All’indomani dell’alluvione abbiamo chiesto le dimissioni dell’intera giunta non tanto per una responsabilità diretta nel crollo dell’argine, quanto per una ben maggiore responsabilità.
Mancando di una strategia coerente, infatti, il Comune è una inconsapevole ma perfetta “fabbrica del rischio alluvionale”, che produce col suo operato quotidiano (opere pubbliche, gestione del territorio).
Scopo di questa relazione è mostrare come opera questa fabbrica del rischio e proporre qualche idea per ridurlo.
Qui vediamo il bacino idrografico del Carrione (in tratteggio lo spartiacque): è già evidente che la parte preponderante della portata del Carrione proviene dai torrenti montani, che confluiscono a Carrara; da qui al mare, infatti, il Carrione riceve solo affluenti relativamente modesti.
È importante ricordare che le alluvioni, sebbene producano i loro danni soprattutto al piano (anche perché è l’area più urbanizzata), si generano al monte: sia perché il bacino montano ha una superficie più estesa e maggiori precipitazioni (per le quote più elevate, che determinano il raffreddamento delle masse d’aria calda e umida), sia perché le acque precipitano a valle con grande velocità (per le elevate pendenze).
La forma a ventaglio dell’alto bacino, infine, con gli affluenti disposti a raggiera, favorisce la loro confluenza simultanea a Carrara (posta al collo di questo “imbuto”), dove le loro portate si sommano bruscamente generando di colpo la vera portata di piena (che da valle di Carrara al mare cresce solo in maniera contenuta).
Partendo da queste elementari considerazioni proviamo a ragionare: se la piena si genera al monte, perché la nostra attenzione si limita principalmente al tratto da Carrara alla foce, per cercare di contenere la piena entro argini? Non è proprio possibile agire a monte per ridurre le portate di piena?
Pertanto, pur condividendo l’ovvia necessità di prestare la massima attenzione allo stato degli argini e dei ponti da Carrara al mare, focalizzeremo questo intervento sul solo bacino montano, troppo trascurato e maltrattato.
Il concetto fondamentale da tenere a mente è che per ridurre il rischio alluvionale occorre rallentare i deflussi.
Se infatti tutta l’acqua di una precipitazione intensa sul bacino montano scorre velocemente, raggiungerà in breve tempo Carrara, dove darà luogo ad un picco di piena catastrofico (grafico a sinistra).
Se invece la velocità di deflusso è più lenta, la stessa quantità di acqua si distribuirà su un tempo maggiore: il picco di piena arriverà a Carrara con maggior ritardo e, soprattutto, sarà più ridotto e transiterà pertanto senza esondare (grafico a destra).
Proseguiamo allora il nostro ragionamento in maniera elementare, come se fossimo bambini: possiamo far qualcosa per rallentare lo scorrimento delle acque montane?
La prima idea che può venirci in mente è la costruzione di dighe che trattengano le acque. Ci sono però troppi inconvenienti:
- la sommersione di valli, edifici, strade (con la necessità di nuova viabilità per raggiungere l’alto bacino);
- la difficoltà di assicurarne la tenuta, data la fratturazione e il carsismo del marmo;
- date le pendenze elevate, per trattenere volumi d’acqua consistenti occorrerebbero dighe molto alte;
- se costruite nell’alto bacino sono poco efficaci (raccolgono solo le precipitazioni cadute in una superficie modesta);
- quindi per trattenere più acqua dovremmo costruirle poco a monte di Carrara (ma ci sono frazioni abitate); e magari costruirne più di una.
Senza contare i costi (molto elevati) e la sensazione poco rassicurante di avere una spada di Damocle sulla testa (in caso di crollo o gravi disfunzioni Carrara sarebbe completamente spazzata via). Ci conviene quindi cercare altre soluzioni.
Prima di raggiungere i torrenti montani le acque piovane devono scorrere sulla superficie dei versanti; nei bacini marmiferi (privi di vegetazione arborea) lo scorrimento avviene sulla nuda roccia ed è quindi molto veloce.
Ciò considerato, la presenza dei ravaneti può essere preziosa per rallentare i deflussi, grazie:
- alla loro scabrezza che oppone resistenza allo scorrimento;
- alla loro capacità di assorbire grandi quantità di acqua.
Per sfruttare questo effetto molto positivo bisogna però distinguere tra ravaneti buoni e cattivi.
Svolgono quindi un’importante funzione benefica, riducendo notevolmente i deflussi e i picchi di piena.
Queste frane (debris flow) formano “fiumi di detriti” che vanno a colmare gli alvei sottostanti, provocando esondazioni fin dai tratti montani (è quanto è avvenuto, ad es., nell’alluvione del 2003). A sinistra vediamo due colate detritiche (in giallo) e il cumulo di detriti depositatosi al loro piede (in arancione).
Il malgoverno delle cave, tollerando lo scarico di ingenti quantità di terre e marmettola nei ravaneti, è perciò riuscito a trasformarli da fattore di sicurezza in fattore di pericolo.
Ma i ravaneti recenti hanno anche un altro serio inconveniente: inquinano le sorgenti.
Questa è una sezione schematica dal Monte Serrone al Carrione: vediamo i ravaneti (in grigio), il reticolo carsico con la sua zona vadosa (in bianco) e la falda di fondo (in azzurro) che alimenta le sorgenti delle Canalie. Le acque piovane si infiltrano in parte direttamente nelle fratture del marmo (frecce blu) e in parte nei ravaneti. Scorrendo al loro interno (frecce rosse) anche queste acque raggiungono il sistema carsico (frecce nere) o riemergono al piede del ravaneto (frecce fucsia).
Andiamo a vedere da vicino queste acque che sgorgano dal ravaneto.
A differenza dell’acqua, noi non possiamo penetrare tra gli interstizi delle scaglie e vedere le acque che, dal fondo del ravaneto, entrano nelle fratture del marmo (freccia nera) alimentando le sorgenti; possiamo però vederle ugualmente coi nostri occhi poiché sono le stesse acque che emergono in superficie al piede del ravaneto ai Ponti di Vara (freccia fucsia). Perciò adesso andiamo a vederle in questo breve video e, già che ci siamo, vediamo come, poco più avanti, queste stesse acque si infiltrino nuovamente nel ravaneto successivo (freccia rossa). Sono acque bianco-latte, molto torbide, indice di un contenuto molto elevato di marmettola in sospensione.
Allora, se vogliamo sfruttare i ravaneti per ridurre il rischio alluvionale (rallentando i deflussi), ma non vogliamo rinunciare alle nostre sorgenti, la soluzione è semplice: dobbiamo smantellare i ravaneti recenti, ripulirli dalle terre e ricostruirli con le sole scaglie.
Nonostante i costi e i tempi, questa “grande opera” è una di quelle veramente necessarie e va pertanto perseguita con determinazione. Data la grande estensione (diversi km2) e il notevole spessore (talora decine di m), infatti, i ravaneti-spugna, comportandosi come un grande serbatoio diffuso, darebbero un notevole contributo alla riduzione del rischio alluvionale.
Le strade di arroccamento potremmo ricostruirle sui ravaneti, come lo è questa (in tratteggio bianco), a Canalgrande (il tratteggio giallo indica i versanti della valle, il cui fondo è stato colmato dal ravaneto); oppure costruirle direttamente sulla roccia (come questa a Calocara).
Naturalmente, affinché non sia vanificato, l’intervento deve essere accompagnato fin da subito, dall’emanazione di un’ordinanza “cave pulite come uno specchio” (pena l’immediata e definitiva revoca dell’autorizzazione e causa legale per ottenere il risarcimento del danno ambientale): quindi pulizia rigorosa di tutte le superfici di cava con stoccaggio dei materiali fini (terre e marmettola) unicamente in contenitori a tenuta stagna e divieto assoluto di scaricare detriti sui versanti (salvo le sole scaglie pulite e solo su progetto pubblico, non in base alle convenienze della cava).
Particolare attenzione dovrà essere prestata a garantire la stabilità dei ravaneti ripuliti (ad es. contenendoli con bastioni in blocchi) per evitare che essi apportino detriti agli alvei dei torrenti.
Con questa “grande opera” di ripulitura dei ravaneti raggiungeremmo l’obiettivo di rallentare i deflussi nella fase iniziale, ritardandone cioè sensibilmente il tragitto lungo i versanti, prima che le acque raggiungano l’alveo dei torrenti.
Non ci resta dunque che rallentare la loro velocità anche nel tragitto successivo: dai torrenti montani a Carrara.
Se però andiamo a vedere come stanno i nostri torrenti montani, scopriamo con raccapriccio che in gran parte sono spariti: il fondo delle valli è stato colmato, spianato ed asfaltato per costruire le strade montane!
Poco sopra Carrara gli alvei esistono ancora, ma fortemente ristretti per lasciar spazio alla strada (le linee tratteggiate indicano la valle originaria).
Salendo più a monte, la strada occupa addirittura l’intero alveo originario.
È evidente che, scorrendo direttamente sull’asfalto, le acque acquistano velocità e giungono repentinamente a Carrara, aggravandone il rischio alluvionale.
Per capire in che modo scriteriato abbiamo trattato i nostri torrenti vediamo una simulazione grafica sul Canale di Sponda.
1) In origine doveva avere l’aspetto di un torrente largo, sinuoso, con vegetazione riparia.
2) Poi a lato del torrente è stata costruita una strada, inizialmente sterrata (e, in seguito, anche la ferrovia marmifera);
3) Poi, smantellata la ferrovia, si è pensato bene di sostituirla con una bella strada che fosse in grado di soddisfare l’andirivieni dei camion;
4) Infine, poiché con le piogge intense la strada diventava un torrente impraticabile (per l’insufficienza delle canaline laterali), le acque sono state convogliate in un bel canale in cemento.
Così, di decennio in decennio, abbiamo accelerato continuamente lo scorrimento delle acque, aggravando il rischio alluvionale (ulteriormente accentuato dalla maggior frequenza delle precipitazioni estreme conseguente ai recenti cambiamenti climatici).
La fabbrica del rischio alluvionale non è dunque un’invenzione odierna. Quel che è grave, tuttavia, è che ancora oggi, nonostante le alluvioni subite, il comune prosegua in questa direzione.
Ad es. solo un paio d’anni fa il canale è stato ricostruito e allargato, adeguandolo alla portata duecentennale, nella convinzione di mettere così “in sicurezza” l’area; non si è stati nemmeno sfiorati dal dubbio che in questo modo, allontanando rapidamente le acque ed evitando l’esondazione localmente (dove peraltro avrebbe provocato ben pochi danni), si stava scaricando un maggior rischio su Carrara (dove provocherà danni ben maggiori).
È evidente infatti che un alveo con elevata scabrezza di fondo eserciterà un sensibile rallentamento della corrente (dissipando energia per attrito: foto 4), mentre in un alveo liscio la velocità sarà massima (foto 2).
Una caratteristica della fabbrica del rischio alluvionale è la mancanza di una strategia unitaria, coerente e condivisa da tutti gli uffici.
Così, in questa Babele amministrativa, mentre un ufficio si adopera a valle per innalzare e rattoppare gli argini (adeguandoli alla piena di progetto), altri uffici, con i loro interventi al monte, inducono piene più elevate che rendono insufficienti i nuovi argini (ad es. un secondo ufficio “migliora” la viabilità montana e un terzo, per proteggere le sorgenti, canalizza le acque sui ravaneti).
In conclusione, non possiamo più continuare con uffici che si occupano di un settore disfacendo quello che fanno altri uffici.
Bisogna fermare questa fabbrica del rischio alluvionale (otreché di altri effetti controproducenti), rivoluzionando il funzionamento della macchina comunale.
A tal fine sono necessarie strategie corrette, con obiettivi chiari e condivisi, accompagnate da meccanismi stringenti di verifica di coerenza tra l’operato di ciascun ufficio e la strategia generale.
In entrambe queste fasi (definizione della strategia e verifica di coerenza) la partecipazione dei cittadini può svolgere un ruolo fondamentale.
Come altri obiettivi di civiltà, infatti, la difesa dal rischio alluvionale richiede innanzitutto un sostanziale allargamento della democrazia.
Per saperne di più:
Sulle problematiche tra cave, dissesto idrogeologico ed alluvione:
Bonifica dei ravaneti: una critica costruttiva (31/10/2015)
Come opera la fabbrica del rischio alluvionale (la bonifica dei ravaneti) (24/10/2015)
I ravaneti ci proteggono dalle alluvioni? Risposta ad Assindustria (26/5/2015)
Carrione: le proposte di Legambiente per il piano di gestione del rischio alluvioni (7/7/2015)
Carrara: le alluvioni procurate. Come difenderci (VIDEO, 15/12/2014)
Esposto alla Procura: il Comune ha scelto di allagare Miseglia ad ogni pioggia (12/11/2012)
Terre nei ravaneti: rischio di frana e alluvione (VIDEO TG1 22/11/2011) durata: 1’ 23”
Fanghi di cava gratis su Miseglia (VIDEO 28/12/2010) durata: 10’ 26”
Miseglia invasa dai fanghi di cava: fino a quando? (28/12/2010)
Aspettando la prossima alluvione: gli interessi privati anteposti alla sicurezza (26/3/2007)
In attesa della prossima alluvione: porre ordine alle cave (15/3/2007)
Cave, ravaneti, alluvione: che fare? (Conferenza su alluvione: Relazione Piero Sacchetti, 11/10/2003: PDF, 37 KB)
Fenomeni di instabilità sui ravaneti (Conferenza su alluvione: Relazione Giuseppe Bruschi, 11/10/2003: PDF, 1,1 MB)
Carrione, sicurezza e riqualificazione: un binomio inscindibile (Conferenza su alluvione: Relazione di Giuseppe Sansoni, 17/3/2006: PDF, 3,2 MB)
Alluvione Carrara: analisi e proposte agli enti (11/10/2003)
Sulle problematiche tra cave e inquinamento delle sorgenti e dei corsi d’acqua:
Come si progetta l’inquinamento delle sorgenti? Osservazioni alle cave Tagliata e Strinato (14/6/2015)
La Regione protegga le sorgenti dalle cave di marmo (27/3/2014)
Cosa (non) si fa per la protezione delle sorgenti? (16/1/2010)
Nubifragio: sorgenti torbide per lo smaltimento abusivo delle terre (11/7/2009)
Gestire le cave rispettando l’ambiente e i cittadini: le proposte di Legambiente (11/1/2007)
A difesa delle sorgenti: occorre trasparenza e porre ordine alle cave (21/3/2006)
Come le cave inquinano le sorgenti (conferenza, illustrata) (17/3/2006)
Inquinamento delle sorgenti. Mancano i filtri? No, manca la prevenzione! (4/12/2005)
Frigido: vent’anni di indagini chimiche, biologiche ed ecologiche (Arpat, 2003)
Impatto ambientale dell’industria lapidea apuana (1991)
Impatto della marmettola sui corsi d’acqua apuani (volume 1983)