PREMESSA
Legambiente, per l’impatto su tutti i comparti ambientali e sulla salute dei cittadini e per le diseconomie indotte a carico della città, ritiene assolutamente insostenibili le attuali modalità di gestione delle cave.
In questo documento si espongono i principali problemi del settore apportando un primo contributo di analisi e di proposte per affrontarli adeguatamente.
1. Trasparenza dell’informazione
Da anni, alle proteste dei cittadini per i danni subiti e alle richieste delle associazioni, il Comune (in forma ufficiale o informale: documenti, interventi di amministratori e funzionari, ecc.) ha risposto cercando di minimizzare i problemi, anziché affrontarli.
Così il problema delle polveri fini è stato negato o minimizzato fino a che i dati della centralina ne hanno dimostrato in modo inoppugnabile la gravità.
La stessa cosa è accaduta per l’escavazione selvaggia e illegale del marmo finalizzata alla produzione di carbonato: se oggi l’Amministrazione intende costituire una Commissione tecnica è solo a seguito della divulgazione della drammatica realtà emersa dai dati del 2005.
La realtà dell’inquinamento delle sorgenti da parte delle cave è ancora messa in dubbio negli stessi documenti ufficiali dell’Amministrazione.
In conclusione, l’attiva partecipazione –informata e documentata– dei cittadini si è rivelata lo strumento più efficace per arrivare almeno a riconoscere i problemi e lo stimolo più efficace per affrontarli; al contrario, nascondere i dati è il sistema migliore per far degenerare le situazioni fino al punto in cui non è più possibile alcuna mediazione.
Proposte:
- consegna sollecita da parte degli uffici comunali di tutti i dati richiesti;
- pubblicazione sul sito web del Comune dei dati ambientali, rendendoli scaricabili: qualità dell’aria, passaggi giornalieri dei camion, dettaglio dei materiali estratti cava per cava, torbidità registrata alle sorgenti, ecc., secondo i seguenti esempi.
2. Distruzione delle montagne per produrre carbonato
Gli uffici comunali, violando numerosi articoli del D. Lgs. 195/2005 sul diritto di accesso ai dati ambientali, ci ha fornito dati molto parziali e solo per il 2005. Possiamo quindi tracciare solo un quadro parziale della situazione, ma già più che preoccupante.
Nel 2005 le 85 cave attive del comune di Carrara hanno estratto oltre 5 milioni di tonnellate, di cui ben l’82,9% è costituito da detriti e solo il 17,1% da blocchi.
Nel 2005, otto cave non hanno estratto nemmeno un blocco, ma soli detriti (96.000 t); nel 36,5% delle cave i detriti rappresentano oltre il 90% dell’escavato; nel 20% di cave rappresentano l’80-90%; nel 16,5% di cave rappresentano il 70-80%; il 5,9% produce il 60-70% di detriti e solo il 21,2% delle cave produce meno del 60% di detriti.
Questi dati –se teniamo conto che il Regolamento per la concessione degli agri marmiferi del Comune di Carrara precisa che l’esercizio delle cave di marmo è consentito esclusivamente per l’estrazione di marmo in blocchi– fanno rizzare i capelli.
Il gruppo di cave più numeroso (31 cave, pari al 36,5%) sono cave di carbonato camuffate da cave di marmo!
Delle cave grandi e medie, nessuna può definirsi buona od ottima (cioè con % contenute di detriti), ma tutte rientrano nelle categorie mediocre (detriti oltre il 70%), scadente (oltre l’80%) e pessima (oltre il 90%). Ciò conferma che la frantumazione delle nostre montagne per ricavarne carbonato di calcio non è una pratica occasionale, ma una caratteristica strutturale del comparto estrattivo, in particolare delle cave medie e grandi.
Questa situazione, in aperta violazione della legge, non potrebbe sussistere senza la tolleranza dell’amministrazione comunale.
Abbiamo inoltre il fondato sospetto che il bilancio costi/benefici dell’escavazione del marmo sia largamente negativo, traducendosi in benefici per pochi titolari di cava e scaricando sull’intera cittadinanza costi economici ed ambientali ben più elevati.
Proposte:
- attivare uno studio sui costi interni ed esterni (a carico della comunità) della filiera del marmo apuano (coinvolgendo Camere di Commercio, Università ed enti di ricerca), volto ad individuare il bilancio costi/benefici e una strategia sostenibile che renda il comparto marmifero una risorsa economica, occupazionale e sociale per la collettività e ne contenga drasticamente gli impatti;
- ripristinare il rispetto della legge e, perciò:
- chiudere immediatamente le 31 cave in cui la produzione di marmo in blocchi è inferiore al 10%;
- imporre alle altre 31 cave che producono dal 10 al 30% in blocchi di rientrare entro il 2007 al di sopra del 30%, pena il ritiro della concessione (da affidare poi a imprenditori più capaci, abbandonando le cave a bassa produttività in blocchi). La considerazione che, nel loro insieme, queste 62 cave rappresentano ben il 94,2% del materiale escavato non è un’attenuante, ma la dirompente conferma dell’insostenibilità e illegalità dell’attuale situazione.
3. Inquinamento delle sorgenti
Documenti ufficiali dell’Amministrazione, ad es. il recente “progetto di riassetto complessivo dei bacini marmiferi carraresi”, ancora mettono in dubbio l’inquinamento delle sorgenti da parte delle cave. Questo atteggiamento “negazionista” è inaccettabile poiché conduce all’aggravamento dei problemi.
La connessione diretta tra lavorazioni di cava e inquinamento delle sorgenti è, infatti, dimostrata già da oltre 40 anni, quando nelle vasche di raccolta delle sorgenti si rinveniva la fine sabbia silicea proveniente dal lago di Massaciuccoli, allora usata per il taglio col filo elicoidale.
Da allora, molti altri studi hanno sistematicamente confermato tale connessione diretta: negli anni ’90 la relazione del Servizio multizonale di prevenzione ambientale dell’USL (1991), a seguito dell’inquinamento da oli esausti di quasi tutte le sorgenti di Carrara (Pizzutello, Gorgoglio, Carbonera, Tana dei Tufi, Ratto, Martana, Canalie, 5 Fontane, Torano, Ravenna, Pero, Ospedale) e di alcune di Massa; la relazione del prof. Alfonso Bellini, consulente tecnico del P.M. (1992); la relazione del prof. Giovanni Pranzini, perito di parte del Comune di Carrara, sull’inquinamento delle sorgenti del gruppo di Torano (1991).
Più recentemente, va ricordata la decina di rapporti, relazioni, studi svolti nel 2000-2002 dal Consorzio Pisa Ricerche (su incarico del Comune) e dal CNR-Istituto di Geoscienze e Georisorse di Pisa (su incarico dell’AMIA). Queste ricerche sul campo, basate su studi isotopico-idrodinamici e, in massima parte, sull’uso come tracciante di spore di licopodio colorate, hanno dimostrato in modo inequivocabile che:
- le spore di licopodio (una polvere finissima, come la marmettola) liberate in una cava si ritrovano in più sorgenti; perciò una cava inquina più sorgenti;
- ciascuna sorgente è inquinata da più cave, non necessariamente vicine ad essa, ma distanti anche diversi
km; - attraverso la circolazione carsica, le spore di licopodio sono in grado di attraversare per via sotterranea le montagne e di raggiungere anche sorgenti situate in valli diverse da quelle delle cave;
- anche gli alvei del reticolo idrografico (e più in generale tutte le formazioni carbonatiche) presentano fratture che alimentano le sorgenti; perciò, anche nell’ipotesi di cave con marmo privo di fratturazioni, gli inquinanti da esse dilavati ad opera delle acque piovane finirebbero nelle sorgenti.
In conclusione, tutte le ricerche ci dicono che qualunque materiale presente sulle superfici di cava e suscettibile di essere dilavato dalle acque piovane (marmettola, idrocarburi, acque di taglio, ecc.) si infiltra nelle fessure del marmo (direttamente in cava o, indirettamente, lungo i versanti e i torrenti) e, attraverso la circolazione carsica, finisce inesorabilmente nelle nostre sorgenti.
Ciononostante, grazie alla tolleranza del Comune e alla negligenza degli imprenditori, migliaia di tonnellate di terre e marmettola sono tenute nelle cave in cumuli direttamente esposti agli agenti meteorici.
Gli stessi piazzali e le altre superfici di cava sono coperti da spessi strati di fango e marmettola, come testimoniano le foto 1-2 (tratte da una fonte insospettabile: il calendario pubblicitario di una grande cava).
Anche i ravaneti e le vie di arroccamento alle cave (costruite con scaglie di marmo, terre e marmettola) esponendo vaste superfici al dilavamento operato dalle acque meteoriche, rappresentano una diffusa fonte di inquinamento delle sorgenti, oltreché fonte di polveri risollevate dal traffico (bastano infatti modeste piogge per dilavare terre e marmettola e trascinarle sulla viabilità ordinaria: foto 3).
Le modalità di rimozione dei ravaneti, attuate con prelievo al loro piede e senza accorgimenti adeguati, favoriscono la rimobilizzazione della marmettola in essi intrappolata e il successivo dilavamento da parte delle acque piovane.
I frantoi al monte sono fonte di enormi quantità di materiali fini (foto 4) e quindi incompatibili con la tutela delle sorgenti.
Proposte:
- emanazione di un’ordinanza “cave pulite come uno specchio” che, sotto pena di revoca della concessione estrattiva, prescriva:
- completa rimozione di terre e marmettola da tutte le superfici di cava, che devono essere tenute costantemente pulite come uno specchio!
- L’eventuale stoccaggio temporaneo deve essere autorizzato esclusivamente in contenitori chiusi, protetti dagli agenti meteorici; divieto di liberare i piazzali di cava facendo rotolare i materiali sui versanti;
- confinamento delle acque di lavorazione subito al piede del taglio e loro invio, in tubazioni chiuse, ad un efficiente impianto di trattamento (non vi devono essere dispersioni di acque sulle superfici di cava!);
- asfaltatura delle strade di arroccamento su ravaneto e fitta rivegetazione delle loro scarpate, onde evitare che le acque piovane ne dilavino marmettola ed altri inquinanti;
- rimozione dei ravaneti a partire dall’alto e solo dopo aver allestito tutti i dispositivi atti ad impedire la dispersione di materiali fini (es. stuoie di copertura dei ravaneti) o, comunque, idonei a trattenerli (es. vasche di contenimento a valle, dotate impianti di trattamento);
- revoca delle autorizzazioni ai frantoi lapidei nei bacini montani e loro trasferimento al piano.
4. Polveri fini da traffico pesante del marmo
Grazie ai dati misurati dalla centralina e alla loro libera accessibilità sul sito dell’ARPAT, la gravità del problema delle polveri fini (a lungo negata o minimizzata) è ormai accertata.
Tuttavia, anziché adottare misure efficaci, si continua a disquisire su quanta responsabilità sia attribuibile ai camion e quanta alle condizioni atmosferiche. Eppure basta esaminare i dati rilevati dalla centralina della Lugnola per ottenere la prova della responsabilità dei camion e della relativa importanza.
Dall’inizio dei rilevamenti alla Lugnola (1° ottobre 2005) al 31 dicembre 2006 sono passati 457 giorni; scartando 12 giorni di mancato funzionamento, abbiamo 445 giorni di misurazioni di PM10, i cui valori sono riportati nel grafico 1.
È evidente che nel semestre caldo (1° aprile-30 settembre 2006) la qualità dell’aria è stata nettamente migliore dei periodi freddi precedente e successivo.
Ciò non deve stupire in quanto è ben nota l’influenza delle condizioni atmosferiche sulla qualità dell’aria: questa peggiora quando le condizioni atmosferiche favoriscono il ristagno degli inquinanti in prossimità del suolo (condizioni di inversione termica), a causa di basse temperature al suolo e bassa circolazione atmosferica (alta pressione invernale).
Al contrario, quando le condizioni climatiche favoriscono la distribuzione verticale degli inquinanti (allontanandoli dal suolo), si registra una migliore qualità dell’aria. Merita tuttavia osservare che, poiché il controllo delle condizioni atmosferiche non è nelle nostre mani, noi possiamo e dobbiamo agire sulla riduzione delle fonti inquinanti.
Per esaminare meglio le informazioni fornite dalla centralina l’intero periodo è stato suddiviso in tre sottoperiodi: 1-semestre freddo, 2-semestre caldo, 3-periodo freddo 2006; per ciascun periodo, sono stati distinti i giorni con circolazione di camion da quelli senza camion (giorni festivi, ferie, periodi con ordinanza di divieto per camion, ecc.).
I dati di sintesi sono riassunti nella tabella 1: in tutti i periodi e qualunque dato si prenda in considerazione, i giorni con camion (colonne grigie) sono nettamente peggiori di quelli senza (colonne bianche).
Il grafico 2 mostra come, in ciascun periodo, le concentrazioni medie di PM10 siano nettamente più elevate (circa il doppio) nei giorni con camion. Nei giorni senza camion la qualità media dell’aria risulta “buona” nell’intero periodo e nei due primi sottoperiodi, mentre diviene “accettabile” nel sottoperiodo ottobre-dicembre 2006. Nei giorni con camion, invece, la qualità media dell’aria risulta “accettabile” nel semestre caldo e “scadente” in tutti gli altri periodi.
Basandosi sull’intero periodo il contributo dei camion all’aumento delle concentrazioni atmosferiche di PM10 è del 113% (da 24,5 a 52,2 cioè più che raddoppiato), mentre nei tre sottoperiodi è rispettivamente del 146%, 85%, 77%.
Per quanto riguarda il numero di superamenti dei limiti di legge (grafico 3), nell’intero periodo, nei giorni senza camion, si sono avuti solo 11 superamenti, contro i ben 120 (di cui 102 nel 2006) nei giorni con camion.
Anche il confronto tra le percentuali di superamenti nei giorni con e senza camion è talmente eloquente da non lasciar adito a dubbi (grafico 4).
Per i più esigenti, che non si accontentassero delle evidenze visive fornite dai grafici, la tabella 2 riporta i risultati dell’analisi statistica dei dati col test “t di Student”.
Il risultato è di un’eloquenza inoppugnabile: nell’intero periodo ottobre 2005-dicembre 2006 la probabilità che i valori più elevati rilevati nei giorni con camion siano attribuibili al puro caso (anziché all’inquinamento da essi generato) è talmente infinitesima che quasi non siamo in grado di descriverla: 0,08 per quadrilione (cioè 0,08 per milione di trilioni o, in altre parole, 8 probabilità su 1 seguito da 26 zeri!).
Proposte:
ristabilire la legalità, facendo rispettare il regolamento degli agri marmiferi (che consente l’esercizio delle cave esclusivamente per l’estrazione di marmo in blocchi). Ad es. chiudendo quelle 48 cave che producono più dell’80% in detriti si ridurrebbe di due terzi il transito dei mezzi pesanti.
L’applicazione di questa misura richiede alcuni mesi per espletare le pratiche di revoca della concessione (comunicazione, attesa dei tempi per le controdeduzioni, applicazione); questa è una ragione in più per avviarla da subito;
- divieto del transito dei camion per la restante parte del mese qualora in un determinato mese si siano registrati 3 superamenti del limite per i PM10(3 superamenti mensili corrispondono infatti a 36 annui, quasi coincidenti col limite dei 35 superamenti annui ammessi dalla legge).L’importanza di questa misura sta nel fatto che soddisfa il requisito centrale: la garanzia del risultato (assicurare i cittadini che non saranno più esposti a livelli di polveri nocivi per la loro salute). Merita rilevare l’assurdità dell’approccio finora seguito, basato sul ribaltamento delle responsabilità: perché mai dei problemi generati dal trasporto del marmo dovrebbe farsi carico il Comune, anziché il comparto marmo (escavazione e trasporto)? Finché chi genera problemi potrà continuare a farlo senza subirne alcuna conseguenza non c’è speranza di risolverli! Pertanto, fermo restando il rispetto della legge (e quindi la chiusura delle cave che non la rispettano), dovrebbe essere lasciata agli imprenditori dell’escavazione e del trasporto la libera scelta delle misure da adottare per contenere le polveri (e i relativi oneri), ristabilendo così un sacrosanto principio di responsabilità. Si può scommettere che, con tale semplice ma ferrea regola, gli imprenditori e i camionisti saranno i primi ad attivarsi per inventare ed adottare le misure più efficaci;
- possibili misure complementari (ma non sostitutive!) alle due precedenti sono:
- riduzione del numero di transiti giornalieri, a partire dai camion più inquinanti (es. euro zero, euro 1, ecc.) e/o più sporchi: questa misura sarebbe però inutile in assenza di una forte attività di controllo della polizia municipale, finora risultata assolutamente inadeguata alle necessità;
- installazione di impianti di lavaggio e asciugatura camion direttamente al monte (uno per canalone);
- estensione ed intensificazione del lavaggio delle strade (misura palliativa, utile ma non risolutiva).
Carrara, 11 gennaio 2007
Legambiente Carrara
Per saperne di più:
Sulle cave che da anni producono quantità elevatissime di detriti e pochi o niente blocchi:
Cave, terre, detriti: ma è poi così difficile far rispettare le regole? (28/2/2009)
I dati 2006 sulle cave fuorilegge confermano quelli 2005: blocchi 17%, detriti 83% (27/2/2007)
Ecco i primi dati (2005) sulle cave fuorilegge: 17% blocchi, 83% detriti (3/1/2007)
Costi esterni della filiera marmo C.R.E.D. Versilia, 2006 (392 KB)
Sulle possibili misure di riduzione delle polveri sottili, ostinatamente respinte dal sindaco:
Le polveri evitabili – 3. (quelle del sindaco) (VIDEO, 16/9/2010) durata: 18’ 05”
Le polveri evitabili – 2. L’impianto della vergogna (VIDEO, 25/8/2010) durata: 10’ 51”
I bisonti del marmo: polveri a volontà (VIDEO, 15/4/2010) durata: 7’ 13”
Sulla responsabilità dei camion nella diffusione delle polveri sottili:
Legambiente risponde alla lettera del camionista (8/4/2011)
Lettera aperta di un camionista a Legambiente (6/4/2011)
I camionisti condotti in un vicolo cieco dalle loro associazioni di categoria (12/2/2011)
2011 Odissea nelle polveri (VIDEO, 4/2/2011) durata: 7’ 55”
Le polveri evitabili – 1. I camion del marmo (VIDEO, 25/4/2010) durata: 8’ 55”
Le polveri sottili di Carrara (PM10). ANALISI STATISTICA (23/12/2009)
Gli autotrasportatori si autoassolvono spacciando l’eccezione per la regola. Ecco perché sbagliano (20/1/2009)
Le proposte di Legambiente al consiglio comunale straordinario sulle polveri sottili (5/9/2008)
Le polveri sottili a Carrara: il quadro della situazione (documentazione per i consiglieri comunali) (26/5/2008)
PM10: è evidente la responsabilità dei camion del marmo. Ecco le misure da prendere (30/3/2006)
Sulle problematiche tra cave, sorgenti, dissesto idrogeologico ed alluvione:
Terre nei ravaneti: rischio di frana e alluvione (VIDEO TG1 22/11/2011) durata: 1’ 23”
Aspettando la prossima alluvione: gli interessi privati anteposti alla sicurezza (26/3/2007)
In attesa della prossima alluvione: porre ordine alle cave (15/3/2007)
Cave, ravaneti, alluvione: che fare? (Conferenza su alluvione: Relazione Piero Sacchetti, 11/10/2003: PDF, 37 KB)
Fenomeni di instabilità sui ravaneti (Conferenza su alluvione: Relazione Giuseppe Bruschi, 11/10/2003: PDF, 1,1 MB)
Carrione, sicurezza e riqualificazione: un binomio inscindibile (Conferenza su alluvione: Relazione di Giuseppe Sansoni, 17/3/2006: PDF, 3,2 MB)
Alluvione Carrara: analisi e proposte agli enti (11/10/2003)
Nubifragio: sorgenti torbide per lo smaltimento abusivo delle terre (11/7/2009)
Come le cave inquinano le sorgenti (conferenza, illustrata) (17/3/2006)
Inquinamento delle sorgenti. Mancano i filtri? No, manca la prevenzione! (4/12/2005)
Impatto ambientale dell’industria lapidea apuana (340 KB)