Firenze, lì 1 giugno 2016
Ministero dell’Ambiente e della Tutela
del Territorio e del Mare
– D.G. Salvaguardia del territorio e delle acque
PEC: dgsta@pec.minambiente.it
– D.G. Protezione della Natura e del Mare
PEC: PNM-II@pec.minambiente.it
– D.G. Rifiuti e Inquinamento
PEC: DGRin@pec.minambiente.it
Regione Toscana
– D.G. Ambiente ed Energia,
Sett. Tutela Natura e Mare
PEC: regionetoscana@postacert.toscana.it
p.c. Parco Regionale delle Alpi Apuane
PEC: parcoalpiapuane@pec.it
ARPAT
PEC: arpat.protocollo@postacert.toscana.it
Oggetto: proposta e richiesta di misure efficaci per prevenire l’inquinamento
da marmettola delle sorgenti e dei fiumi apuani
1. Marmettola: attenzione positiva, ma rischio di inconcludenza
Negli ultimi mesi si è riaccesa l’attenzione a livello ministeriale e regionale sul problema della marmettola che ad ogni pioggia intorbida i fiumi e le sorgenti apuane. Interveniamo nel dibattito poiché riteniamo che, non essendo stato identificato il nocciolo del problema, sia elevato il rischio di non individuarne le soluzioni.
In particolare, a seguito della lettera del 20/8/15 del Gruppo di intervento giuridico Onlus (GrIG), il MATTM ha richiesto alla Regione Toscana informazioni sullo stato di qualità dei fiumi Carrione e Frigido e sulle misure adottate per assicurare il raggiungimento degli obiettivi ambientali al 2015 previsti dalla Direttiva quadro sulle acque 2000/60/CE. La Regione, effettuate le verifiche interne ed acquisite informazioni dagli enti competenti, ha esposto il quadro della situazione ambientale e delle misure adottate, che riassumiamo brevemente nella tabella 1.
Tab. 1. Sintesi della relazione della Regione Toscana sulla situazione ambientale e sulle misure adottate per contenere l’impatto ambientale delle cave, con particolare riguardo alla problematica della marmettola.
N. | Oggetto | Misure |
1 | SIC-ZSC | DGR 644/04: limitazione all’espansione dei bacini estrattivi; interventi di risanamento di ravaneti (discariche di cava) e di corsi d’acqua inquinati.
Sono in corso d’approvazione misure di conservazione dei SIC che prevedono l’utilizzo delle migliori pratiche, il recupero e la bonifica di cave dismesse, il miglioramento della qualità delle acque. |
2 | Acque superficiali | A causa dell’impatto sui macroinvertebrati, lo stato ecologico risulta sufficiente per il Frigido e scarso per il Carrione. |
3 | Acque sotterranee | Monitorate 13 sorgenti captate a scopo idropotabile: stato di qualità buono.
Il Piano di Tutela delle Acque si pone l’obiettivo di salvaguardia dell’acquifero carsico mediante misure di protezione delle cave. |
4 | Acque superficiali e sotterranee | La L.R. n. 20/2006 e il suo regolamento 46r/2008 dettano norme per la corretta gestione delle acque meteoriche (anche) nelle cave; spetta all’ente autorizzante l’attività estrattiva (nel caso specifico i comuni: ndr) verificare (in fase d’istruttoria e d’esercizio) che siano adottati tutti gli accorgimenti per prevenire la contaminazione delle acque.
I ravaneti, ai sensi del D.lgs. 117/2008, possono configurasi come strutture di deposito dei rifiuti d’estrazione e la loro gestione richiede una preventiva autorizzazione. Il piano di gestione dei rifiuti estrattivi e il relativo monitoraggio devono perciò dimostrare che sia impedito (a breve e a lungo termine) l’inquinamento del suolo e delle acque superficiali e sotterranee. Anche la recente L.R.35/2015 richiede che la domanda d’autorizzazione sia corredata dal suddetto piano di gestione dei rifiuti e dal piano di gestione delle acque meteoriche di dilavamento. In riferimento alla marmettola, va considerata sia quella prodotta dall’escavazione sia quella contenuta nei ravaneti. |
5 | Marmettola | Il Piano regionale di gestione dei rifiuti e bonifica dei siti inquinati (DCR 94/2014) prevede il sostegno alla ricerca e all’innovazione per il riutilizzo e riciclaggio della marmettola. |
A prima vista, prescindendo da una riserva di natura tecnica sull’esito del monitoraggio delle acque sotterranee[1], dovremmo concludere che disponiamo di un apparato normativo adeguato a prevenire l’inquinamento da marmettola delle acque superficiali e sotterranee.
L’acuta permanenza del problema, tuttavia, è la prova tangibile dell’inadeguatezza dell’insieme delle misure finora adottate. Né, a nostro parere, è possibile attendersi qualche significativo miglioramento dalle pur lodevoli misure che la Regione si propone di attuare, visto che anche nella recente corrispondenza epistolare non è stata messa a fuoco la causa fondamentale: sono le autorizzazioni stesse che, di fatto, rilasciano la licenza ad inquinare con marmettola!
Gli organi tecnico-amministrativi preposti all’istruttoria e al rilascio delle autorizzazioni all’attività estrattiva, infatti, non traducono i principi normativi sopra citati in prescrizioni operative adeguate, né le accompagnano con sanzioni dissuasive in caso di inadempienza. Ciò vanifica completamente l’efficacia dell’intero apparato normativo, tanto da rendere imprescindibile –a nostro parere– un intervento a livello ministeriale e/o regionale volto ad assicurare il rispetto della normativa ambientale, che espliciti pertanto almeno le principali prescrizioni in cui deve concretamente tradursi il principio generale di evitare l’inquinamento delle acque. È quanto ci proponiamo di meglio argomentare di seguito.
2. Marmettola: inquadramento sintetico del problema
L’intorbidamento delle acque superficiali e sotterranee e le sue cause, oltreché ampiamente studiati, sono clamorosamente evidenti anche ad occhio nudo; ricorriamo perciò ad un sintetico corredo fotografico che, meglio di tante parole, fa comprendere le cause e l’entità del problema anche a chi non abbia conoscenza diretta della situazione apuana.
L’inquinamento da marmettola e terre di cava che ad ogni pioggia intorbida i corsi d’acqua (Fig. 1) è la diretta conseguenza delle attuali irresponsabili modalità di coltivazione delle cave e di gestione dei detriti d’escavazione. Lo scenario abituale delle cave, infatti, è quello di piazzali invasi da fanghi di marmettola e terre (Fig. 2).
Fig. 1. Intorbidamento delle acque superficiali da marmettola e terre di cava. A e B: Carrara, confluenza del Carrione proveniente dai bacini marmiferi (freccia gialla) col Can. di Gragnana (bacino non marmifero: freccia bianca); in assenza di piogge le acque sono limpide (A), mentre dopo una pioggia il Carrione è bianco e torbido per la marmettola sospesa. B e C: Carrione, confluenza del ramo di Colonnata (freccia gialla) col ramo di Torano (freccia blu); a sinistra acque limpide, a destra dopo una pioggia. E: Carrione, a monte di Torano, torbido da marmettola e terre di cava. F: Flash mob sul Canale Secco (affluente del F. Frigido) il 2 gennaio 2016 per richiamare l’attenzione sul problema marmettola (foto da La Nazione 3/1/16).
Fig. 2. Cave invase da marmettola (solcata dagli pneumatici delle pale meccaniche), fanghi, cumuli di terre e detriti. Consentendo queste situazioni generalizzate, l’inquinamento delle acque superficiali e sotterranee è inevitabile e non può destare alcuna sorpresa. A: cava Ciresuola; B: cava Querciola; C: cava Gioia; D: cava Tagliata; E: cava Gioia (foto tratta da calendario pubblicitario della cava).
Altre fonti rilevanti di marmettola e terre sono i cumuli di terre esposti al dilavamento meteorico, derivanti dalla vagliatura dei detriti (effettuata al monte, anziché in aree industriali al piano: Fig. 3) e i ravaneti, sui quali vengono spesso costruite le vie d’arroccamento e che sono frequentemente autorizzati come “stoccaggio provvisorio” per scaricarvi i detriti dall’alto ed allontanarli poi dal basso (Fig. 4).
Fig. 3. A: Cava Strinato (2015): marmettola e terre di cava esposte al dilavamento meteorico. B: Ponti di Vara (2015): cumulo di terre di cava (alto oltre10 m) con profondi solchi d’erosione (vedi inserto), sulla sommità di un ravaneto modellata a piazzale; le acque si infiltrano nel corpo del ravaneto e inquinano le sottostanti sorgenti delle Canalie (distanti ca. 500 m, dislivello ca. 90 m).
Fig. 4. I ravaneti rilasciano terre e marmettola che inquinano le acque. A: ravaneto Carpevola. B: Vagliatura dei detriti effettuata al suo piede. C e D: ravaneti Betogli e Gioia, sede delle rispettive vie d’arroccamento, con vistose erosioni delle scarpate. E: il ravaneto Gioia Cancelli è, di fatto, una discarica incontrollata di terre di cava che, quando dilavate dalle piogge, scendono a valle (F).
Si coglie l’occasione per segnalare che le terre di cava, avendo granulometria (classe dei limi) e comportamento del tutto analogo alla marmettola, esplicano gli stessi effetti inquinanti: intorbidamento delle acque superficiali e sotterranee, occlusione degli interstizi tra i ciottoli fluviali nei tratti a sedimentazione, distruzione dei microhabitat che rende l’alveo inospitale per i macroinvertebrati, sepoltura (e morte) dei loro stadi vitali sessili (quindi anche danno riproduttivo) e delle microalghe del substrato fluviale (con riduzione delle risorse alimentari e della capacità autodepurante).
Trattandosi di un aspetto ben poco considerato, merita osservare che i quantitativi di terre abbandonate al monte ed esposti al dilavamento meteorico sono veramente ingenti (nel solo comune di Carrara almeno 3,6 milioni di tonnellate nel decennio 2005-2014: Tab. 2)[2] e in forte incremento: dalle 175.000 t del 2006 (pari al 24,6 delle terre estratte) alle 577.000 t del 2014 (79,4% delle terre estratte).
Tab. 2. Stima (in tonnellate) delle terre prodotte nel decennio 2005-2014 dalle cave di Carrara e dei quantitativi abbandonati al monte. La stima delle terre prodotte (ottenuta moltiplicando per 0,793 il quantitativo di blocchi dell’anno corrispondente, in base al rapporto terre/blocchi del 2005) e di quelle abbandonate al monte (ottenuta sottraendo dalle terre prodotte quelle trasportate a valle, registrate alla pesa comunale) è ricavata dai dati ufficiali forniti a Legambiente dal comune di Carrara.
Anno | Blocchi | Terre prodotte (stima) |
Terre portate a valle (pesa) |
Terre abbandonate al monte (stima) |
Terre abbandonate ( % ) |
2005 | 877.965 | 696.193 | 696.193 | 0 | 0 |
2006 | 900.181 | 713.809 | 538.301 | 175.508 | 24,6 |
2007 | 914.746 | 725.359 | 594.802 | 130.557 | 18,0 |
2008 | 907.409 | 719.541 | 361.309 | 358.232 | 49,8 |
2009 | 927.382 | 735.379 | 215.456 | 519.922 | 70,7 |
2010 | 979.957 | 777.069 | 237.211 | 539.858 | 69,5 |
2011 | 964.782 | 765.036 | 232.548 | 532.487 | 69,6 |
2012 | 871.022 | 690.687 | 223.276 | 467.412 | 67,7 |
2013 | 927.209 | 735.242 | 428.544 | 306.698 | 41,7 |
2014 | 917.349 | 727.423 | 150.120 | 577.303 | 79,4 |
Tot. | 9.188.001 | 7.285.737 | 3.677.760 | 3.607.977 | 49,5 (media) |
Vista la situazione qui brevemente illustrata non può certamente destare stupore l’inquinamento generalizzato da solidi sospesi delle acque superficiali conseguente alle piogge. Analogo inquinamento riguarda le acque sotterranee e le sorgenti, in buona parte captate a scopo idropotabile.
Quest’ultimo, sebbene sia ancor più grave di quello delle acque superficiali, è meno percepito dalla popolazione sia perché non è direttamente visibile (salvo agli addetti agli impianti di trattamento delle acque potabili), sia perché le sorgenti con torbidità contenuta sono potabilizzate da filtri a sabbia ed a carboni attivi e, infine, perché quelle con torbidità elevata (intrattabili dai filtri) vengono escluse dalla rete acquedottistica, che viene alimentata dalle restanti sorgenti. L’ordinanza di acqua non potabile per torbidità viene pertanto emanata solo raramente (quando TUTTE le sorgenti sono CONTEMPORANEAMENTE torbide).
È però possibile, ricorrendo ad uno stratagemma, vedere coi propri occhi quali acque alimentino le sorgenti dopo piogge intense: basta guardare le acque che, dopo essersi infiltrate in un ravaneto, sgorgano al suo piede. Le acque che riemergono dal corpo del ravaneto, infatti, sono identiche alla restante parte che si infiltra nelle fratture del marmo e nel reticolo carsico che alimenta l’acquifero sotterraneo (Fig. 5). Per le sorgenti non captate, invece, l’intorbidamento da marmettola è visibile ad occhio nudo (Fig. 6).
Fig. 5. A: la sezione idrogeologica schematica illustra la circolazione carsica e le vie di penetrazione degli inquinanti. Le acque piovane penetrano nel reticolo carsico attraverso le fratture del marmo situate nei versanti (frecce blu), nelle cave (freccia nera), negli alvei (freccia arancione); quelle infiltratesi nei ravaneti (frecce rosse punteggiate) in parte penetrano nel sistema carsico (frecce rosse) e in parte riemergono al piede del ravaneto (freccia fucsia). B: scarpata al piede del ravaneto Ponti di Vara; al contatto col substrato roccioso (cerchio) riemergono acque fortemente torbide e lattescenti per l’elevato contenuto di marmettola (C): queste sono identiche a quelle che, infiltrandosi nelle fratture del substrato del ravaneto (frecce rosse nello schema A), raggiungono le sottostanti sorgenti delle Canalie.
Fig. 6. A: la sorgente carsica della Barilla (Equi Terme, Fivizzano), con acque limpide, il 3 ott. 2015. B: la stessa il giorno successivo, torbida da marmettola dopo la pioggia. (Foto A. Ribolini).
Le molteplici vie di penetrazione nel sistema carsico delle acque meteoriche fanno sì che marmettola e terre (e eventuali idrocarburi), ovunque siano esposti al dilavamento meteorico, finiranno per inquinare le acque sotterranee (oltreché quelle superficiali), per infiltrazione in situ o nelle fratture che le acque di ruscellamento areale e incanalato incontrano nel loro percorso verso valle (in cava, nei ravaneti, sui versanti, nell’alveo dei corsi d’acqua).
La molteplicità delle vie di penetrazione degli inquinanti che raggiungono una data sorgente (derivante dalle intricate interconnessioni dei condotti nel reticolo carsico e dalla vastità dell’area d’alimentazione: Fig. 7) rende praticamente impossibile attribuire ad una data cava la responsabilità dell’inquinamento, non potendosi escludere la responsabilità (congiunta o esclusiva) di altre cave o di altri siti inquinanti (anche lontani e situati in bacini idrografici diversi).
Quest’ultimo punto è di importanza pratica determinante per la tutela dell’acquifero del complesso carbonatico metamorfico apuano (il più esteso ed importante dell’intera Toscana). Se, infatti, ad inquinamento avvenuto non è possibile individuare e sanzionare la cava responsabile, è evidente che occorre prescrivere a tutte le cave l’adozione di accorgimenti volti a PREVENIRE l’inquinamento delle sorgenti, sanzionando con la massima severità le inadempienze.
Fig. 7. Stralcio della Carta delle aree di alimentazione dei sistemi idrogeologici del corpo idrico sotterraneo significativo delle Alpi Apuane (Univ. Siena, Centro di GeoTecnologie, 2007); le frecce indicano le connessioni idrauliche (certe, incerte e presunte) tra cave e sorgenti. I tre ovali (da noi aggiunti) mostrano l’ampiezza delle aree di alimentazione delle sorgenti del gruppo di Torano, del gruppo delle Canalie e della sorgente del Frigido (da circa 10 a oltre 20 km2).
3. La causa del problema: prescrizioni inadeguate alle cave
Considerato che, come appena visto, la compromissione delle acque superficiali e sotterranee è causata dalle acque piovane che veicolano gli inquinanti dilavati lungo il loro percorso verso valle, ne discende che l’inquinamento da marmettola e terre può essere prevenuto solo evitando di esporle alle acque meteoriche.
Per quanto possa apparire inverosimile, sebbene tutto l’apparato normativo sia dichiaratamente finalizzato ad evitare l’inquinamento delle acque, la sua efficacia è vanificata dal fatto che nessuna autorizzazione all’attività estrattiva contiene l’elementare prescrizione di non esporre marmettola e terre al dilavamento meteorico. L’inquinamento da marmettola non è quindi (solo) il frutto di violazioni delle prescrizioni: è consapevolmente accettato e implicitamente (seppur illegittimamente) contenuto nell’autorizzazione! Di seguito descriviamo brevemente le principali modalità attraverso le quali si esplica l’elusione sostanziale delle leggi.
3.1 Raccolta e trattamento delle acque di lavorazione
La procedura abituale è il confinamento delle acque in un’area circoscritta al piede del taglio mediante un cordolo in marmettola, seguito dall’invio delle acque torbide –tramite pompa ad immersione– ad in impianto di trattamento (filtri a sacco); l’acqua pulita viene riciclata, mentre la marmettola viene periodicamente consegnata ad una ditta autorizzata allo smaltimento.
Questa procedura, già proposta di routine dai progettisti nei piani d’escavazione e inserita come prescrizione nell’autorizzazione, viene tuttavia attuata con trascuratezza, come “atto dovuto”, al solo scopo di rispettare formalmente una prescrizione, come se progettisti e cavatori fossero inconsapevoli della finalità della raccolta delle acque immediatamente al piede del taglio (evitare che la marmettola si disperda sulle superfici di cava e, per dilavamento meteorico, si infiltri nelle fratture del marmo andando a contaminare l’acquifero).
Il cordolo, infatti, non solo è realizzato con marmettola o terre (quindi materiali dilavabili, essi stessi fonte di inquinamento), ma spesso è reso inefficace da varchi causati dal passaggio di mezzi meccanici, o aperti a fine giornata (Fig. 8A e 8B). Ma soprattutto, anche qualora si prestasse la massima attenzione, si assisterebbe al farsesco paradosso di un’area ristretta di cava in cui si raccoglie scrupolosamente la marmettola di taglio, mentre tutt’attorno la cava è interamente invasa da fanghi di marmettola e terre, vanificando completamente le finalità di legge (Fig. 8C-8G).
á Fig. 8. A: il cordolo di raccolta delle acque di taglio (freccia continua) delimita un’area vasta (anziché ristretta) ed è vanificato da un’ampia apertura (freccia tratteggiata). B: Il transito dei mezzi meccanici produce spesso varchi nel cordolo. C, D, E, F, G: a che serve raccogliere le acque di taglio in un’area ristretta se la sua finalità è vanificata da marmettola e terre che invadono tutte le altre superfici di cava? È evidente che le prescrizioni dell’autorizzazione sono inadeguate!
È dunque evidente che –per non essere vanificate– la raccolta e il trattamento delle acque di taglio devono essere accompagnate dalla prescrizione (da noi ripetutamente quanto inutilmente richiesta da anni) di mantenere costantemente pulite TUTTE le superfici della cava.
3.2 Raccolta e trattamento delle acque
meteoriche di dilavamento (AMD)
La procedura abituale consiste nel raccogliere le acque di prima pioggia, mediante apposite pendenze, in una vasca scavata nel marmo o nel punto più basso della cava; anche in questo caso, dopo sedimentazione, le acque sono riciclate mentre la marmettola viene periodicamente allontanata. Queste modalità (accolte nelle autorizzazioni) sono spesso giustificate dai progettisti con l’argomentazione che la marmettola, compattata dal continuo passaggio dei mezzi meccanici, riempie e cementa le fratture presenti nel marmo rendendo praticamente impermeabile l’ammasso roccioso.
In altre parole, anziché evitare l’infiltrazione della marmettola nelle fratture carsiche che alimentano l’acquifero, le si riempie fino all’inverosimile confidando che ad un certo punto il compattamento operato dal passaggio delle ruspe sigilli le fessure. Ammessa e non concessa l’efficacia di tale sigillatura, è evidente che, prima del raggiungimento di questo effetto, ingenti quantità di marmettola saranno penetrate nel sistema carsico inquinando l’acquifero. Così come è evidente che ogni taglio al monte e ogni abbattimento di bancata metterà alla luce nuove fratture aperte, reiterando ogni volta il ciclo infiltrazione-inquinamento-riempimento-compattazione. Pertanto, in assenza di una costante pulizia di tutte le superfici di cava, tali modalità operative comportano un continuato inquinamento dell’acquifero.
Con una logica stringente quanto paradossale, inoltre, nel dimensionamento delle vasche di raccolta delle AMD si calcola un apporto dai piazzali costituiti da detriti di marmo pari al 30% delle acque di pioggia, visto che –data l’elevata permeabilità di tali materiali– il restante 70% vi si infiltra. Il paradosso sta nel fatto che si accetta tranquillamente che il 70% delle acque penetri nei piazzali permeabili e, raggiunte le fratture del substrato, apporti il suo carico inquinante al sistema carsico. Ancora una volta, si adempie formalmente ad un obbligo di legge eludendone le finalità sostanziali.
3.3 Stoccaggio temporaneo e Piano di gestione del detrito
La procedura abituale consiste nell’accumulare i detriti in un’area di stoccaggio temporaneo che, si sostiene, non si configura come una struttura di deposito (ai sensi del D.Lgs. 117/2008) e non è pertanto soggetta agli specifici adempimenti di tali strutture poiché (secondo l’autodichiarazione dei progettisti!) è impedito l’inquinamento del suolo e delle acque di superficie e sotterranee ai sensi dell’art. 13, commi 1 e 4 del D.Lgs. 117/2008. Le istruttorie di V.I.A., accettando per veritiera tale infondata autodichiarazione, approvano lo stoccaggio temporaneo in un’area della cava (Fig. 9) o, addirittura (per risparmiare ai camion la salita verso la cava), approvano lo scarico degli scarti in un ravaneto con l’obbligo di riprendere tali materiali al piede del ravaneto ed allontanarli (Fig. 10).
Fig. 9. La differenza tra progetto è realtà. A: Nelle tavole progettuali lo stoccaggio temporaneo del detrito dà l’impressione di un’area appositamente attrezzata, ma la realtà è ben diversa. B: lo stoccaggio temporaneo dei detriti consiste nel loro scarico alla rinfusa nella cava all’aperto, su substrato fratturato e molto permeabile (quindi con inquinamento delle acque sotterranee). Analogamente, la vasca di raccolta delle acque meteoriche dilavanti è semplicemente il fondo della cava a pozzo; la vasca di raccolta delle acque meteoriche di dilavamento dell’area servizi (si spera ancora in fase di allestimento!) è una semplice buca scavata nel detrito permeabile. Illustrazioni relative alla cava Calacata.
Fig. 10. Lo scarico di detriti nei ravaneti (come “stoccaggio temporaneo”) solleva nuvole di polvere ed espone terre e marmettola al dilavamento meteorico. A: Carpevola. B: Seccagna. C: Vara A. D: Vara Alta.
L’utilizzo degli scarti viene solitamente autorizzato anche per realizzare le rampe interne alla cava (Fig. 11) e i piazzali in detrito (Fig. 12) che, spesso, sono essenzialmente una forma mascherata di discarica. Il loro dilavamento meteorico provoca l’inquinamento delle acque superficiali, mentre la loro grande permeabilità determina l’infiltrazione delle acque fino al contatto col substrato e nelle sue fratture, con inquinamento delle acque sotterranee.
Fig. 11. Le rampe interne alle cave contengono ingenti quantità di terre e marmettola che vengono dilavate dalle piogge. A: cava Crespina. B: cava La Madonna. C: cava Tagliata. D: cava Scaloni: rampe e piazzale realizzati con detriti.
Fig. 12. Molti piazzali di cava sono realizzati con detriti e contengono ingenti quantità di terre e marmettola (vere e proprie discariche camuffate) che vengono dilavate dalle piogge. A: l’immenso ravaneto delle cave Crespina (linea punteggiata), la cui sommità (B) è spianata per realizzare piazzali. C: cava Strinato.
Tutte le modalità di stoccaggio qui viste (su piazzali in marmo o su altre superfici di cava) e di utilizzo dei detriti (per costruzione di rampe o di piazzali) comportano l’esposizione permanente al dilavamento meteorico degli scarti dell’escavazione e il conseguente inquinamento delle acque superficiali e sotterranee.
Per quanto possa apparire incredibile, le istruttorie di V.I.A. e dei procedimenti autorizzatori approvano tali modalità violando non solo i fondamentali principi tecnici di una scrupolosa conduzione della V.I.A., ma anche il D.Lgs. 117/2008 (il cui piano di gestione del detrito è autorizzabile solo se garantisce il non inquinamento delle acque). A nostro parere pertanto queste autorizzazioni, sebbene regolarmente rilasciate dall’ente competente, sono illegittime.
In ogni caso è evidente che il rilascio di autorizzazioni che espongono al dilavamento meteorico milioni di tonnellate di marmettola e terre è in palese contrasto con le finalità dell’intero apparato normativo nazionale e regionale, che viene così completamente vanificato. Tutti i lodevoli sforzi della Regione (descritti nella sua lettera di risposta al MATTM) resteranno dunque vani finché si continuerà a permettere il rilascio di autorizzazioni che vanno in direzione contraria.
3.4 Ravaneti, vie d’arroccamento e abbandono di terre
Un’altra rilevante causa del “problema marmettola” sono i ravaneti, imponenti discariche a cielo aperto su versanti e valli, un tempo costituiti principalmente da scaglie (prodotte in gran quantità dalle “varate” con l’esplosivo). Oggi, invece, è aumentata fortemente la frazione di materiali fini (terre e marmettola) nei ravaneti grazie agli sviluppi tecnologici (segagione con filo e catena diamantata) e alle mutate condizioni di mercato: le scaglie bianche, infatti, sono impiegate con profitto nella produzione del carbonato di calcio e quelle scure per i granulati, mentre le terre (causa saturazione del mercato) vanno smaltite in discarica e rappresentano pertanto solo un costo.
Così, sebbene le cave abbiano l’obbligo di smaltire e allontanare le terre prodotte, il loro destino prevalente è l’abbandono al monte, in parte autorizzato (illegittimamente) per rampe, piazzali e riempimenti alla base della cava e in parte non autorizzato (ma largamente tollerato).
I ravaneti e le vie d’arroccamento realizzate su di essi sono inoltre uno dei siti prediletti di smaltimento delle terre. Una “innovazione” recente sono le rampe (sia interne alle cave, sia delle vie d’arroccamento) realizzate quasi esclusivamente in terre, assicurandone la stabilità con bastioni in blocchi: il risultato estetico è apprezzabile, ma anche in questo caso l’esposizione delle terre al dilavamento e all’infiltrazione delle acque meteoriche comporta l’inquinamento delle acque superficiali e sotterranee. In altri casi, infine, le terre sono utilizzate a riempimento di cave dismesse, configurandosi come discariche non autorizzate (ma tollerate). Alcuni esempi di queste pratiche sono mostrati nelle Fig. 13 e 14.
á Fig. 13. A: ravaneto Calacata, con ingenti quantità di terre. B: ravaneto Miseglia est: al centro sono visibili le scaglie perché le terre sono state dilavate da ripetute piogge; in alto a sinistra terre scaricate di recente. C: riempimento con terre della parte basale della cava La Madonna. D: cava Trugiano (a fossa) nel 2010: l’area riquadrata in giallo, visibile in E, è oggi una discarica di terre non autorizzata, ma tollerata. F: cava Calagio (a pozzo) in corso di riempimento con detriti ricchi di terre (a sinistra) e di scaglie (a destra). G: cava Buca Ravaccione, oggi utilizzata a discarica (per dare il senso delle proporzioni, il cerchio giallo indica un gruppo di 5 cavatori).
á Fig. 14. Ingenti quantità di terre sono riversate nei ravaneti adibiti a supportare le vie d’arroccamento. A: Betogli. B: Miseglia ovest. C: Gioia. D: ruspa mentre scarica terre sulla scarpata della via d’arroccamento Pescina-Crestola. E: via d’arroccamento Scalocchiella in costruzione con scarpate sostenute da bastioni in blocchi. F: particolare della stessa: l’autocarro (freccia) scarica terre che saranno poi mascherate alla vista dal bastione in blocchi. G: Scaloni: il bastione in blocchi copre le terre retrostanti.
Gli stessi ravaneti, essendo costituiti da scarti d’escavazione destinati all’abbandono, a nostro parere si configurano come discariche non autorizzate. Diversa configurazione potrebbero rivestire qualora fossero progettati per svolgere una funzione specifica (sempre che sia evitato l’inquinamento delle acque). Una nostra recente proposta (presentata anche come contributo al PGRA – Piano di Gestione del Rischio Alluvioni Toscana Nord) consiste nella rimozione dei ravaneti e nella loro ricostruzione con le sole scaglie di marmo (eliminando dunque completamente le terre) e adottando tecniche costruttive che ne assicurino l’assoluta stabilità anche nei confronti di eventi idrologici estremi. Qualora questa proposta fosse accolta, i ravaneti assumerebbero la veste di opere pubbliche finalizzate a rallentare i deflussi nei bacini montani, riducendo così il rischio alluvionale a valle; potrebbero mantenere, se necessario, la funzione di supporto alle vie d’arroccamento.
3.5 Vagliatura dei detriti al monte
Un’altra operazione fonte di notevole inquinamento delle acque è la vagliatura dei detriti di cava che pertanto, a nostro parere, potrebbe essere autorizzata solo prescrivendo rigorose misure di prevenzione dell’inquinamento al piano di gestione degli scarti d’escavazione e sanzioni adeguatamente dissuasive in caso di inadempienza. Oggi, invece, la vagliatura è consentita non solo in tutte le cave ma, addirittura, si autorizzano aziende che svolgono esclusivamente tale attività in alcuni siti montani posti a breve distanza idrogeologica da sorgenti captate a scopo acquedottistico (Fig. 15).
á Fig. 15. A: Facciata: griglia per vagliatura. B: Vara: vaglio meccanico in azione, al momento del carico da ruspa. C: Battaglino. D: Canalgrande. E: Collestretto. F: Ponti di Vara (in condizioni meteorologiche asciutte): sulla sommità del ravaneto spianato a piazzale operano diversi impianti di vagliatura; si notino i solchi d’erosione del cumulo di terre. G: Ponti di Vara: l’area delimitata dalla linea punteggiata nella foto F, vista dopo una pioggia. H: Ponti di Vara: lo stesso ravaneto visto da valle; sono visibili la scarpata e parte del piazzale (linea punteggiata); poco più a valle (distanza 500 m, dislivello 90 m), in direzione della freccia, sgorgano le 8 sorgenti delle Canalie che alimentano l’acquedotto di Carrara, frequentemente inquinate da marmettola e terre.
Basta un solo sguardo alle foto per comprendere che finché si autorizzeranno queste modalità di vagliatura non sarà possibile alcuna prevenzione dell’inquinamento delle acque. A nostro parere, pertanto, occorre prescrivere che la vagliatura dei detriti venga effettuata al piano (in zona industriale); più avanti (nella Tab. 3) indicheremo le condizioni alle quali potrebbe essere effettuata al monte.
4. Conclusioni e proposte operative
Il quadro della situazione illustrato, seppure parziale, è più che sufficiente per comprendere che il nocciolo del problema marmettola (e terre) sta nel rilascio alle cave di autorizzazioni (illegittime) che, di fatto, sono “licenze ad inquinare” le acque superficiali e sotterranee. Occorre dunque richiamare con forza gli enti autorizzatori e quelli partecipanti alle conferenze dei servizi (Comuni, Province, Parco Regionale delle Alpi Apuane, Arpat, Soprintendenze, ecc.) affinché nelle procedure di V.I.A. si assicurino che i piani di coltivazione presentati contengano tutti gli accorgimenti necessari ad evitare l’inquinamento delle acque e, in caso contrario, che siano introdotti come prescrizioni nelle autorizzazioni.
Un richiamo generico in tal senso sarebbe tuttavia assolutamente insufficiente, visto che i funzionari –assuefatti da decenni alle modalità attuali d’escavazione– sono convinti di svolgere già in maniera scrupolosa il loro ruolo. È pertanto necessario esplicitare nelle forme più opportune (anche normative) gli accorgimenti tecnici a tutela delle acque che devono essere contenuti nei piani di coltivazione e nelle autorizzazioni. Tali accorgimenti potrebbero essere indicati anche in maniera molto semplice, con un solo articolo (onnicomprensivo) di contenuto simile al seguente.
Le autorizzazioni all’attività estrattiva del marmo devono contenere:
- la prescrizione di tenere costantemente e scrupolosamente pulite (in particolare dai materiali fini: marmettola e terre) tutte le superfici di cava e delle sue pertinenze (piazzali, aree servizi, rampe, ravaneti, vie d’arroccamento, versanti, ecc.);
- il divieto di esporre al dilavamento meteorico i succitati materiali fini, siano essi in superficie o contenuti all’interno di strutture permeabili (cumuli, rampe, ravaneti, piazzali di detriti, ecc.);
- sanzioni adeguatamente dissuasive in caso di inadempienza (ad es. sospensione dell’autorizzazione per dieci giorni alla prima inadempienza, per un mese alla seconda e ritiro definitivo dell’autorizzazione alla terza, senza possibilità di ripresentare una nuova richiesta di autorizzazione).
Di seguito si suggeriscono accorgimenti dettagliati che possono essere utili ai progettisti e ai funzionari pubblici addetti ai procedimenti istruttori ed autorizzatori e all’espressione di pareri nell’ambito delle procedure di V.I.A. (Tab. 3).
Tab. 3. Accorgimenti tecnici e misure di tutela ambientale proposti per le cave di marmo.
1. | Raccolta e trattamento delle acque di lavorazione |
a) | Confinare le acque di taglio in un’area il più possibile ristretta al piede del taglio stesso, in modo da mantenere pulita la restante superficie del piazzale o del gradone. |
b) | Gli eventuali cordoli impiegati a tal fine non devono essere costituiti da materiali fini, a meno che siano racchiusi entro sacchi o tubi idonei a proteggerli dal dilavamento. |
c) | Se tale area ristretta presenta fratture, sigillarle preventivamente con materiali atossici, non dilavabili né soggetti a fratturazione (preferibilmente materiali elastici con tendenza ad espandersi, per sigillare meglio). |
d) | Le acque siano inviate al trattamento solo tramite tubazione chiusa (escludendo solchi sulle superfici di cava, esposti alle piogge). |
e) | Anche l’area dei filtri a sacco sia protetta da infiltrazioni, con accorgimenti analoghi a quelli dell’area di raccolta delle acque di taglio. Ai filtri a sacco sono da preferire impianti più efficienti, es. sedimentatori tronco-conici o filtropresse (vietando però l’uso di flocculanti in quanto potenziali inquinanti). |
f) | Tutti i piani di marmo (gradoni, piazzali) devono essere sottoposti a scrupolosa pulizia, costantemente mantenuta (ne gioverebbe anche la sicurezza); a tal fine appaiono indispensabili macchine lavanti-aspiranti del tipo per vaste pavimentazioni. |
g) | In tutta la cava devono essere assenti terre e marmettola (se non stoccate entro contenitori a tenuta stagna). |
h) | Per i letti di ribaltamento delle bancate occorre cercare soluzioni alternative (tipo “materassi” in gomma o materiali elastici con adeguata resistenza al carico); nelle more di tali soluzioni, i letti di ribaltamento in detrito di cava siano approntati con sole scaglie di granulometria adeguata (senza terre) e, dopo il ribaltamento, l’area sia subito contornata da un cordolo di contenimento non dilavabile (come quelli sopra citati). |
i) | qualora il taglio dovesse incontrare condotti carsici, segnalarlo agli enti di controllo ed effettuare indagini speleologiche e geologiche. NON sigillare i condotti, ma sospendere il taglio e arretrarlo di alcuni metri tutt’attorno alla cavità (lasciando cioè un pilastro di marmo indisturbato); se il taglio arretrato continua ad intersecare condotti, abbandonare la coltivazione nell’area. L’obiettivo da perseguire deve essere quello di non disturbare il reticolo carsico, né occludendolo né asportandone parte. |
2. | Raccolta e trattamento delle acque meteoriche di dilavamento (AMD) |
a) | Considerata l’alta permeabilità del marmo per fratturazione e carsismo, è inevitabile che le AMD penetrino nell’acquifero; occorre dunque evitare che queste acque siano inquinate. A tal fine va vietato qualunque cumulo all’aperto contenente materiali fini (sono ammissibili solo cumuli di scaglie preventivamente lavate). |
b) | I piazzali realizzati con detrito sono molto permeabili: le acque meteoriche vi si infiltrano, raggiungendo il substrato e l’acquifero. Tali piazzali vanno pertanto vietati; le autorizzazioni già rilasciate vanno integrate con la prescrizione di rimuovere questi piazzali entro un termine temporale ben definito. |
3. | Stoccaggio temporaneo e Piano di gestione degli scarti |
a) | I detriti accumulati all’aperto sono soggetti al dilavamento, con inevitabile inquinamento delle acque superficiali e sotterranee. Tale forma di stoccaggio, contrastando con i requisiti del D.Lgs. 117/2008, non è pertanto ammissibile. Sono ammissibili solo cumuli di scaglie preventivamente lavate; gli altri scarti vanno immediatamente stoccati entro contenitori a tenuta stagna. |
b) | Per lo stesso motivo (inquinamento delle acque) va vietato l’uso dei detriti d’escavazione (ad eccezione delle scaglie lavate) per realizzare rampe, riempimenti e piazzali di cava. |
c) | Va vietata l’incivile pratica di scaricare i detriti sui versanti (formando ravaneti) per poi prelevarli al piede del versante ed allontanarli, anche qualora fosse motivata dalla difficoltà dei camion a raggiungere la cava. In tal caso, se necessario (e previa valutazione paesaggistica), può essere permesso il ricorso a teleferiche, scivoli, nastri trasportatori ed altri accorgimenti analoghi. |
4. | Ravaneti, vie d’arroccamento e abbandono di terre |
a) | I ravaneti, per l’elevato contenuto di marmettola e terre, sono una fonte molto rilevante di inquinamento delle acque superficiali e sotterranee: vanno perciò vietati, compresi quelli adibiti a stoccaggio temporaneo con scarico dei detriti dall’alto e loro prelievo dal basso. |
b) | Per i ravaneti esistenti, siano essi abbandonati o adibiti a supporto per le vie d’arroccamento, occorre integrare le autorizzazioni già rilasciate con la prescrizione di rimuoverli integralmente (entro un termine ben definito), eventualmente ricostruendoli con sole scaglie lavate. Poiché una data via d’arroccamento può servire più cave, occorrerà un progetto unitario e la loro compartecipazione alle spese. |
c) | Considerato il contributo rilevante che i ravaneti privi di terre potrebbero dare alla riduzione del rischio alluvionale, è più che opportuno che la Regione svolga i necessari studi e si faccia carico della progettazione. |
d) | I riempimenti delle cave dismesse (o di porzioni dismesse di cava) sono configurabili come discariche: possono pertanto essere autorizzati solo con le procedure previste per le discariche. In particolare vanno vietati i riempimenti con terre o marmettola. |
5. | Vagliatura dei detriti |
a) | La vagliatura, effettuata con griglia fissa o con apposito impianto, espone al dilavamento meteorico sia i cumuli di detriti da trattare sia le frazioni risultanti (cumuli di terre e di scaglie di varia granulometria). In quanto fonte di inquinamento delle acque superficiali e sotterranee, queste modalità di vagliatura vanno vietate in tutto il massiccio carbonatico apuano e trasferite al piano, in area industriale. |
b) | Un’eventuale autorizzazione di tali attività al monte dovrebbe prescrivere lo stoccaggio in contenitori a tenuta stagna sia dei detriti da vagliare sia dei prodotti della vagliatura, accompagnata dalla prescrizione di un’assoluta pulizia dell’area dedicata a questa attività. |
6. | Sanzioni |
a) | Data la consolidata abitudine alle attuali barbare modalità di escavazione, nonché all’impunità per le violazioni compiute, non è possibile farsi illusioni: anche prescrivendo tutti gli accorgimenti sopra proposti c’è la certezza che saranno largamente disattesi. È dunque indispensabile che le prescrizioni di carattere ambientale siano inserite tra quelle la cui inosservanza comporta la revoca dell’autorizzazione. Suggeriamo pertanto la sospensione dell’autorizzazione per 10 giorni alla prima inosservanza, per 30 giorni alla seconda e, alla terza, la revoca definitiva (senza possibilità di richiedere una nuova autorizzazione). |
Ci auguriamo che il quadro della situazione descritto e le proposte avanzate sollecitino gli enti (a livello ministeriale, regionale e locale) ad affrontare i problemi con la serietà, decisione, solerzia e concretezza (e con gli strumenti, anche normativi) che la loro soluzione richiede.
L’occasione m’è gradita per porgere Loro i miei più
Distinti saluti
il Presidente di Legambiente Toscana
Arch. Fausto Ferruzza
Note:
[1] Dal punto di vista tecnico si avanzano alcune riserve sul buono stato di qualità delle acque sotterranee, risultante dalle 13 sorgenti monitorate. Va infatti considerato che il loro inquinamento da marmettola –non essendo continuo, ma fortemente impulsivo (compare con un dato tempo di latenza da un’intensa precipitazione e, secondo i casi, perdura da qualche ora a pochi giorni)– ha elevate probabilità di sfuggire al monitoraggio routinario. Pertanto, per valutare correttamente questo particolare tipo di inquinamento, il tradizionale monitoraggio volto a misurare i parametri dello stato quantitativo e chimico dovrebbe essere accompagnato da uno specifico monitoraggio, facilmente effettuabile in maniera semplificata ricorrendo alla registrazione in continuo dei dati di una sonda turbidimetrica e –per l’analisi chimica del particolato– con campionamenti mirati saltuari (viste le notevoli difficoltà operative) alle sorgenti in occasione di forti precipitazioni, tenendo conto dei tempi di latenza caratteristici di ciascuna sorgente (e del fatto che una sorgente può mostrare più picchi di torbidità, corrispondenti all’arrivo di inquinanti da aree diverse –anche molto distanti tra loro– del bacino idrogeologico). [torna al testo]
[2] Una stima dei quantitativi di terre abbandonati al monte nel decennio può essere ricavata dai dati annui basandosi sulla ragionevole ipotesi che, nell’insieme delle cave, il rapporto tra terre e blocchi resti costante negli anni e che ad una riduzione di terre portate a valle corrisponda una pari quantità di terre abbandonate al monte. Nel 2005 (primo anno di registrazione dei dati alla pesa comunale) venivano portate a valle 79,3 t di terre ogni 100 t di blocchi; utilizzando questo rapporto (0,793) è possibile stimare il quantitativo di terre prodotte ogni anno e –sottraendo da esso le terre effettivamente portate a valle– il quantitativo di terre abbandonate al monte. Si noti che questi dati sono da considerare sottostimati poiché sono basati sull’ipotesi (poco verosimile) che nel 2005 tutte le terre prodotte fossero portate a valle, senza alcun abbandono al monte. [torna al testo]
Per saperne di più:
Sulle problematiche tra cave e inquinamento delle sorgenti e dei corsi d’acqua:
Cave: l’Ordine richiami i geologi all’etica professionale (28/4/2016)
Come tutelare le Apuane? La ricetta del Parco: non bastano le cave, aggiungiamo i frantoi (14/7/2015)
Come si progetta l’inquinamento delle sorgenti? Osservazioni alle cave Tagliata e Strinato (14/6/2015)
La Regione protegga le sorgenti dalle cave di marmo (27/3/2014)
Cosa (non) si fa per la protezione delle sorgenti? (16/1/2010)
Nubifragio: sorgenti torbide per lo smaltimento abusivo delle terre (11/7/2009)
Gestire le cave rispettando l’ambiente e i cittadini: le proposte di Legambiente (11/1/2007)
A difesa delle sorgenti: occorre trasparenza e porre ordine alle cave (21/3/2006)
Come le cave inquinano le sorgenti (conferenza, illustrata) (17/3/2006)
Inquinamento delle sorgenti. Mancano i filtri? No, manca la prevenzione! (4/12/2005)
Frigido: vent’anni di indagini chimiche, biologiche ed ecologiche (Arpat, 2003)
Impatto ambientale dell’industria lapidea apuana (1991)
Impatto della marmettola sui corsi d’acqua apuani (volume 1983)
Sulle problematiche tra cave, dissesto idrogeologico ed alluvione:
Carrione: rivedere i calcoli, intervenire sui ravaneti, ripristinare gli alvei soffocati da strade (31/03/2016)
Terre di cava nei ravaneti. La strategia del sindaco: alle cave l’impunità, ai cittadini l’alluvione (19/03/2016)
Fermare la fabbrica del rischio alluvionale. Salvare i ponti intervenendo su ravaneti e strade in alveo (16/03/2016)
Come fermare la fabbrica del rischio alluvionale (7/11/2015)
Bonifica dei ravaneti: una critica costruttiva (31/10/2015)
Come opera la fabbrica del rischio alluvionale (la bonifica dei ravaneti) (24/10/2015)
Carrione: le proposte di Legambiente per il piano di gestione del rischio alluvioni (7/7/2015)
I ravaneti ci proteggono dalle alluvioni? Risposta ad Assindustria (26/5/2015)
Carrara: le alluvioni procurate. Come difenderci (VIDEO, 15/12/2014)
Esposto alla Procura: il Comune ha scelto di allagare Miseglia ad ogni pioggia (12/11/2012)
Terre nei ravaneti: rischio di frana e alluvione (VIDEO TG1 22/11/2011) durata: 1’ 23”
Fanghi di cava gratis su Miseglia (VIDEO 28/12/2010) durata: 10’ 26”
Miseglia invasa dai fanghi di cava: fino a quando? (28/12/2010)
Aspettando la prossima alluvione: gli interessi privati anteposti alla sicurezza (26/3/2007)
In attesa della prossima alluvione: porre ordine alle cave (15/3/2007)
Cave, ravaneti, alluvione: che fare? (Conferenza su alluvione: Relazione Piero Sacchetti, 11/10/2003: PDF, 37 KB)
Fenomeni di instabilità sui ravaneti (Conferenza su alluvione: Relazione Giuseppe Bruschi, 11/10/2003: PDF, 1,1 MB)
Carrione, sicurezza e riqualificazione: un binomio inscindibile (Conferenza su alluvione: Relazione di Giuseppe Sansoni, 17/3/2006: PDF, 3,2 MB)
Come le cave inquinano le sorgenti. Ecco le prove. Come evitarlo (Conferenza, relazione di Giuseppe Sansoni, 17/3/2006: PDF, 3,2 MB)
Alluvione Carrara: analisi e proposte agli enti (11/10/2003)
Sullo smaltimento abusivo delle terre di cava:
Il marmo dei ‘Robin Hood’ alla rovescia – Videoinchiesta di M. Bernabè (28/5/2013)
Smaltimento terre di cava: per smuovere il Comune ci vuole il TG (29/11/2011)
Smaltimento abusivo delle terre di cava: servono fatti, non proclami! (8/11/2010)
Le polveri evitabili – 3. (quelle del sindaco) (VIDEO, 16/9/2010) durata: 18’ 05”
I bisonti del marmo: polveri a volontà (VIDEO, 15/4/2010) durata: 7’ 13”
Nubifragio: sorgenti torbide per lo smaltimento abusivo delle terre (11/7/2009)
Via d’arroccamento Calacata: ancora uno smaltimento abusivo di terre (1/4/2009)
Cave, terre, detriti: ma è poi così difficile far rispettare le regole? (28/2/2009)
Via d’arroccamento Pulcinacchia: documentato lo smaltimento abusivo di terre (17/2/2009)
Sulla tolleranza del Comune verso lo smaltimento abusivo delle terre:
Il sindaco rassicura: lo smaltimento delle terre è monitorato. Infatti lo è, ma aumenta continuamente! (24/8/2009)
Pulcinacchia: smaltimento abusivo di terre. Il sindaco si precipita a scagionare i responsabili (20/2/2009)
Smaltimento abusivo di terre nelle cave. Il segretario generale Tonelli istiga al reato (16/2/2009)
Cave e terre: quando l’illegalità diventa diritto acquisito (col beneplacito del sindaco) (13/2/2009)