Videointervista al prof. Paolo Maddalena
Presidente emerito della Corte Costituzionale
di Matteo Bartolini e Fabio Ronconi
Roma, 26 agosto 2016
Durata 21 min.
Trascrizione dell’intervista a Paolo Maddalena
L’ordinanza del giudice di Massa di remissione alla Corte Costituzionale e gli atti relativi alla questione dei beni estimati è molto importante perché mette alla luce un qualcosa che è rimasto oscurato nel volgere dei secoli.
Tutto è portato avanti sotto l’ombra del concetto ormai dominante, cioè quello che il modo unico di appartenenza sia la proprietà privata, e quindi in questa vicenda dei beni estimati sia l’avvocatura dello Stato sia il giudice remittente, con la sua ordinanza di remissione alla Corte Costituzionale, hanno in mente l’idea che si possa parlare in termini di proprietà privata in relazione ai beni estimati.
È un’idea che bisogna smontare subito perché l’idea della proprietà privata si afferma nel mondo giuridico soltanto dopo la rivoluzione borghese (la rivoluzione francese, che fu una rivoluzione borghese) e trova espressione nel Code Civil del 1804 della restaurazione napoleonica.
Parlare dei beni estimati a proposito delle cave come di proprietà equivalente alla dizione di proprietà privata è un errore di carattere storico, diacronico, perché all’epoca con l’espressione beni estimati certamente non si poteva parlare di beni di proprietà privata. Quindi noi guardiamo con gli occhi di oggi a quello che è accaduto tre secoli fa.
In realtà all’epoca, quando la duchessa d’Austria Maria Teresa emise il famoso editto il primo febbraio 1751 facendo salvi i beni estimati, cioè quelli iscritti nell’estimo, il regime giuridico proprietario era ancora il regime giuridico feudale che, come spiega molto bene Massimo Severo Giannini, prevedeva per quanto riguarda i beni immobili, tre tipi di appartenenza: la proprietà allodiale (cioè i beni propri del sovrano o del feudatario), le proprietà collettive (i beni propri dei residenti in un determinato luogo, che hanno origini antichissime medievali, di cui è stato illustre espositore critico Paolo Grossi) e la terza forma di appartenenza, la cosiddetta proprietà divisa, cioè da un lato il dominium eminens del sovrano o del feudatario e dall’altro il dominium utile del coltivatore. In questa prospettiva è difficile dare l’equazione “beni estimati uguale proprietà privata”: non esiste per i beni immobili questa equazione, all’epoca.
Che valore ha l’editto della duchessa Maria Teresa d’Austria? Io prendo le stesse parole che sono riportate nel ricorso dell’avvocatura a proposito di quello che dice la duchessa. La duchessa dice: «se l’allibrazione delle medesime (cioè a dire l’iscrizione nel registro dell’estimo delle cave) è seguita venti anni prima dalla nostra presente ordinazione (cioè da 20 anni sono già iscritte nell’estimo) niun diritto mai più possa pretendere sopra di esso o sopra i loro possessori la vicinanza nei cui agri sono situati, non altrimenti che se a favore dei possessori medesimi militasse l’immemorabile o la centenaria o concorresse a pro loro un diritto il più legittimo che immaginar si possa».
Cosa fa? Risolve una controversia tra la vicinanza (cioè coloro che agiscono nell’interesse delle proprietà collettive dei residenti del luogo) nei confronti di quei possessori (non proprietari: si parla solo di possesso, non si poteva parlare di proprietà) di questi agri che avevano iscritto il loro possesso vent’anni prima.
In realtà se andiamo a vedere bene la disposizione della duchessa, Maria Teresa ha il fine solo di risolvere una questione pratica; e stabilisce tre classi di cave:
- le cave che sono state iscritte all’estimo da vent’anni, per le quali non c’è nessun problema per la concessione, e quindi dobbiamo conseguentemente affermare che in termini moderni potremmo parlare per queste cave di una concessione perpetua (non di proprietà privata!) perché la lotta era con la vicinanza, era in relazione con le concessioni fatte dalla vicinanza (che poi si chiamano allibrazioni in quanto il sistema giuridico era quello del livello, cioè scrivere in un libellum quali erano i rapporti tra il concedente e il concessionario (parlando in termini moderni), in modo da non avere crisi durante lo svolgimento del rapporto). Quindi per i cosiddetti beni estimati, per i beni che erano iscritti nei registri dell’estimo da venti anni alla data del 1751 non si poneva questione: dobbiamo dire in termini moderni non di proprietà privata, ma di concessione perpetua.
- Per quelli invece che erano stati iscritti meno di 20 anni prima, allora si faceva l’obbligo di redigere l’atto di livello che significa il libellum che regolava il rapporto di concessione. Quindi il procedimento scorre sul concetto della concessione (parlando in termini moderni).
- Poi per quelli che erano stati aperti come cave che mancavano di estimo e di libello si poneva l’obbligo di scrivere un libellum.
Come vedete la duchessa molto saggiamente risolve un problema. Ora, attaccarsi a questo precedente storico per dire che esisteva, che esiste una proprietà privata (a prescindere dal fatto che ci sono contratti in cui i notai dicono queste cose, ci sono sentenze in cui si parla oscuramente di queste cose), non significa nulla. La sostanza del discorso resta: non è mai esistita un’affermazione storica nel 1751 che si tratti di proprietà privata. Si tratta di possesso e, tutt’al più, si può dire di concessione perpetua delle cave.
Quindi il problema che dobbiamo seguire nella storia seguente è quello della concessione perpetua, non quello della proprietà privata; tenendo presente che qui siamo nel campo della proprietà collettiva (ben nota ai tempi e non nota adesso perché adesso la nostra mente è offuscata dalla proprietà privata).
Ma apro una piccola parentesi: la nostra Costituzione (art. 42, prima alinea, prime due parole) dice “la proprietà è pubblica e privata” e per proprietà pubblica –ha affermato Massimo Severo Giannini, il massimo esponente di diritto amministrativo del novecento– deve intendersi proprietà collettiva demaniale, proprietà collettiva del popolo. Quindi oggi dobbiamo riaffermare che in base alla Costituzione non possiamo parlare più solo come fanno i nostri governi di proprietà privata, ma dobbiamo parlare di proprietà privata e di proprietà collettiva, tenendo presente che la proprietà privata ha un grosso limite: in tanto esiste e in tanto può consistere –direbbe Modestino, il famoso giurista romano– in quanto assicura il perseguimento della funzione sociale della accessibilità del bene a tutti; quindi ci sono grossi limiti alla proprietà privata, che sarebbe il caso di far valere.
Comunque noi parliamo di proprietà collettive e le proprietà collettive sono delle vicinanze secondo quanto si ricava dall’editto del 1751 e il problema non riguarda l’appartenenza della proprietà collettiva, ma riguarda soltanto la concessione, che si ritiene perpetua se l’iscrizione all’estimo è avvenuta già da 20 anni.
Dobbiamo tener presente poi che c’è stato nel 1815, dopo l’affermazione dei principi borghesi della rivoluzione francese, un editto di Beatrice d’Este che ha stabilito la soppressione delle vicinanze e, al posto delle vicinanze, i poteri venivano dati ai comuni. Per cui, mentre le vicinanze erano gestori delle proprietà collettive delle cave secondo l’editto di Maria Teresa, secondo l’editto di Maria Beatrice del 1815 il gestore delle proprietà collettive inerenti alle cave diventa il comune. Quindi questo è un punto fermo.
Nello scorrere del tempo, quando la questione passa attraverso le codificazioni, quindi si pone il problema delle legislazioni successive del codice del 1865 e soprattutto del Regio decreto 1443 del 1927 proprio sulle miniere, in questa sede c’è memoria di questo fatto. Ma questa memoria non può riguardare la proprietà privata dei beni estimati, può riguardare soltanto quelle che ho definito le concessioni perpetue delle cave; e per queste è chiaro l’art. 21 del R.D. il quale dice che la concessione della miniera è temporanea.
Ora l’art. 21 (che è contenuto nel Titolo II del R.D.) , in virtù del richiamo all’art. 45, deve essere esteso anche alle cave. C’è un altro riferimento nel R.D. e precisamente l’art. 53 il quale fa salve le concessioni perpetue delle miniere; questa volta però è soltanto riferito alle miniere, perché l’art. 45 citato estende la disciplina delle miniere alle cave solo per quanto riguarda il Titolo II (cioè solo per quanto riguarda le concessioni temporanee), ma non per quanto riguarda il resto del R.D. e, nel caso di specie, la concessione perpetua (che invece si trova nel Titolo VI del R.D.).
Quindi in base alla legislazione speciale sulle cave e sulle miniere si può dire che il problema della concessione perpetua viene ricordato e riaffermato solo per quanto riguarda le miniere, mentre per le cave resta la regola generale (posta per le miniere e riferita anche alle cave) che la concessione è temporanea.
È essenziale ricordare in proposito l’art. 64 del R.D. il quale dice che entro un anno dalla pubblicazione del decreto i comuni di Carrara e di Massa emaneranno un regolamento da approvarsi dal Ministero dell’Economia Nazionale per disciplinare le concessioni dei rispettivi agri marmiferi.
Ora è chiaro che sul regime proprietario può interloquire soltanto la legge. La legge in questo caso interloquisce sulla proprietà e parla complessivamente di agri marmiferi che comprendono i beni estimati parlando globalmente e inserendo quindi i beni estimati negli agri marmiferi. E la competenza a disciplinare l’appartenenza, l’uso e il godimento di questi beni viene demandata a un regolamento (nella specie si tratterebbe di un regolamento delegato) che deve essere emesso dai comuni di Carrara e di Massa; mi pare che il comune di Carrara abbia emesso il regolamento per disciplinare la materia.
La Costituzione, come sappiamo, nel 1948 ha delegato alle Regioni la potestà legislativa concorrente in materia di cave e torbiere. Per cui la competenza primaria adesso passa dalla legge dello Stato (che può mettere solo i principi fondamentali) alle Regioni.
La Regione Toscana, con la Legge regionale del 2015, all’art. 32 ha stabilito che i beni estimati appartengono al patrimonio indisponibile comunale, mentre il Comune di Carrara ha affermato che tutti gli agri marmiferi ubicati nel proprio territorio nei quali esista attività di estrazione del marmo, compresi quelli definiti come beni estimati, appartengono al patrimonio indisponibile comunale.
Come si vede, da questa sottile ricostruzione: l’editto di Maria Teresa non ha mai parlato di proprietà privata ma di possesso e ha risolto una lite praticamente tra i singoli e le vicinanze (implicitamente affermando la proprietà collettiva del bene gestito dalle vicinanze). La gestione viene trasferita ai comuni dall’editto di Beatrice d’Este nel 1815. La legge che disciplina la materia (la legge del 1927 sulle miniere) trascura completamente la dizione beni estimati e parla di beni marmiferi la cui disciplina viene rimessa ad un regolamento del comune. Resta quindi ferma l’idea che si tratta di proprietà collettiva del popolo e che il comune ha la gestione di questi beni e ne detta la disciplina.
(Domanda): Professore, che cosa hanno trasmesso praticamente questi atti, questi negozi fatti dai notai? Semplicemente il diritto di lavorare?
Giustissima osservazione: a parte i termini usati (proprietà privata), loro hanno trasmesso questa concessione perpetua, il diritto a coltivare la cava.
(Domanda): Che comunque rimane sottoposta ai vincoli che oggi la Costituzione determina.
Esatto, adesso con la Costituzione entra in scena un nuovo personaggio, il paesaggio. E quindi viene in evidenza che nel caso delle cave non esiste un solo bene giuridico, ma due beni giuridici: un bene economico che è quello che dipende dall’estrazione del marmo e un bene paesaggistico rappresentato dal paesaggio perché il marmo fa parte delle montagne e quindi viene posto nella tutela del paesaggio.
La tutela del paesaggio, ai sensi dell’art. 117 comma secondo, spetta allo Stato e quindi le Regioni, nel regolamentare la materia, debbono osservare le leggi dello Stato sul paesaggio che la Corte Costituzionale in famose sentenze ha definito un valore primario ed assoluto.
Questa distinzione tra i due beni, tra il bene economico e il bene paesaggistico, è chiarita in un’altra sentenza, la sentenza 105 del 2008 della Corte Costituzionale la quale distingue due beni giuridici, il bene economico e quello paesaggistico. Quindi è scritto in una precisa sentenza della Corte Costituzionale che in virtù del fatto che il bene paesaggistico ha un valore primario e assoluto, in caso di contrasto tra i due beni, la prevalenza deve essere data alla tutela del paesaggio, piuttosto che alla tutela dell’interesse economico.
Concludendo: quanto al profilo proprietario non c’è dubbio che la proprietà di cui si può parlare è stata sempre una proprietà collettiva demaniale, una proprietà collettiva del popolo, non una proprietà individuale.
Quello di cui si può parlare è solo la concessione perpetua e la concessione perpetua viene disciplinata anche dalla legge sulle cave e sulle miniere del 1927 ed è esclusa la concessione perpetua per quanto riguarda le cave (mentre è ammessa soltanto per quanto riguarda le miniere).
E per quanto riguarda la disciplina delle cave tutto viene rimesso ad un regolamento delegato che ha valore di legge (del Comune di Carrara e di Massa per i rispettivi territori).
A tutto questo, oltre questo profilo proprietario che secondo me è estremamente lineare, c’è da aggiungere il profilo paesaggistico che trova tutela nella Costituzione che pone evidenza che tra il bene economico (cioè lo sfruttamento della cava) e il bene paesaggistico, la tutela del bene paesaggistico deve prevalere sul bene economico.
Quindi la disciplina che le Regioni devono dettare deve tener conto di questi principi costituzionali, di queste sentenze della Corte Costituzionale e credo che non ci siano dubbi nel fatto che sia assolutamente fuor di luogo parlare di proprietà privata dei possessori dei beni estimati: i beni estimati sono riferibili a quei beni che erano stati dati in concessione perpetua ma non in proprietà privata.
Per saperne di più:
Sui beni estimati:
Corte Costituzionale, ricorso Stato contro Legge regionale 35/2015 sulle cave (beni estimati): la difesa della Regione (20/9/2016, 21 MB)
Respingere l’usurpazione dei beni estimati: lettera aperta al giudice (22/6/2016)
I beni estimati sono pubblici (purché la Regione lo voglia davvero) (21/3/2016)
Le nostre osservazioni preliminari alla proposta di legge regionale sulle cave (sintesi, 18/7/2014)
I beni estimati sono pubblici: inizia il coro dei piagnistei? (13/5/1014)
Beni estimati e regolamento: l’amministrazione non giochi a nascondino (14/11/2013)
Gli Atti dell’incontro di presentazione della proposta di nuovo Regolamento degli agri marmiferi (15/2/2013)
Il Comune si riappropri delle cave: il marmo deve tornare a dare benefici ai cittadini (27/10/2010)
Esposto per il riconoscimento delle cave come beni comuni (5/10/2005)