Nuovo Regolamento degli agri marmiferi carraresi
Presentazione pubblica della proposta Legambiente
Carrara, ven. 15 febbraio 2013, ore 17,15
Biblioteca civica, piazza d’Armi (ex scuola media Rosselli)
Dal regolamento del 1994 ad oggi: problematiche e prospettive
Ildo Fusani
Legambiente Carrara, ex assessore al marmo
Le montagne la natura le aveva fatte per sé come una sorta di scheletro che doveva consolidare le viscere della terra e nel contempo frenare l’impeto dei fiumi e frangere i flutti marini, nonché stabilizzare gli elementi più turbolenti con l’aiuto della loro solidissima materia.
Noi invece tagliamo a pezzi e trasciniamo via, senza nessun altro scopo che i nostri piaceri, montagne che un tempo fu oggetto di meraviglia anche solo valicare. (…)
E questo lavoro, o meglio queste sofferenze, per quale utilità o per quale piacere gli uomini se le sobbarcano, se non per stare su pavimenti di pietre variopinte? – come se questo piacere non lo togliesse il buio della notte, che occupa metà della vita di ognuno.
Plinio
Il richiamo a Plinio non vuol essere semplicemente un tributo ad un grande naturalista dell’epoca classica, ma anche un augurio di cauto ottimismo; quelle frasi stanno a testimoniare che da sempre l’uomo sogna che il valore d’uso dei beni naturali e delle produzioni umane debba avere prevalenza sul piacere effimero e sul valore di scambio.
Le cave, da terra di rapina al Regolamento
Ma, venendo al tema, per comprendere il susseguirsi delle circostanze che portarono all’approvazione del regolamento degli agri marmiferi alla fine dell’anno 1994 è necessario fare riferimento al contesto politico amministrativo che caratterizzava la città in quegli anni e al contesto politico nazionale.
Un precedente testo regolamentare approvato nell’88, durante il mandato del sindaco Marchetti, giaceva insabbiato, in qualche cassetto della Regione Toscana da cui non sarebbe mai stato riesumato, grazie anche alla complicità delle forze politiche locali che pure lo avevano votato in consiglio comunale, se un’amministrazione eretica guidata dalla professoressa Emilia Fazzi Contigli non si fosse adoperata per riproporre, con maggiore forza e decisione, il tema della regolamentazione delle cave di Carrara.
Per la verità una accelerazione alla ripresa della questione fu data da un’offensiva di parte industriale che, forte dell’insediamento del primo governo Berlusconi, sollecitò un parere dell’avvocatura dello stato che apriva, di fatto, alla possibilità di privatizzazione delle cave e di vera e propria spoliazione dei diritti della cittadinanza carrarese.
Nondimeno, nonostante la gravità dell’attacco, la reazione delle segreterie politiche di partiti della maggioranza come il PDS e il PRI, sia pure ridotte ai minimi termini del loro peso politico a causa del ciclone nazionale di tangentopoli, fu abbastanza tiepida di fronte all’offensiva del governo e rammento ancora qualche isterica reazione a seguito della decisa risposta dell’amministrazione comunale e del sindaco.
Il Regolamento: una conquista storica
Questa fase, difficile e convulsa quanto entusiasmante, si concluse con l’approvazione di un nuovo testo di regolamento che introduceva l’importante innovazione della razionalizzazione delle concessioni e delle cave in base alle moderne esigenze dell’attività estrattiva, poiché la sola riaffermazione del potere concessorio del comune si sarebbe poi arenata di fronte all’impossibilità di ricondurre ad un assetto razionale i bacini estrattivi di Carrara a causa della frammentazione e del groviglio di diritti e di pretese gravanti sugli agri marmiferi.
Tale soluzione consentì alla Regione Toscana di sottrarsi alla responsabilità, non solo politica, di avere insabbiato il regolamento dell’88, anche se il presidente Chiti e l’intera Giunta regionale dovettero presentarsi a Carrara in occasione di una affollata seduta del consiglio comunale ed assumere solennemente l’impegno di appoggiare il Comune nel corso di tutto l’iter di approvazione del nuovo regolamento.
Tale impegno fu coerentemente mantenuto dalla Regione per tutta la durata del mandato della Fazzi, anche grazie all’impegno dell’allora consigliere regionale Angelo Fruzzetti.
Il risultato di questa azione congiunta e, soprattutto, della determinazione dell’amministrazione comunale, è abbastanza noto; vale tuttavia la pena di sottolinearne la portata che non è esagerato definire di importanza storica per la nostra collettività.
Il regolamento, la successiva legge regionale e le sentenze del TAR, del Consiglio di Stato e della Suprema Corte sancirono infatti, inequivocabilmente, la proprietà pubblica delle cave, l’onerosità e la temporaneità delle concessioni, nonché l’illegittimità e l’immoralità della rendita.
La restaurazione strisciante
Nonostante quattordici anni di picconate al testo regolamentare e di strisciante restaurazione, quei risultati non sono stati ancora cancellati, anche se ne è stata pesantemente contenuta la portata e ne sono stati quasi completamente vanificati gli effetti.
In questo lungo periodo temporale infatti non è che non sia successo niente.
- Non si è proceduto al rilascio delle concessioni, lasciando in capo ai vecchi concessionari e possessori senza titolo la possibilità di rivendicare, in un futuro a loro più favorevole, se non la proprietà almeno un titolo enfiteutico sulle cave; la sottoscrizione dell’atto concessorio da parte del concessionario è infatti fondamentale al fine di seppellire, una volta per tutte, qualsiasi rivendicazione di carattere privatistico.
- La mancanza di atti concessori ha dato l’alibi al mantenimento di una assurda quanto incoerente trattativa sui canoni che passando da tavoli di trattativa collettiva alla negoziazione caso per caso, ha consentito ai privati di contestare, secondo la loro convenienza, la legittimità di un canone che per le sue modalità di definizione e di riscossione presta il fianco a diverse contestazioni.
- È stata consentita la sopravvivenza della rendita parassitaria attraverso la figura del cosiddetto socio esperto.
Emersione di nuove problematiche
Ma in questo periodo si sono affacciate anche nuove questioni e altre, già presenti sotto traccia, si sono evidenziate:
- la questione dei detriti e del carbonato di calcio;
- la questione dei beni estimati;
- la natura di demanio civico degli agri marmiferi.
Ognuno di questi temi meriterebbe una giornata di studio o almeno una specifica relazione.
Mi limito in questa occasione a:
- evidenziare l’impegno del senatore Marchetti che, con due diversi interventi sulla questione del potere impositivo del comune di Carrara su polveri e detriti, ha svolto un ruolo fondamentale nella modificazione e nella integrazione della normativa allora vigente sulla tassa marmi;
- ricordare il fatto che, già dalla seconda metà degli anni ’90 il sottoscritto, trattando degli agri marmiferi del Comune di Carrara anche in documenti ufficiali, ne sottolineava il carattere di bene collettivo, anche sulla scorta di studi effettuati dall’avvocato Piccioli in periodi precedenti;
- rammentare che tutta la discussione sulla natura dei beni estimati prese l’avvio nel corso di un colloquio, se non sbaglio nel ’97, tra il Prof. Barile, l’avvocato Piccioli ed il sottoscritto.
Il testo presentato da Legambiente ha il pregio di riprendere tutti questi temi, dando agli stessi positiva soluzione, e di proporne altri come quello di un procedimento, la gara pubblica, diverso dal rinnovo delle concessioni agli attuali occupanti che, del resto, hanno beneficiato per ulteriori e non previsti sedici anni dello sfruttamento delle nostre cave.
Facendo un passo indietro vorrei però evidenziare come in un mondo in cui tutto è mercato e in cui l’offerta prevale sull’effettiva utilità del bene proposto, alla fine degli anni ’90 la restaurazione non veniva reclamata tanto dagli industriali, che sembravano abbastanza rassegnati a fare il loro ingresso nella contemporaneità e ad uscire dal medio evo, ma venne offerta su un piatto d’argento dalla politica e, particolarmente, dal centro sinistra, dai suoi sindaci e dalle diverse maggioranze che li hanno sostenuti.
Tale ruolo da parte dei partiti del centro sinistra non era mai venuto meno neppure nel periodo precedente determinando, per esempio, un allungamento della fase transitoria a ben nove anni che non ha consentito all’amministrazione della Fazzi di concludere tutta una serie di passaggi fondamentali durante il periodo del mandato.
Necessità di razionalizzazione
Ma veniamo, sia pure brevemente, agli altri forti motivi di interesse pubblico che impongono, con urgenza, il superamento dell’attuale stato di cose.
In proposito mi sembra utile illustrare, attraverso pochi dati (si veda la tabella) e qualche immagine, l’impatto della escavazione sul nostro territorio e la situazione di un gruppo di cave di Carrara che riassume in sé buona parte delle problematiche derivanti dalla irrazionalità della escavazione, dovuta non solo all’ingordigia e alla ristrettezza culturale degli imprenditori ma anche all’inerzia delle amministrazioni competenti.
La figura 2 evidenzia come, nonostante un intollerabile impatto paesaggistico anche sulle Apuane, una cava a cielo aperto possa essere coltivata razionalmente contenendo i pericoli e lo spreco di materiale attraverso una lavorazione a gradoni tesa ad evitare il crearsi di pericolose tecchie e pareti verticali.
Le figure 3 e 4 mostrano, invece, come la presenza di numerose imprese (8) in un area che dovrebbe essere oggetto di una sola concessione determini una situazione di diffuso pericolo dovuto alle incombenti e friabili tecchie, alle costanti interferenze tra le diverse lavorazioni, al problematico smaltimento dei detriti prodotti in eccesso a causa dell’insufficienza di aree a disposizione delle singole ditte.
La figura 5 è una mappa catastale dalla quale possiamo capire, attraverso il reticolo dei numerosi mappali che contraddistinguono le aree a disposizione delle singole imprese, quale caotico sommarsi di numerosi e diversi interessi interferisca con il razionale sfruttamento di questo giacimento e con una conduzione delle attività in piena sicurezza per il lavoro e per la pubblica incolumità.
Quanto appena illustrato sta a dimostrare che l’attuale assetto degli agri marmiferi, oltre a perpetuare l’esistenza della rendita parassitaria, porterà:
- ad un aggravamento della situazione dovuto in primo luogo all’aumento del materiale escavato a causa della mancanza di qualsiasi serio contingentamento delle produzioni, ma anche
- al determinarsi di nuove situazioni di pericolo per le lavorazioni e per i lavoratori in quanto non è stato ancora pianificato nessun accorpamento né di cava né di concessioni;
- per non parlare poi del permanere di una diffusa situazione di pericolo per la pubblica incolumità, in quanto solo a partire da una razionalizzazione delle concessioni e da una diminuzione dei materiali scavati sarà possibile ricostruire un assetto idrogeologico e regimi idraulici sostenibili per il territorio;
- infine la progressiva trasformazione del distretto lapideo in distretto minerario sarà causa di una ulteriore diminuzione dei livelli occupazionali.
Per tutti questi motivi è giunto il momento di affermare il principio che non ha senso togliere senza aggiungere; il che vuol dire che non ha senso cavare marmi senza aggiungervi lavoro e quindi sapere, creatività, occupazione; in altri termini, civiltà.
Il ruolo della Regione
Torniamo quindi ad un altro importante attore in campo. Un attore che, come abbiamo visto, nel tempo ha giocato sia ruoli positivi che ruoli negativi: la Regione Toscana.
La Regione Toscana avendo competenza in materia di cave, di paesaggio, di assetto del territorio, di usi e demani civici, di proprietà collettive e di parchi, ha il potere di approvare un Testo Unico che coordinando, giustamente, la disciplina delle attività estrattive con le norme urbanistiche e con la pianificazione regionale, confermi la natura pubblica, l’inalienabilità e l’imprescrittibilità delle cave di Massa e di Carrara, ma anche l’onerosità delle concessioni in base al valore di mercato e ne imponga la lavorazione diretta da parte del concessionario, riconoscendo, infine, i diritti civici delle comunità locali delle apuane, compresa quella di Carrara.
Il riconoscimento della particolare natura civica di questi beni che sono posti, per legge, al servizio del benessere delle comunità locali e non della ferocia, del cinismo e della irrazionalità del cosiddetto mercato globale, confermerebbe la legittimazione della Regione e dei Comuni nel sostenere efficacemente e non solo a parole la lavorazione in loco.
Oppure la Regione potrà, sia pur nel nome dell’efficienza e della pianificazione, aprire la strada agli interessi di chi, magari per “correre in aiuto” alle disastrate finanze comunali, tra non molto proporrà la privatizzazione delle cave, continuando a cavar sassi e a vender blocchi alle spalle di una comunità ormai vicina allo stremo.
Per tutti questi motivi la proposta di Legambiente giunge opportuna, giusta e tempestiva proprio mentre la Regione sta mettendo mano ad una nuova legge ed il comune è chiamato a dipanare una matassa che quattordici anni di disapplicazione e di interventi incoerenti e contraddittori hanno reso ormai inestricabile.
Auguriamoci che questa iniziativa non si scontri con una pregiudiziale chiusura politica e con una istruttoria ispirata ad eccessivo tecnicismo, ma venga colta per quello che è, una nuova ed importante occasione per l’intera comunità carrarese.
Per saperne di più:
Sul nuovo Regolamento degli agri marmiferi proposto da Legambiente al consiglio comunale:
Nuovo Regolamento degli agri marmiferi: la proposta Legambiente (G. Sansoni) (15/2/2013)
Attività estrattive nel distretto del marmo: opportunità e criticità (F. Ferruzza) (15/2/2013
Agri marmiferi, proposta di nuovo regolamento: introduzione (M. Antonioli) (15/2/2013)
Ecco il nuovo Regolamento degli agri marmiferi proposto da Legambiente (9/2/2013)
Sui canoni di concessione delle cave, entrate comunali, illegittimità, proposte:
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