Visto l’interesse dell’argomento pubblichiamo questa discussione che prende lo spunto da un’intervista a Sansoni del Tirreno, nella quale si proponeva la rimozione dei ravaneti per ridurre il rischio alluvionale.
A questa sono seguite la risposta di Assindustria che, al contrario, sostiene il ruolo positivo dei ravaneti nel mitigare le alluvioni e l’articolo di David Chiappuella che, opportunamente, distingue tra ravaneti attivi e inattivi. Di seguito, la risposta ad Assindustria.
Alla nostra proposta di rimuovere i ravaneti per ridurre il rischio d’inquinamento delle sorgenti e il rischio alluvionale dovuto ai detriti di cava che, trascinati nei torrenti, ne riducono la capacità idraulica, Assindustria replica con una serie di argomentazioni tecniche che meritano una risposta.
Secondo Assindustria, i ravaneti rallenterebbero la corsa dell’acqua e tratterrebbero le parti solide (non è chiaro se si riferisca ai detriti o ai fanghi); per capire i loro effetti sul deflusso servirebbero modelli scientifici basati su una gran mole di dati; in attesa dei risultati di tali studi basterebbe considerare che delle 500 frane e smottamenti verificatesi nell’alluvione del 2003 solo poche hanno interessato i ravaneti (che quindi non avrebbero contribuito all’alluvione); basterebbe infine pensare alle alluvioni degli anni ’30 e ’50 (quando l’escavazione era molto inferiore all’attuale) per scagionare le attività estrattive; in conclusione i ravaneti potrebbero addirittura svolgere un ruolo nel mitigare le alluvioni.
Nel dibattito si è opportunamente inserito David Chiappuella distinguendo tra ravaneti attivi, instabili e soggetti a frane nel caso di sismi o precipitazioni intense, e ravaneti inattivi, stabilizzatisi nel tempo per cementazione da parte delle acque circolanti e per l’insediamento di vegetazione.
I ravaneti antichi rallentano i deflussi: vanno mantenuti
Alle argomentazioni di Chiappuella, da noi condivise ed espresse da oltre un decennio (come testimoniano i nostri documenti pubblicati sul sito www.legambientecarrara.it), ne aggiungiamo un’altra, legata alla diversa composizione granulometrica tra ravaneti vecchi e recenti. I vecchi ravaneti (anteriori agli anni ’60-’70), originati dalle varate con esplosivi, sono costituiti in netta prevalenza da scaglie (spesso sistemate con grande perizia con la tecnica dei muretti a secco: Fig. 1); si comportano perciò come grandi spugne che assorbono le acque meteoriche, per rilasciarle poi lentamente. Questi ravaneti vanno perciò mantenuti poiché, riducendo i picchi di piena, sono importanti fattori di sicurezza.
I ravaneti recenti accentuano le piene: vanno rimossi
I ravaneti recenti, invece, sono ricchi di terre, sia perché le nuove tecniche di coltivazione producono meno detriti, sia perché buona parte delle scaglie viene asportata per l’industria del carbonato, mentre le terre, non avendo un mercato, sono in gran parte abbandonate (abusivamente) nei ravaneti (Fig. 2).
Le terre, occludendone gli interstizi, rendono questi ravaneti non solo impermeabili (non funzionano più da spugne), ma anche suscettibili a frane poiché le terre, imbibite, fluidificano e agiscono da lubrificante. Queste frane formano “colate detritiche” (debris flow) che, depositandosi nell’alveo dei corsi d’acqua, ne riducono la capacità idraulica, favorendo le esondazioni fin dai tratti montani (è quanto è avvenuto, ad es., nell’alluvione del 2003: Fig. 3). In poche parole, il malgoverno delle cave è riuscito a trasformare i ravaneti da fattore di sicurezza in fattore di pericolo. I ravaneti recenti vanno pertanto rimossi.
I ravaneti trattengono fanghi e detriti, o ne sono la fonte?
La considerazione sull’utilità dei ravaneti nel “trattenere le parti solide” è un vero capolavoro di umorismo involontario, in quanto dimentica che essi sono la fonte stessa dei fanghi e dei detriti che, effettivamente, restano in parte trattenuti sul posto. Peccato però che la parte restante, dilavata dalle piogge, venga trascinata sulle strade e nell’alveo dei corsi d’acqua (Fig. 3 e 4) e soprattutto che, senza ravaneti, non vi sarebbero terre e scaglie da trattenere.
Studi modellistici? Sì, ma intanto guardiamo con i nostri occhi
Conveniamo con Assindustria che i modelli matematici, se adeguatamente implementati e tarati, possono aiutare a capire il comportamento dei ravaneti interessati da forti precipitazioni; ben vengano perciò questi studi. Tuttavia, intanto è bene avvalersi degli studi esistenti (ad es. quelli sulle colate detritiche nei ravaneti e sui record mondiali di marmettola e terre raggiunti dalle sorgenti apuane) e soprattutto, considerato che i modelli non possono certo contraddire la realtà, per capire come si comportano i ravaneti, è bene far tesoro di ciò che possiamo vedere già con i nostri occhi.
I ravaneti sono estese discariche di detriti di cava che, il più delle volte, vanno a colmare le “fosse”, così chiamate proprio perché sono impluvi di corsi d’acqua situati al fondo delle rispettive vallecole (com’è evidente a colpo d’occhio dalla loro classica forma a “V”: si vedano le Fig. 5 e 6).
Questi fossi, sebbene solitamente asciutti, raccolgono portate imponenti in occasione di precipitazioni “eccezionali” (ma oggi sempre più frequenti). Se con le piogge di normale intensità i ravaneti sono soggetti al dilavamento dei materiali fini (terre, marmettola) e ad erosione superficiale di detriti, con le piogge più intense sono soggetti a frane catastrofiche che portano a valle grandi quantità di detriti.
Le figure 5, 6 e 7 ne mostrano alcuni esempi, ma per farsi un’idea di quanto siano ingenti gli apporti di detriti ai corsi d’acqua va tenuto presente che nel nostro comune i ravaneti sono oltre 100: questi esempi sono comunque sufficienti a ridicolizzare l’affermazione di Assindustria che i ravaneti “trattengono le parti solide”.
Alluvioni: i ravaneti sono assolti?
Secondo Assindustria, le alluvioni del secolo scorso (anni ’30 e ’50) proverebbero l’innocenza dei ravaneti, visto che allora l’escavazione era molto più contenuta di oggi. Inoltre le 500 frane e smottamenti su versanti in terra verificatesi con l’alluvione del 2003 proverebbero un ruolo quantomeno marginale dei ravaneti.
Premesso che non abbiamo mai sostenuto che i ravaneti sono l’UNICA causa delle alluvioni, ma solo che contribuiscono ad accentuare il rischio alluvionale (assieme alle frane in terra, all’apporto di alberi dai versanti, alle strade costruite in alveo, ecc.), precisiamo che le imponenti colate detritiche associate a precipitazioni eccezionali (Fig. 5 e 6) accrescono senz’ombra di dubbio tale rischio. Basta un’occhiata alla Fig. 3, con l’alveo del Carrione di Colonnata stracolmo di detriti di ravaneto (ben al di sopra del fondo stradale), per capire che nel 2003 i ravaneti hanno svolto un ruolo per nulla secondario nell’alluvione, provocando esondazioni fin dai tratti montani.
Ma anche in condizioni meteorologiche normali, l’apporto di detriti dai ravaneti ai torrenti contribuisce, sia pure in maniera impercettibile alla vista (ma, alla lunga, rilevante), a ridurre la capacità idraulica degli alvei, favorendo perciò le esondazioni. Ne sa qualcosa il comune, costretto a sostenere spese esorbitanti per la periodica rimozione di detriti dall’alveo deicorsi d’acqua.
In conclusione, crediamo d’aver sufficientemente motivato la nostra richiesta di rimozione dei ravaneti al fine di ridurre il rischio alluvionale; aggiungiamo che una seconda finalità è la protezione delle sorgenti dall’inquinamento, per le cui motivazioni rinviamo al nostro documento “La regione protegga le sorgenti dalle cave di marmo” e che una terza è di natura paesaggistica.
Ma forse Assindustria ritiene che le nostre montagne ridotte ad un’immensa discarica a cielo aperto siano un’attrattiva turistica unica, mentre noi pensiamo siano una vergogna unica: sull’unicità della situazione, dunque, non possiamo che concordare con Assindustria.
Carrara, 26 maggio 2015
Legambiente Carrara
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