
Masterplan del Carrione: interventi nel bacino montano. Pregi e criticità (5/11/2016)
Piani attuativi dei bacini estrattivi: una proposta di buonsenso (quindi rivoluzionaria) (10/8/2016)
Studio idraulico del Carrione (Relazione Seminara, marzo 2016) (10 MB)
Carrione: rivedere i calcoli, intervenire sui ravaneti, ripristinare gli alvei soffocati da strade (31/03/2016)
Terre di cava nei ravaneti. La strategia del sindaco: alle cave l’impunità, ai cittadini l’alluvione (19/03/2016)
Fermare la fabbrica del rischio alluvionale. Salvare i ponti intervenendo su ravaneti e strade in alveo (16/03/2016)
Come fermare la fabbrica del rischio alluvionale (7/11/2015)
Come opera la fabbrica del rischio alluvionale (la bonifica dei ravaneti) (24/10/2015)
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Scandalo Carrione: “Legambiente, inascoltata Cassandra” (Articolo di M. Imarisio sul Corriere della Sera, 6/11/2014)
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Riduzione del rischio idraulico: perché tante divergenze? (25/3/2013)
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Esposto alla Procura: il Comune ha scelto di allagare Miseglia ad ogni pioggia (12/11/2012)
Interpellanza parlamentare: critiche ai lavori fluviali post alluvione sul Magra (3/7/2012)
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Aulla, l’alluvione prevista da Legambiente (VIDEO 7/11/2011)
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Aspettando la prossima alluvione: gli interessi privati anteposti alla sicurezza (26/3/2007)
In attesa della prossima alluvione: porre ordine alle cave (15/3/2007)
Alluvione Carrara: analisi e proposte agli enti (11/10/2003)
Carrione, sicurezza e riqualificazione: un binomio inscindibile (Conferenza su alluvione: Relazione di Giuseppe Sansoni, 11/10/2003: PDF, 3,2 MB)
Fenomeni di instabilità sui ravaneti (Conferenza su alluvione: Relazione Giuseppe Bruschi, 11/10/2003: PDF, 1,1 MB)
Cave, ravaneti, alluvione: che fare? (Conferenza su alluvione: Relazione Piero Sacchetti, 11/10/2003: PDF, 37 KB)