A fine 2014, nel motivare la richiesta di dimissioni dell’intera giunta, Legambiente spiegò che le alluvioni di Carrara non sono calamità naturali, ma “procurate” dall’operato quotidiano della macchina comunale in cui ogni ufficio opera con i paraocchi: interviene cioè nel proprio settore (viabilità, marmo, lavori pubblici, urbanistica, ambiente, industria, ecc.) senza accertarsi di non accrescere il rischio idraulico o altri danni collaterali. Tra gli esempi di interventi controproducenti di questa inconsapevole ma perfetta “fabbrica del rischio alluvionale” indicavamo le strade montane costruite a spese dell’alveo dei torrenti, la gestione dei ravaneti e le tombature.
Riportiamo oggi un altro esempio del funzionamento di questa “fabbrica”: la bonifica di tre ravaneti, finalizzata alla protezione delle sorgenti dalla marmettola. Un caso esemplare di come, in mancanza di una visione unitaria, anche un intervento mosso dalle migliori intenzioni possa incrementare il rischio alluvionale.
In primo luogo si sottolinea come, viste le elevate pendenze dei torrenti montani e la loro simultanea confluenza a ventaglio in corrispondenza di Carrara, l’obiettivo strategico da porsi per ridurre il rischio idraulico sia il rallentamento dei deflussi (ancor più importante della costruzione di argini). A tal fine contribuiscono anche i vecchi ravaneti (costituiti da sole scaglie) poiché funzionano come spugne che assorbono le acque piovane per rilasciarle poi lentamente (passata l’onda di piena). Sono invece controproducenti i ravaneti recenti (ricchi di terre e perciò soggetti a frane che apportano detriti ai torrenti) e le strade montane costruite nell’alveo dei torrenti poiché, costringendo le acque di piena a scorrere sull’asfalto stradale, ne accelerano il deflusso.
Il progetto di bonifica dei tre ravaneti è fondato essenzialmente sulla ricostruzione degli alvei sepolti dai detriti, accompagnata in buona parte dalla cementificazione del fondo per prevenire l’infiltrazione di acque torbide nelle fratture del marmo e il conseguente inquinamento delle sorgenti che alimentano l’acquedotto cittadino.
L’intervento sul ravaneto e canale di Sponda, già realizzato, ha comportato il rinnovo e il completamento della cementificazione del lungo canale (circa 900 m) che fiancheggia la strada, con l’effetto indesiderato di accentuare le onde di piena e il rischio alluvionale a Carrara.
L’intervento sul canale di Boccanaglia è quello meglio concepito e riuscito, in quanto si è ricostruito un alveo ampio e dotato di scabrezza (che rallenta i deflussi) e si è puntato sulla sigillatura delle singole fratture del marmo, limitando la cementificazione del fondo al solo tratto terminale (200 m).
Quello sul ravaneto Ponti di Vara, in corso di realizzazione, prevedendo un nuovo canale in cemento lungo 1.250 m, aggraverà sensibilmente il rischio idraulico per Carrara. Legambiente ne chiede pertanto la sospensione, sostituendolo con lo scavo del ravaneto fino al substrato roccioso e la sigillatura mirata delle fratture. Chiede inoltre l’eliminazione della tombatura del tratto terminale del canale (riportando alla luce l’alveo oggi occupato dalla stradina di accesso all’impianto di trattamento delle sorgenti) e l’emanazione di un’ordinanza “cave pulite come uno specchio”, a tutela delle sorgenti e a contenimento del rischio alluvionale.
Con l’occasione si esprimono critiche alla Babele tecnica che regna nel comune: mentre un ufficio bonifica il ravaneto Ponti di Vara, infatti, tutt’attorno nascono e crescono nuovi ravaneti, autorizzati da un altro ufficio. Analogamente, mentre l’intervento si propone di proteggere le sorgenti delle Canalie, la sistemazione della strada per le cave di Canalgrande riversa nei ravaneti montani le acque torbide che, penetrando nel reticolo carsico, inquinano le stesse sorgenti che con l’altro intervento si intende proteggere.
Si evidenzia infine la necessità di una strategia unitaria, perseguita con coerenza e determinazione da tutti gli uffici per evitare che si sprechi denaro pubblico per interventi tra loro contraddittori o addirittura controproducenti.
La sicurezza idraulica richiede una visione strategica
Prima di descrivere il progetto e i risultati ottenuti è essenziale ricordare che per ottenere la riduzione del rischio alluvionale è necessario porsi l’obiettivo strategico di rallentare i deflussi. Se infatti tutta l’acqua di una precipitazione intensa sul bacino montano raggiunge in breve tempo Carrara, qui darà luogo ad un picco di piena catastrofico con alluvione. Se invece la velocità di deflusso è più lenta, la stessa quantità di acqua si distribuirà su un tempo maggiore: il picco di piena a Carrara sarà ridotto e transiterà senza esondare (Fig. 1).
Questo principio, valido ovunque, assume una particolare importanza per Carrara poiché, date le elevate pendenze e la conformazione ad anfiteatro dell’alto bacino del Carrione, le piene dei vari torrenti tendono a scorrere rapidamente e a convergere pressoché simultaneamente nel centro abitato di Carrara, dove la loro sommatoria dà luogo ad improvvisi e rilevanti incrementi della portata (Fig. 2).
Ridurre la velocità dei deflussi e i picchi di piena è dunque ben più efficace che costruire argini. Purtroppo noi facciamo il contrario: mentre costruiamo (malamente) argini al piano, acceleriamo i deflussi al monte producendo così piene più elevate che renderanno insufficienti gli argini.
Un esempio rilevante della gestione scriteriata del bacino montano del Carrione sono le strade che occupano parzialmente o interamente gli alvei, costringendo le acque di piena a scorrere in canali artificiali in cemento (a lato della strada) o direttamente sull’asfalto stradale (Fig. 3); ciò, unito alle elevate pendenze, accentua in maniera esasperata i picchi di piena dei singoli corsi d’acqua, la loro velocità e la loro sommatoria a Carrara.
Il progetto di bonifica dei ravaneti di Sponda, Ponti di Vara e Can. Boccanaglia
È ben noto che, a causa della fratturazione e carsismo del marmo (nelle cave, nei versanti e nell’alveo dei corsi d’acqua), gli inquinanti (marmettola, terre, idrocarburi) dilavati dalle piogge penetrano nel reticolo carsico e riemergono nelle sorgenti captate a scopo idropotabile, determinandone frequenti e anomali intorbidamenti che costringono ad escluderle dalla rete acquedottistica (Fig. 4).
Poiché le cave abbandonano impunemente al monte milioni di tonnellate di marmettola e terre, ingenti quantità di questi materiali fini sono dilavati dalle acque meteoriche (Fig. 5). Al fine di proteggere le sorgenti dall’infiltrazione rapida di acque superficiali torbide e di ridurre la marmettola trascinata nei corsi d’acqua, tre ravaneti sono stati inseriti tra gli interventi di bonifica di interesse nazionale (decreto Ministero Ambiente del 21/12/99) e la Regione (decreto n. 6652 del 27/12/2007) ha stanziato circa 4 milioni a favore del comune di Carrara per la bonifica dei ravaneti di Sponda, Ponti di Vara e Canale di Boccanaglia.
In sintesi, il progetto prevede la parziale asportazione di alcuni ravaneti (laddove hanno sepolto gli alvei, in modo da ripristinarli) e la sistemazione a gradoni della parte restante, seguita dal rivestimento con biostuoie e rivegetazione.
Nei tratti di alveo individuati come critici da studi idrogeologici (perché presentano fratture in comunicazione idraulica diretta con le sorgenti) si prevede di ricostruire gli alvei con materiali impermeabilizzanti e di realizzare briglie sedimentatrici per ridurre la marmettola trasportata a valle. L’impermeabilizzazione del fondo alveo è prevista fino all’altezza necessaria a smaltire le piene quinquennali, proteggendo così le sorgenti dalle piogge più frequenti, escludendo quelle più intense. Dove l’alveo è sepolto da strade asfaltate (a monte dei Ponti di Vara) si prevede un canale in cemento a lato della strada.
I risultati: 1) ravaneto e canale di Sponda
Va ricordato che un ravaneto costituito essenzialmente da scaglie fornisce un utile contributo alla riduzione del rischio idraulico poiché funziona come una spugna, un serbatoio a lento rilascio che assorbe le acque piovane rilasciandole poi gradualmente dopo il transito del picco di piena, che risulta perciò ridotto.
Il ravaneto di Sponda, invece, essendo costituito essenzialmente da terre (Fig. 6B), si satura rapidamente e non svolge tale funzione. Pertanto è già criticabile la scelta di rimodellarlo anziché rimuoverlo interamente (magari a spese delle cave che vi hanno abbandonato i loro detriti) o, ancora meglio, rimuoverlo, privarlo delle terre mediante vagliatura e ricostruirlo con le sole scaglie (conferendogli in tal modo la funzione assorbente).
In ogni caso, nonostante il progetto prevedesse la piantumazione, l’annaffiamento, il monitoraggio dell’attecchimento delle talee e piantine messe a dimora e interventi di nuova piantumazione fino al completo attecchimento, i gradoni nudi mostrano che il capitolato d’appalto non è stato rispettato (Fig. 6Ce 6D). Ma soprattutto, ancor più del fallito attecchimento vegetale, è da recriminare l’occasione perduta di ottenere contestualmente una riduzione del rischio alluvionale.
Anche l’intervento sul Canale di Sponda è già stato realizzato: il vecchio canale in cemento a lato della strada è stato ricostruito e, nel suo tratto terminale (più ripido), sono state ricostruite le briglie e il fondo, quest’ultimo con sassi di ravaneto parzialmente affogati nel cemento (Fig. 7, 8 e 9).
Ad essere pignoli, il progetto prevedeva il rivestimento «in pietra di marmo grezzo, in accordo con le tipologie tradizionali dei luoghi» delle superfici di calcestruzzo in vista. Il mancato rivestimento (si riveda la Fig. 7) è dunque criticabile per motivi di inserimento paesaggistico. Ma molto più criticabile è la scelta di confermare, rinnovare ed ampliare la cementificazione dell’intero alveo (pensata per ridurre l’infiltrazione di acque torbide nelle sorgenti) senza tener conto dei “danni collaterali”: il rapido deflusso delle acque sul cemento accresce infatti il rischio alluvionale che grava su Carrara.
I risultati: 2) Canale di Boccanaglia
L’intervento sul Canale di Boccanaglia è stato meno invasivo; i lavori di progetto, già attuati, hanno riguardato:
- nel tratto superiore: rimozione dei detriti dei ravaneti di Boccanaglia, Pratazzuolo e Calacata laddove seppellivano l’alveo (ripristinandolo) e risagomatura a gradoni dei ravaneti stessi;
- nel lungo tratto intermedio (da Calacata al ponte di via Torano-Piastra), un lavoro mirato di ripulitura e ispezione dell’alveo in roccia, sigillando con calcestruzzo le fratture individuate;
- nel tratto terminale, invece (dal ponte al gruppo delle sorgenti di Torano), sede di sensibili zone di scambio torrente-sorgenti, rimodellamento dell’alveo e impermeabilizzazione del fondo con cemento.
Particolarmente apprezzabili sono la sigillatura mirata delle singole fratture presenti nel tratto intermedio e il ripristino dell’alveo nel tratto superiore, in precedenza in gran parte occupato da detriti di ravaneto. Basta infatti uno sguardo alla Fig. 10 per comprendere che, in condizioni di piena, un alveo così ampio e con una scabrezza così elevata (conferita dalle scaglie di marmo) indurrà un rilevante rallentamento della corrente e una conseguente riduzione della portata di piena a Carrara.
Purtroppo la cementificazione del fondo nel tratto terminale (dal ponte di via Torano-Piastra all’impianto AMIA di trattamento delle acque sorgive, presso l’immissione nel Carrione) produrrà un risultato opposto: velocizzazione della corrente e incremento dei picchi di piena (Fig. 11). Sarebbe stato certamente più laborioso, ma altamente preferibile, limitarsi a sigillare anche in questo tratto le singole fratture individuate in alveo.
I risultati: 3) Ponti di Vara
L’intervento, attualmente in corso, indubbiamente il più impegnativo e costoso dei tre, riguarda la sistemazione del ravaneto che colma la valle del Fosso Canalgrande formando un vasto piazzale sotto i ponti di Vara (Fig. 12), nonché la regimazione delle acque.
Prima di esprimere un giudizio descriviamo l’insieme degli interventi previsti, schematizzato nella Fig. 13.
La sistemazione a gradoni del ravaneto è già stata realizzata nel piccolo lembo in destra idrografica sebbene non si sia ancora provveduto al suo rivestimento con geostuoia (che il progetto, invece, prevedeva «immediato» per prevenire il dilavamento superficiale da parte delle acque meteoriche e l’inquinamento delle sorgenti). Restano invece da sistemare tutta la parte del piazzale in sinistra idrografica e la scarpata del ravaneto (Fig. 14).
La parte principale del progetto è la regimazione delle acque, con ricostruzione del tratto inferiore del Fosso Canalgrande (laddove è sepolto) e il convogliamento ad esso delle acque che oggi scorrono in superficie (sulle strade e sui versanti) e in sotterraneo (nel corpo dei ravaneti).
Le acque superficiali che oggi scorrono sull’asfalto stradale saranno raccolte da un canale in cemento che si prevede di realizzare a lato della strada Ponti di Vara-Fantiscritti (Fig. 15). Giunto al piazzale dei Ponti di Vara, il canale proseguirà a lato della strada che scende al ravaneto-piazzale (Fig. 16), lo percorrerà tutto lungo un alveo cementato scavato nel ravaneto stesso (Fig. 17) che scenderà poi (sempre cementato) con pendenza molto elevata su un alveo scavato sulla scarpata del ravaneto (Fig. 18), raggiungendo infine il Carrione di Colonnata in loc. Canalie (in corrispondenza della segheria Narbor). Nell’ultimo tratto, di circa 100 m, la tombatura attuale sarà mantenuta e affiancata da un nuovo canale tombato (Fig. 19).
Saranno convogliate al nuovo alveo scavato nel piazzale-ravaneto anche le acque che, dopo essersi infiltrate nei ravaneti dell’ampio bacino montano Canalgrande-Fantiscritti, riemergono poco a monte dei Ponti di Vara e scorrono in un canale tagliato sulla parete della cava Vara Bassa, realizzato per evitare l’allagamento della cava stessa (Fig. 20).
Terminata la descrizione dell’intervento possiamo esprimere una prima valutazione. Come già accennato, l’obiettivo strategico dei lavori è la regimazione delle acque meteoriche, raccolte in un canale impermeabilizzato in cemento (lungo 1.250 m) per condurle rapidamente al Carrione ed evitarne sia l’infiltrazione (e il conseguente intorbidamento delle sorgenti) sia l’invasione della sede stradale, con intralcio al traffico. Non si è però tenuto conto che la grande accelerazione dei deflussi indotta dallo scorrimento nel canale cementificato accentuerà i picchi di piena del Carrione, accrescendo il rischio alluvionale per Carrara.
Analogamente, il comportamento incoerente –addirittura schizofrenico– del Comune risulta evidente se si pensa che nel novembre 2012, mentre il sindaco si lasciava andare ad una sfuriata contro le tombature responsabili dell’alluvione di Bonascola, i suoi uffici stavano predisponendo la gara di affidamento dei lavori di bonifica del ravaneto Ponti di Vara (conclusasi nel 2013) che prevedevano una nuova tombatura alle Canalie (anziché la rimozione di quella esistente).
Considerare il Comune una inconsapevole quanto perfetta “fabbrica del rischio alluvionale” non è dunque un’accusa immotivata e ingenerosa, ma la semplice constatazione del suo modo di operare: da una parte si proclamano principi giusti, mentre dall’altra si perseguono obiettivi particolari (ad es. tutela delle sorgenti, viabilità montana) senza neppure interrogarsi sugli eventuali inconvenienti (maggior rischio alluvionale), senza una visione generale e, addirittura, contraddicendo platealmente tali principi (tombature).
La nostra critica è però ancor più radicale visto che alcuni degli stessi interventi a tutela delle sorgenti (e, ancor più, la gestione complessiva delle cave) sono stati accompagnati da modalità operative che aggravano lo stesso rischio d’inquinamento delle sorgenti.
Schizofrenia al comando: mentre tutelo le sorgenti ne aumento l’inquinamento
Dal progetto emerge chiaramente la consapevolezza che i lavori sui ravaneti (risagomatura a gradoni e scavo degli alvei), movimentando le terre, comportano il rischio di inquinamento delle sorgenti. Si afferma infatti che «si evidenzia solamente che in caso di pioggia durante le fasi di asportazione dei ravaneti si potrà rilevare un temporaneo aumento della torbidità delle sorgenti a causa della rimozione di materiale fine che potrà essere preso in carico dai canali. Pertanto si prevede di prendere appositi accorgimenti al fine di non erogare acqua difforme dai limiti legali (n.d.r.: gli accorgimenti consistono nel misurare in continuo la torbidità delle sorgenti, escludendole dalla rete acquedottistica quando inquinate)». Come ulteriore misura, «per minimizzare eventuali apporti solidi alle sorgenti, la rimozione dei ravaneti sarà eseguita “step by step” e la parte escavata sarà immediatamente ricoperta con biostuoie».
Tuttavia, oltre al mancato rispetto delle disposizioni progettuali (si vedano il ravaneto Pratazzuolo –non gradonato né ricoperto– e il ravaneto Ponti di Vara, gradonato da mesi ma ancora non ricoperto: Fig. 10 e 14), il progetto stesso prevede un’organizzazione del cantiere in stridente contrasto con la tutela delle sorgenti.
Prevede infatti l’accumulo e la vagliatura di terre e scaglie nello stesso piazzale-ravaneto, esponendo ingenti quantità di terre all’intenso dilavamento delle piogge (Fig. 21). Viene da chiedersi non solo se i lavori siano stati controllati ma, soprattutto, come sia stato possibile autorizzare tali operazioni di vagliatura proprio nel piazzale sovrastante le sorgenti da proteggere, anziché prescrivere l’immediato allontanamento dei detriti e la loro vagliatura negli impianti già presenti nella zona industriale.
Ugualmente inspiegabile resta l’autorizzazione ad un’altra ditta di vagliatura di inerti che opera nel piazzale adiacente da almeno 10 anni (Fig. 22).
Viabilità per le cave: creare rischio alluvionale o inquinare le sorgenti?
L’attuale organizzazione del comune –in cui ogni ufficio persegue i propri obiettivi settoriali in maniera non coordinata con gli altri uffici e senza una visione unitaria multiobiettivo– porta spesso un ufficio a conseguire un determinato obiettivo, vanificando l’operato di altri uffici. Così, nella Babele comunale, mentre un ufficio realizza un progetto di tutela delle sorgenti e un altro esegue lavori per la sicurezza idraulica, un terzo ufficio sistema le strade per le cave vanificando la tutela delle sorgenti e/o la sicurezza idraulica.
Prendiamo come esempio concreto quello del bacino di Canalgrande, il cui omonimo fosso recettore delle acque meteoriche è stato colmato nei decenni da imponenti ravaneti, sui quali sono state poi costruite le vie d’arroccamento alle cave. Negli anni 2010-2012 è stato realizzato un sistema di regimazione convogliando le acque meteoriche in canaline per evitare che scorressero direttamente sulla sede stradale (Fig. 23).
Esaminiamo le conseguenze di questa sistemazione stradale. Com’è ben noto, le acque che scorrono su una superficie liscia come l’asfalto acquistano una velocità ben superiore a quella che avrebbero in un alveo naturale dotato di scabrezza; pertanto, considerando anche le elevate pendenze del bacino di Canalgrande, queste acque raggiungeranno il Carrione più rapidamente, accentuando il rischio alluvionale a Carrara. La realizzazione delle canaline stradali accresce ulteriormente tale rischio poiché le acque, concentrate e confinate nello stretto “alveo” della canalina, acquistano velocità decisamente superiori (Fig. 24).
Nel caso specifico, tuttavia, l’incremento del rischio idraulico indotto dalle canaline stradali è molto contenuto (di gran lunga inferiore a quello conseguente al canale in cemento lungo oltre 1 km in corso di costruzione) poiché queste, attraverso una serie di vasche e troppo pieni, riversano gran parte delle acque sui ravaneti, nei quali esse si infiltrano alimentando lo scorrimento sotterraneo (che ha velocità di gran lunga inferiore a quella delle acque superficiali).
Per comprendere le implicazioni di questo sistema di regimazione delle acque tracciamo una sezione dalle Canalie al M. Serrone, lungo la linea tratteggiata della Fig. 25A: il risultato schematico della circolazione idrica è mostrato nella Fig. 25B.
Da questa ricostruzione è evidente che il gruppo di sorgenti delle Canalie (che, assieme a quelle del gruppo di Torano, rifornisce l’acquedotto cittadino) è alimentato da quella parte delle acque cadute sul bacino di Canalgrande che si infiltra nel sistema carsico (orientativamente il 70% delle precipitazioni). Perciò il nuovo alveo cementificato scavato nel ravaneto Ponti di Vara ridurrà solo marginalmente il problema: le sorgenti, infatti, continueranno ad essere inquinate dalle acque torbide che si infiltrano in tutto il bacino (compreso il ravaneto stesso).
Poiché i ravaneti contengono grandi quantità di marmettola e terre –e altri apporti provengono dalle cave (Fig. 26)– il rischio di intorbidamento delle sorgenti è molto elevato. Con le precipitazioni modeste lo scorrimento sotterraneo è lento e questi materiali fini riescono a sedimentare almeno parzialmente nei condotti carsici; nel caso di piogge intense, invece, lo scorrimento veloce e turbolento mantiene in sospensione marmettola e terre costringendo ad escludere le sorgenti inquinate dalla rete acquedottistica. Per vedere con i propri occhi la torbidità delle acque che scorrono all’interno dei ravaneti basta guardarle al momento della loro scaturigine dal piede dei ravaneti stessi (si rivedano le Fig. 20B e20C).
Non sappiamo se nella sistemazione della viabilità di Canalgrande ci si è posti esplicitamente il dilemma se intercettare e condottare tutte le acque piovane (accrescendo in maniera rilevante il rischio alluvionale a Carrara) o intercettarle per farle infiltrare nel ravaneto (accrescendo il rischio di inquinamento delle sorgenti): di fatto è prevalsa la seconda soluzione. Sicuramente non è stato perseguito (probabilmente nemmeno immaginato) l’obiettivo di ridurre contestualmente sia il rischio idraulico sia l’inquinamento delle acque sotterranee.
A tal fine sono proponibili una soluzione radicale (molto impegnativa, anche economicamente) ed una soluzione normativa, senza alcun costo pubblico e immediatamente praticabile.
La soluzione radicale comporterebbe la rimozione –graduale ma completa– dell’intero ravaneto e la sua ricostruzione con le sole scaglie (previo allontanamento delle terre mediante vagliatura): nonostante la complessità, i tempi e i costi evidenti, tale operazione permetterebbe la massima riduzione del rischio alluvionale. Questa misura dovrebbe essere accompagnata fin dall’inizio dall’emanazione di un’ordinanza “cave pulite come uno specchio”, pena l’immediata e definitiva revoca dell’autorizzazione: pulizia rigorosa di tutte le superfici di cava con stoccaggio dei materiali fini (terre e marmettola) unicamente in contenitori a tenuta stagna e divieto assoluto di scaricare detriti sui versanti.
La viabilità potrebbe essere ricostruita a mezza costa o nuovamente sul ravaneto. Tutte le acque meteoriche –stavolta finalmente pulite– dovrebbero essere convogliate ad infiltrarsi nel ravaneto: in tal modo le sorgenti non riceverebbero più acque inquinate, mentre il rallentamento dei deflussi nel percorso sotterraneo ridurrebbe notevolmente il rischio alluvionale. Naturalmente dovrebbero essere adottati accorgimenti (es. bastioni in blocchi) per stabilizzare il ravaneto ed evitare il rischio di frane e di apporto di detriti aicorsi d’acqua.
La soluzione normativa consisterebbe nella sola emanazione della citata ordinanza e nella inflessibile determinazione a farla rispettare, revocando l’autorizzazione alle cave inadempienti. Per ancora parecchi anni le acque che scorrono all’interno dei ravaneti continuerebbero ad essere torbide (per i materiali fini in essi già incorporati), ma gradualmente, in assenza di nuovi apporti inquinanti, il sistema si ripulirebbe riducendo progressivamente la torbidità delle acque sotterranee. È dunque una soluzione praticabile fin da subito, se solo vi fosse la ferma volontà dell’amministrazione.
Bonificare i ravaneti: per crearne altri?
Per cogliere un altro spaccato della Babele comunale basta sostare pochi minuti sui ponti di Vara: mentre immediatamente a monte si vede la parete ripulita dal ravaneto della cava Vara A (completamente rimosso nel 2009-2011: Fig. 27) e a valle si lavora alla rimozione e sistemazione del ravaneto-piazzale, tutt’attorno permangono altri ravaneti alimentati quotidianamente di detriti (Fig. 28) e addirittura ne sorgono di nuovi, evidentemente autorizzati da un altro ufficio (Fig. 29).
Tenuto conto degli impatti di queste pratiche incivili di scaricare i detriti sui versanti (paesaggistico, frane, sepoltura delle valli, apporto di detriti agli alvei, intorbidamento delle sorgenti e dei corsi d’acqua), si fa veramente fatica a comprendere perché il comune le autorizzi, anziché prescrivere l’allontanamento dei detriti su camion (come avviene per i blocchi). Che si tratti di servilismo nei confronti delle cave, di indifferenza o altro, sicuramente ridurre le nostre splendide montagne ad un’immensa discarica disseminata di cantieri di vagliatura di detriti implica una buona dose di disprezzo verso i cittadini e il loro patrimonio ambientale.
Amministrazione comunale: serve una svolta radicale
Le argomentazioni sviluppate in questo articolo evidenziano la necessità di una svolta radicale nella gestione del territorio. Non è più tollerabile che gli uffici comunali sprechino denaro pubblico in interventi che vanificano l’operato degli uffici adiacenti. Emerge, soprattutto, la necessità di una visione strategica unitaria e coerente, in particolare sulla gestione delle cave e del rischio alluvionale, che serva da guida a tutti gli interventi pubblici e privati.
A tale visione abbiamo già fornito alcuni contributi degni d’interesse; ci limitiamo qui a citare i più recenti: Carrione: le proposte di Legambiente per il piano di gestione del rischio alluvioni (luglio 2015), Carrara: le alluvioni procurate. Come difenderci (video) (dic. 2014), Basta alluvioni: meno opere, miglior politica urbanistica (nov. 2014) e La Regione protegga le sorgenti dalle cave di marmo (marzo 2014).
Ci auguriamo che l’amministrazione voglia prenderli in seria considerazione, elabori linee guida ed organizzi uno stringente coordinamento tra i suoi uffici per assicurarsi che tutti perseguano sinergicamente gli obiettivi prefissati.
Per quanto riguarda la bonifica dei tre ravaneti, resta da completare solo quella del ravaneto Ponti di Vara. Sarebbe un bel segnale se l’amministrazione, rendendosi conto che la soluzione progettuale accrescerebbe sensibilmente il rischio alluvionale, rinunciasse alla realizzazione del canale in cemento lungo 1250 m, sostituendolo con lo scavo dell’alveo fino al substrato roccioso e con la sigillatura mirata delle singole fratture in esso presenti.
Altrettanto opportuna è l’eliminazione della tombatura del tratto terminale del fosso Canalgrande, riportando alla luce l’alveo oggi occupato dalla stradina di accesso all’impianto di trattamento delle sorgenti (agevolmente raggiungibile con una nuova stradina d’accesso). Chiediamo infine l’emanazione della citata ordinanza “cave pulite come uno specchio”, a tutela delle sorgenti e a contenimento del rischio alluvionale.
Legambiente Carrara
Per saperne di più:
Sulle problematiche tra cave, dissesto idrogeologico ed alluvione:
Legambiente chiede l’avvio del contratto di Torrente del Carrione (11/8/2015)
Carrione: le proposte di Legambiente per il piano di gestione del rischio alluvioni (7/7/2015)
I ravaneti ci proteggono dalle alluvioni? Risposta ad Assindustria (26/5/2015)
Carrara: le alluvioni procurate. Come difenderci (VIDEO, 15/12/2014)
Esposto alla Procura: il Comune ha scelto di allagare Miseglia ad ogni pioggia (12/11/2012)
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Cave, ravaneti, alluvione: che fare? (Conferenza su alluvione: Relazione Piero Sacchetti, 11/10/2003: PDF, 37 KB)
Fenomeni di instabilità sui ravaneti (Conferenza su alluvione: Relazione Giuseppe Bruschi, 11/10/2003: PDF, 1,1 MB)
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Cosa (non) si fa per la protezione delle sorgenti? (16/1/2010)
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Come le cave inquinano le sorgenti (conferenza, illustrata) (17/3/2006)
Come le cave inquinano le sorgenti. Ecco le prove. Come evitarlo (Conferenza, relazione di Giuseppe Sansoni, 17/3/2006: PDF, 3,2 MB)
Conferenza Cave e inquinamento sorgenti (17/3/2006) (pps: 11,2 MB)
Inquinamento delle sorgenti. Mancano i filtri? No, manca la prevenzione! (4/12/2005)
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Scandalo Carrione: “Legambiente, inascoltata Cassandra” (Articolo di M. Imarisio sul Corriere della Sera, 6/11/2014)
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Interpellanza parlamentare: critiche ai lavori fluviali post alluvione sul Magra (3/7/2012)
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