Al Comune di Carrara
– Settore OO.PP., Urbanistica e SUAP
ing. Luca Amadei
– Settore Marmo
dott. Pietro Leoncini
p.c. ai soggetti competenti in materia ambientale:
Regione Toscana; Provincia di Massa Carrara; Ente Parco Regionale Alpi Apuane; Comune di Massa; Comune di Sarzana; Comune di Fosdinovo; Comune di Ortonovo; Comune di Fivizzano; IRPET – Istituto regionale di Programmazione Economica; Ufficio Tecnico del Genio Civile di Massa Carrara; Soprintendenza beni architettonici, Lucca e Massa Carrara; Soprintendenza beni archeologici per la Toscana; ARPAT – Direzione regionale di Firenze; ARPAT – Dip. di Massa e Carrara; ASL N. 1 di Massa Carrara; GAIA spa; Consorzio di bonifica Toscana Nord; ATO Toscana Costa – Rifiuti; Corpo Forestale dello Stato – Ispettorato generale; Autorità Portuale, Marina di Carrara; Camera di Commercio Massa Carrara; Toscana Energia; ANAS; Confartigianato Massa Carrara; Lega Coop. Toscana; FENEAL UIL Massa; Società Speleologica Italiana; IMM Carrara spa; Consorzio Zona Industriale; Associazione Industriali Massa Carrara; Assoc. Direttori e Progettisti di cava; CNA Massa Carrara; CAI Carrara; CAI Commiss. Reg. TAM; FAI Delegazione LU-MS; Italia Nostra, Roma; WWF Toscana; CGIL Massa Carrara; FILCA CISL
Oggetto: Piani attuativi dei bacini estrattivi del Comune di Carrara: contributo alla VAS
In relazione alla VAS, avviata il 5/7/16 con la consultazione sul documento preliminare dei piani attuativi dei bacini estrattivi (PIT/PPR e L.R. 65/2014), finalizzato alla definizione dei contenuti del rapporto ambientale, si invia un nostro primo contributo.
La redazione dei piani attuativi di bacino estrattivo, introdotti dalla L.R. 65/2014, è un’occasione unica per riportare ordine e rispetto della legalità nell’escavazione, dare concreta attuazione agli obiettivi, direttive e prescrizioni del PIT-Piano paesaggistico e rendere coerente l’applicazione delle varie normative di settore, perseguendo sinergie ed evitando antagonismi.
Per tali ragioni, la definizione dei contenuti del rapporto ambientale e, soprattutto, dei relativi indicatori (operazioni tutt’altro che puramente tecniche, neutrali e asettiche) può giovarsi grandemente della esplicitazione di una vision dei bacini estrattivi carraresi, che funga da guida, riferimento, ausilio e ispirazione. Si tratta di esplicitare quale “sogno” vorremmo che il piano attuativo rendesse realtà; ne proponiamo di seguito una bozza di definizione.
1. La vision dei bacini marmiferi carraresi
Bacini finalizzati a creare lavoro e ricchezza diffusa a tutta la città; dai quali estrarre marmo destinato principalmente alla lavorazione locale (solo in piccola parte destinato all’esportazione); dai quali si prelevi il giusto (contingentamento), assicurando alle future generazioni la possibilità di utilizzo dei giacimenti marmiferi; dedicati ad un’escavazione di qualità, che privilegi i marmi più pregiati per gli impieghi artistici e architettonici, massimizzando il reddito per ogni unità di volume estratto; che limitino al minimo il danno alla montagna, abbandonando le cave con marmo di qualità scadente (troppo danno rispetto al reddito prodotto) o troppo fratturato (troppi detriti rispetto ai blocchi); che mantengano la spettacolarità delle cave eliminandone, invece, le brutture; con montagne pertanto ripulite dai ravaneti e dalle discariche di terre che stanno soffocando versanti, valli e fossi; con cave lavorate con cura e amore, ordinate, pulite come uno specchio, senza terre, marmettola e fanghi esposti agli agenti meteorici; nelle quali si lavori nel massimo rispetto della sicurezza, delle prescrizioni e della legalità (con tolleranza zero verso ogni violazione); rispettose dell’ambiente (fiumi, sorgenti, vette, crinali, paesaggio) e dei cittadini (minimizzando traffico, polveri, rumori); bacini nettamente separati dal Parco Regionale delle Apuane da una fascia di territorio inviolabile, naturale o rinaturalizzato; con cave liberamente accessibili ai turisti (sia pure a distanza di sicurezza); bacini gestiti con un’ottica multiobiettivo, per conseguire contestualmente altri obiettivi (ad es. ridurre il rischio alluvionale, valorizzare il turismo, le risorse archeologiche, ecc.); insomma, bacini di cui tutti i carraresi possano essere fieri e nessuno possa lamentarsi.
Se questa è la vision alla quale i piani attuativi intendono ispirarsi (in caso contrario è bene che ne sia esplicitata un’altra), il suo stridente contrasto con la realtà risulta di grande aiuto per individuare i problemi che i piani attuativi devono risolvere e, perciò, gli obiettivi, le azioni e gli indicatori per misurare gli impatti e monitorarne i futuri, auspicabili, miglioramenti. In questa sede si forniscono alcuni spunti, riservandoci di fornire altri contributi nel prosieguo del procedimento di VAS.
2. Qualità e valore del marmo, contingentamento
Un primo suggerimento che scaturisce dalla vision (privilegiare l’estrazione dei marmi più pregiati, contingentare le quantità estraibili) è la realizzazione di una cartografia tematica in cui le aree marmifere siano mappate secondo classi di valore di mercato del marmo estraibile.
Quest’ultimo, infatti, può essere uno dei criteri rilevanti per individuare sia le aree estrattive prioritarie sia quelle che è conveniente escludere dall’escavazione (in quanto, a parità di impatto ambientale, se ne traggono benefici limitati).
Un’analoga mappatura dei quantitativi di marmo esistenti nel giacimento per ciascuna classe di valore di mercato può essere utile nel dimensionare il contingentamento dei quantitativi annui estraibili.
3. Limitare il danno alla montagna, abbandonare le cave con troppi detriti, rispetto della legalità
I quantitativi annui estratti da ciascuna cava (disaggregati in blocchi, scaglie bianche, scaglie scure, scogliere, terre e tout venant, con le relative percentuali) sono dati di primaria importanza per individuare quelle cave che, producendo percentuali basse di blocchi ed eccessive di detriti, comportano un bilancio costi-benefici ambientale sconveniente (a prescindere dal valore del marmo e dal bilancio economico aziendale).
Nei piani attuativi le superfici di queste cave potrebbero essere mappate in opportune categorie quali, a titolo di esempio:
- cave da chiudere immediatamente (ad es. cave con resa in blocchi inferiore al 10% nell’ultimo quinquennio) e da rimuovere dalle aree a destinazione estrattiva;
- da diffidare a rientrare immediatamente nel rapporto blocchi/detriti di almeno il 25%/75%, pena la chiusura e la rimozione dalle aree a destinazione estrattiva (ad es. cave con resa in blocchi del 10-20% nell’ultimo quinquennio);
- da attenzionare in vista della chiusura qualora, nel quinquennio successivo, dovessero proseguire senza migliorare la resa in blocchi (ad es. cave con resa in blocchi del 20-25% nell’ultimo quinquennio).
Nello schema DPSIR[1] dell’EEA (Agenzia Europea dell’ambiente) quelli sopra elencati sono inquadrabili tra gli indicatori di stato (in quanto rappresentativi della resa in blocchi), ma anche tra quelli di impatto (poiché l’eccessiva produzione di detriti è una misura della distruzione materiale della montagna, peraltro non giustificata da adeguati benefici).
I dati dei quantitativi estratti e portati a valle da ciascuna cava sono già disponibili (in quanto registrati alla pesa comunale) e, per il decennio 2005-2014, sono sintetizzati nella Fig. 1.
Fig. 1. Numero di cave e relativa percentuale di detriti nel decennio 2005-2014. 55 cave (pari al 59% delle 93 cave attive nel decennio) violano il PRAER, avendo prodotto il 75-100% di detriti (in rosso e arancione); le 14 cave (in giallo e arancio chiaro) con detriti compresi tra 0 e 50% (apparentemente virtuose) in realtà abbandonano i detriti al monte; solo 24 cave (in verde) rispettano il PRAER.
Fonte: elaborazione Legambiente dei dati ufficiali forniti dal Comune di Carrara.
Utilizzando tali criteri è evidente che le 25 cave col 90-100% di detriti (in rosso nella figura) appartengono alla categoria 1 (da chiudere immediatamente), mentre nelle categorie 2 e 3 (anch’esse candidate alla chiusura) rientrano 30 cave. È evidente già da questi primi indicatori come l’utilizzo di criteri razionali nei piani attuativi comporti una rivoluzione dell’attuale assetto dei bacini estrattivi.
Dalla figura si evince che 24 cave (in verde, col 25-75% di detriti) rispettano il PRAER.
Anche le restanti 14 cave rispettano formalmente il PRAER, anzi sono apparentemente “miracolose”: 8 hanno detriti compresi tra il 10 e il 50% (blocchi 50-90%) e 6 hanno detriti inferiori al 10% (blocchi 90-100%); 4 di esse, addirittura hanno soli blocchi (zero detriti nel decennio!). È tuttavia evidente che percentuali così basse di detriti, essendo inverosimili, rivelano semplicemente che si tratta di cave che, anziché accollarsi il costo di trasportare a valle i detriti, li abbandonano al monte, riducendolo ad una discarica a cielo aperto. Non si tratta dunque di cave virtuose, ma di cave che, violando platealmente il PRAER e le prescrizioni delle autorizzazioni, sono da chiudere immediatamente (in ossequio al principio della tolleranza zero verso ogni violazione).
Per queste 14 cave potrebbe pertanto essere utilizzato il seguente indicatore di (il)legalità e creata la corrispondente categoria:
- cave con detriti inferiori al 50%, da chiudere immediatamente (revoca di autorizzazione e concessione, per abbandono di rifiuti) e da affidare ad un nuovo concessionario, con procedura di gara.
Merita osservare che, viste le conseguenze di assoluta rilevanza pratica di questi indicatori, è fondamentale assicurarsi della loro attendibilità, cioè che i dati registrati alla pesa comunale riflettano fedelmente i quantitativi estratti da ciascuna cava.
Oggi tale attendibilità non è assicurata, visto che alla pesa si assume come cava di provenienza quella dichiarata dal camionista. Pertanto, fermo restando che le cave con le violazioni più clamorose vanno chiuse, per questi indicatori i piani attuativi dovranno introdurre chiare procedure di tracciabilità della cava di provenienza (ricorrendo, ad esempio, a dispositivi informatici di geotracciamento).
Un secondo motivo di inattendibilità, come visto, è l’abbandono di detriti al monte. A questo può porsi rimedio con disposizioni ferree che –pena la revoca definitiva dell’autorizzazione– vietino lo scarico di detriti nei ravaneti (compreso quello nella forma di deposito temporaneo) e prescrivano la rimozione dei ravaneti esistenti. Un utile strumento di controllo può essere l’acquisizione annuale di una scansione Lidar ad alta risoluzione delle aree estrattive (vie d’arroccamento e ravaneti compresi).
Come indicatori di risposta (fondamentali per valutare le azioni adottate per contrastare le violazioni del PRAER e correggere l’eventuale insufficienza dei controlli) si riportano, a titolo orientativo, i seguenti:
- rapporto tra il numero di atti amministrativi adottati (contestazioni, sanzioni, sospensioni) nei confronti delle cave che hanno prodotto percentuali di detriti eccessive o troppo basse (quindi con abbandono dei detriti al monte) e il numero delle cave attive;
- efficacia degli atti amministrativi adottati: rapporto tra gli atti amministrativi che hanno condotto alla soluzione del problema e il numero degli atti amministrativi emanati.
Gli indicatori proposti in questo paragrafo, scaturiti direttamente dalla vision, confermano la sua importanza centrale. Ciò conferma quanto accennato in premessa: la definizione dei contenuti del rapporto ambientale e dei relativi indicatori non è un’operazione puramente tecnica, ma implica necessariamente una vision[2] e un aggiornamento del quadro regolamentare e degli strumenti di controllo.
4. Cave pulite come uno specchio, rispettose di fiumi e sorgenti
Marmettola e terre, presenti nelle cave sotto forma di polveri, fanghi o cumuli e in quantità estremamente rilevanti nei ravaneti e nelle discariche montane (prescindendo dalla loro denominazione, es. stoccaggio, temporaneo o meno) sono dilavate dalle piogge e trascinate nel sistema carsico (inquinando l’acquifero e le sorgenti) o nelle acque superficiali (intorbidando i torrenti).
È del tutto evidente che per evitare questi impatti occorre che tutte le superfici esposte alle acque meteoriche (cave, versanti, ravaneti, vie d’arroccamento) siano prive di marmettola e terre. Da qui la necessità di prescrivere la costante e assoluta pulizia di tutte le superfici di cava e di rimuovere la marmettola e le terre presenti nei ravaneti.
Per valutare (e in seguito monitorare) l’inquinamento delle acque sotterranee e superficiali potrebbero essere usati, come indicatori (di stato e di impatto):
- l’andamento negli anni, per ciascuna sorgente dotata di turbidimetro (da installare in quelle che ne sono sprovviste), del numero di giorni in cui è stata rilevata torbidità; considerato che questo indicatore presenta il limite della dipendenza dal numero di giorni piovosi, può essere utilmente associato al seguente:
- l’andamento negli anni, per ciascuna sorgente dotata di turbidimetro, del rapporto tra il numero di giorni in cui è stata rilevata torbidità e il numero di giorni con precipitazioni superiori ad una data soglia (ad es. 30 mm);
- l’andamento negli anni del numero di giorni in cui nel Carrione si è manifestata torbidità attribuibile all’attività estrattiva (escludendo dunque quella da lavori in alveo);
- l’andamento negli anni del rapporto tra tali giorni e i giorni con precipitazioni superiori ad una data soglia (ad es. 30 mm).
Come indicatori di pressione potrebbero essere usati indicatori rappresentativi, almeno a livello orientativo, delle quantità di marmettola e terre presenti al monte. Ad es.:
- per ciascuna cava, superficie totale e % della superficie coperta da marmettola o terre, meglio se associata ad un indicatore della quantità dei materiali fini, esprimibile anche in una semplice scala ordinale a 3 livelli (es.: poca, media, molta) o a 5 livelli;
- un indicatore costruito in maniera analoga per i ravaneti, eventualmente disaggregando i ravaneti tipici da quelli con contenuto di terre molto rilevante;
- per ogni sottobacino estrattivo, rapporto tra la superficie coperta da marmettola o terre nelle cave e nei ravaneti (somma delle superfici dei due punti precedenti) e superficie totale.
Come indicatori di risposta (finalizzati a valutare le azioni adottate per contrastare i problemi evidenziati dagli indicatori sopra elencati) si riportano, a titolo orientativo, i seguenti:
- numero di atti amministrativi adottati (ordinanze, sanzioni, ecc.) nei confronti delle cave con superficie coperta da marmettola e terre;
- rapporto tra tali atti amministrativi e il numero delle cave con superficie coperta da marmettola e terre;
- efficacia degli atti amministrativi adottati: rapporto tra gli atti amministrativi che hanno condotto alla soluzione del problema e il numero degli atti amministrativi emanati.
5. Individuare gli impatti: il rischio alluvionale
Come rammentato nel cap. 13 del Documento Preliminare, il Rapporto Ambientale dovrà individuare, descrivere e valutare gli effetti significativi dei piani attuativi e le ragionevoli alternative. Tra questi effetti riveste indubbiamente particolare rilievo il rischio alluvionale.
Abbiamo già rilevato in altri documenti l’incremento di tale rischio conseguente all’attuale gestione dei bacini estrattivi, con particolare riferimento a due aspetti: gli apporti solidi agli alvei provenienti dai ravaneti e la canalizzazione delle acque (conseguente soprattutto all’occupazione degli alvei da parte delle strade montane). In questa sede ci si limita ad una breve sintesi delle problematiche, rinviando quando necessario alla lettura dei nostri documenti.
Il primo aspetto può essere così descritto telegraficamente: mentre i vecchi ravaneti (senza terre) assorbono acqua riducendo il rischio alluvionale, i nuovi ravaneti (ricchi di marmettola e terre) non si limitano ad inquinare le acque superficiali e sotterranee, ma aggravano il rischio alluvionale in due modi: 1) riducendo la permeabilità e quindi la funzione di “spugna” dei ravaneti (assorbimento di acque piovane che, rilasciate lentamente in seguito, passata la piena, non contribuiscono alle portate di piena); 2) riducendo la capacità idraulica degli alvei grazie all’apporto di detriti, sia esso graduale o massivo (in occasione delle colate detritiche, favorite proprio dai materiali fini contenuti nei ravaneti: Fig. 2).
Fig. 2. A: imponente colata detritica del ravaneto Pescina-Crestola in occasione dell’alluvione del sett. 2003. B: lo stesso ravaneto nel 2009, risistemato e con la via d’arroccamento asfaltata. C: lo stesso dopo l’alluvione del nov. 2014: la strada è stata spazzata via da una nuova colata detritica e al piede del ravaneto si è aperta una voragine da frana. Questi eventi apportano impulsivamente grandi quantità di detriti al sottostante alveo del can. Porcinacchia.
Il secondo aspetto concerne la canalizzazione delle acque conseguente all’occupazione degli alvei da parte delle strade montane, sia essa parziale o totale (Fig. 3).
Fig. 3. Via Canaloni, a monte di Colonnata. La strada è stata costruita in pieno alveo riservando al deflusso delle acque la sola canalina stradale. È ovvio che con le forti precipitazioni l’alveo diventi l’intera strada, accelerando fortemente il deflusso e aggravando perciò il rischio alluvionale a Carrara.
Le conseguenze di queste trasformazioni territoriali sono evidenti: in occasione di forti precipitazioni le acque, non rallentate dallo scorrimento negli alvei naturali (larghi, sinuosi e dotati di scabrezza), scorrono in maniera accelerata sull’asfalto (o nei canali laterali in cemento) e si precipitano su Carrara provocando un’accentuazione dei picchi di piena. La problematica è ben argomentata nel documento Carrione: le proposte di Legambiente per il piano di gestione del rischio alluvioni.
Possibili indicatori dell’accresciuto rischio alluvionale derivante dai due aspetti appena considerati sono:
- rapporto tra la superficie dei ravaneti con abbondante frazione terrosa (eventualmente combinata al loro spessore) presente in ogni sottobacino e la superficie totale del sottobacino stesso;
- rapporto tra i km di strade (distinguendo tra asfaltate e sterrate) occupanti parzialmente o totalmente l’alveo originario e i km totali di strade montane.
6. Strategia multiobiettivo, ridurre il rischio alluvionale, eliminare le canalizzazioni
Nell’ambito della strategia di gestione multiobiettivo dei bacini estrattivi evocata nella vision, volta a conseguire contestualmente altri obiettivi, ricercando sinergie ed evitando antagonismi, l’obiettivo della riduzione del rischio alluvionale riveste indubbiamente una particolare importanza. D’altronde lo stesso Documento Preliminare di VAS rammenta che il piano attuativo, in coerenza con il PIT e gli altri piani territoriali e settoriali, inserisce, tra i numerosi obiettivi, la tutela del territorio dal rischio idraulico e geomorfologico, nonché la riqualificazione degli ecosistemi fluviali alterati, prevenendone ulteriori alterazioni.
Desta pertanto sorpresa e grande preoccupazione il fatto che nel cap. 10 del Documento Preliminare, oltre alle criticità rilevate dalla scheda PIT/PPR, sia stata inserita, tra le “altre criticità”, la «necessità di completare la canalizzazione delle acque» anziché la necessità di ripristinare gli alvei eliminando le canalizzazioni. Questa “necessità”, non contenuta nei piani territoriali esaminati, è evidentemente solo una convinzione del Comune, peraltro confermata dalle canalizzazioni recentemente realizzate (si veda Come opera la fabbrica del rischio alluvionale: la bonifica dei ravaneti) e dal proposito manifestato di procedere ad altre canalizzazioni (es. lungo la strada per Ravaccione).
Come ben argomentato nel nostro documento Carrione: le proposte di Legambiente per il piano di gestione del rischio alluvioni, la gestione del bacino montano del Carrione è un caso “da manuale” di modalità gestionali da evitare: con le canalizzazioni si accelerano i deflussi e si riduce la frequenza d’esondazione laddove arrecherebbe ben pochi danni (vista la pochezza dei beni esposti nel territorio montano), senza tener conto che in questo modo si accentuano i picchi di piena che transitano dal centro abitato di Carrara al mare, cioè si accresce il rischio proprio nel territorio in cui l’inondazione arrecherebbe danni molto ingenti. Un vero caso di autolesionismo: più spenderemo in questo tipo di interventi, più aumenterà il danno complessivo.
Considerata l’importanza del problema riproponiamo in sintesi la nostra proposta: per quanto riguarda le strade costruite in alveo proponiamo il loro smantellamento (ricostruendole ad una quota più elevata) e la rinaturalizzazione dell’alveo, conseguendo la riduzione del rischio alluvionale attraverso il rallentamento dei deflussi nell’alveo rinaturalizzato. Ci limitiamo ad illustrare la proposta con la sola Fig. 4, rinviando per approfondimenti a Fermare la fabbrica del rischio alluvionale. Salvare i ponti intervenendo su ravaneti e strade in alveo.
Fig. 4. A: situazione attuale del canale di Sponda, con l’alveo ristretto e confinato in un canale in cemento per “guadagnare” spazio e costruirvi la strada per Ravaccione. B: simulazione grafica di un intervento di rinaturalizzazione, con restituzione all’alveo dell’intero spazio di fondovalle e ricostruzione della strada ad una quota più elevata (a destra); estendendo questo approccio a tutti gli alvei montani oggi sepolti da strade si otterrebbe una notevole riduzione del rischio alluvionale a valle (oltre alla riqualificazione degli ecosistemi fluviali alterati).
Per le ragioni esposte riteniamo che tra le criticità individuate nel Documento Preliminare debba essere eliminata la «necessità di completare la canalizzazione delle acque» e che, per maggior chiarezza, debba essere esplicitamente sostituita dalla «necessità di ripristinare gli alvei eliminando le canalizzazioni esistenti».
Per quanto riguarda invece la relazione tra ravaneti e rischio alluvionale, considerato che i ravaneti di sole scaglie riducono il rischio alluvionale e quelli contenenti terre lo aumentano, la soluzione è elementare: Carrara ha bisogno di un grandioso intervento che preveda lo smantellamento di tutti i ravaneti recenti, da sottoporre a vagliatura e all’allontanamento delle terre e da ricostruire con le sole scaglie pulite (accompagnato da interventi di stabilizzazione anche nei confronti di precipitazioni eccezionali).
Ovviamente, per non vanificare l’intervento, occorrerà porre alle cave prescrizioni ferree sul mantenimento di una pulizia assoluta nelle cave, pena l’immediato e definitivo ritiro dell’autorizzazione. In tal modo i ravaneti ripuliti si comporterebbero da spugne, svolgendo un ruolo analogo a quello dei previsti bacini montani di laminazione delle piene.
Merita precisare che, per sfruttare pienamente la capacità assorbente dei ravaneti così ripuliti e risistemati (dalla quale dipende la riduzione del rischio alluvionale), occorre evitare anche la regimazione e la canalizzazione delle acque lungo i ravaneti stessi, siano essi percorsi o meno da vie d’arroccamento (Fig. 5). In quest’ultimo caso, quantomeno, l’eventuale canalina laterale (assorbente, non in cemento!) dovrebbe recapitare ad ogni curva in un apposito pozzo assorbente.
Fig. 5. La regimazione delle acque lungo le vie d’arroccamento è generalmente realizzata mediante semplici solchi scavati nel ravaneto (frecce in A) o, raramente, rivestiti in corrugato metallico (B).
Un aspetto delicato degli interventi proposti è la potenziale conflittualità tra riduzione del rischio alluvionale e protezione delle sorgenti: da un lato, infatti, le canalizzazioni accentuano il rischio alluvionale mentre dall’altro, riducendo l’infiltrazione delle acque, riducono il rischio d’inquinamento delle sorgenti.
Lo strumento chiave per superare tale conflittualità (garantendo che l’accresciuto assorbimento al quale si deve riduzione del rischio alluvionale sia costituito da acque pulite) sono proprio le prescrizioni ferree dell’assoluta pulizia nelle cave sopra citate.
La convenienza della strategia multiobiettivo qui proposta è evidente in quanto si otterrebbero contestualmente i seguenti obiettivi:
- riduzione del rischio alluvionale;
- salvaguardia delle sorgenti dai frequenti intorbidamenti da marmettola e terre;
- accresciuto rimpinguamento dell’acquifero (quindi rarefazione dei periodi di scarsità idrica)
- riqualificazione dei sistemi fluviali alterati;
- mantenimento della possibilità di utilizzare i ravaneti come supporto alle vie d’arroccamento.
Per monitorare l’efficacia di questi interventi possono essere utilizzati come indicatori l’andamento negli anni degli indicatori già proposti nel paragrafo “5. Individuare gli impatti: il rischio alluvionale”, nonché l’andamento negli anni del rapporto tra i giorni con torbidità nelle sorgenti (e nei corsi d’acqua) e i giorni con precipitazioni superiori ad una data soglia (ad es. 30 mm).
7. Creare ricchezza diffusa e occupazione nella filiera locale
Si tratta di obiettivi della massima importanza che devono perciò ricevere analoga attenzione. La L.R. 35/2015 si pone già espressamente questi obiettivi; i piani attuativi possono favorirne il raggiungimento sia con l’indicazione di inserire nel bando di gara per il rilascio delle concessioni un’apposita consistente premialità, sia con la prescrizione “cave pulite come uno specchio” esposta nel paragrafo 4.
È del tutto evidente, infatti, che tenere costantemente pulite le superfici di cava richiede un’occupazione aggiuntiva e si traduce perciò nell’impiego di una parte dei profitti (quelli finora risparmiati scaricando sulla comunità i costi dell’inquinamento ambientale) per conseguire miglioramento ambientale (e della sicurezza), nuova occupazione, ricchezza diffusa.
8. Nuova strada cave Sagro: non pregiudicare piani attuativi con colpi di mano
Il Documento preliminare individua tra le criticità del bacino di Torano la presenza di «un’area ad alta fratturazione e minor resa produttiva». Sebbene non ne venga dichiarata la localizzazione, vi sono buone ragioni per ritenere che tale area comprenda la fascia delle cave Canalbianco, Amministrazione, Polvaccio. Inducono a ritenerlo l’intensa fratturazione del marmo, la presenza di pochi blocchi (e mal riquadrati, per non ridurne eccessivamente il volume), gli estesi ravaneti presenti e, non ultima, la titolarità dell’Omya che, in quanto multinazionale del carbonato di calcio, avrebbe interesse a sbriciolare la montagna anche al solo scopo di prelevarne scaglie.
Se così fosse si tratterebbe proprio di quelle cave che nella Fig. 1 hanno estratto una percentuale di detriti del 90-100% per un intero decennio e che, pertanto, nel paragrafo 3 (“Limitare il danno alla montagna, abbandonare le cave con troppi detriti…”) abbiamo incluso nella categoria “cave da chiudere immediatamente”.
Sarà doveroso, nel Rapporto Ambientale, evitare frasi elusive, indicando esattamente quali cave rientrino in ciascuna fascia di produzione percentuale di detriti. Tuttavia, considerato che il Comune conosce perfettamente fin da ora tali dati, ha la responsabilità di evitare che, nelle more dell’approvazione dei piani attuativi, vengano autorizzati interventi che potrebbero pregiudicarne in partenza l’efficacia, vanificandoli.
Ci riferiamo in particolare al progetto (indicato nel protocollo d’intesa tra Parco, Provincia e comuni di Fivizzano e Carrara) di realizzare il tratto di nuova viabilità per collegare le cave dei monti Sagro e Borla alla via d’arroccamento di Canalbianco, facendo scendere i camion nel versante carrarese. Se, infatti, tale progetto appare già di per sé altamente impattante (sia perché la strada inciderebbe sulla ZPS praterie primarie e secondarie delle Apuane, sia per il rinnovato assalto al Sagro che la strada stessa indurrebbe, rimuovendo gli attuali ostacoli legati alla viabilità inidonea ai camion), la sua realizzazione assumerebbe particolare gravità qualora vi fossero ragionevoli possibilità che il processo di VAS conduca a interdire o limitare l’attività estrattiva nel bacino Canalbianco per l’eccessiva produzione di detriti.
Pertanto, ferma restando la necessità di rendere pubblici tutti i dati delle singole cave, per consentire una partecipazione efficace e consapevolmente informata, riteniamo che nelle more dell’approvazione dei piani attuativi debbano essere evitati interventi discutibili e, a maggior ragione, veri e propri colpi di mano. Nello specifico, riteniamo perciò indispensabile sospendere la progettazione del tratto di nuova via d’arroccamento per collegare le cave del Sagro a Carrara.
Riservandoci di presentare ulteriori contributi nel prosieguo del procedimento porgiamo distinti saluti.
Legambiente Carrara
Note
[1] Lo schema DPSIR distingue gli indicatori, secondo la loro finalità, in: Determinanti, Pressioni, Stato, Impatto, Risposta. [torna al testo]
Per saperne di più:
VAS Documento preliminare dei piani attuativi dei bacini estrattivi (giugno 2016, 2,3 MB)
Cave: il falso conflitto ambiente-occupazione (1/8/2016)
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Le nostre osservazioni preliminari alla proposta di legge regionale sulle cave (testo integrale, 17/7/2014, 236 KB)
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